LA VICENDA
Della vicenda è protagonista una donna, mamma, che stanca di versare un assegno di mantenimento di 400 euro mensili ai figli, ormai maggiorenni e conviventi con il padre, decide di chiederne la revoca.
La decisione nasce in quanto, nonostante la possibilità data ad entrambi i figli di proseguire gli studi, attraverso l’iscrizione all’università, nessuno dei due si era rivelato particolarmente brillante o zelante: il primo dei due, iscritto al terzo anno di scienze biologiche aveva sostenuto soli quattro esami, l’altro, ormai al quarto anno fuori corso in beni culturali non raggiungeva la metà degli esami totali cui avrebbe dovuto far fronte.
La pretesa, accolta dalla Corte d’appello, che revocava il suddetto contributo, scatenava il malcontento del marito, il quale, non entusiasta della decisione, decideva di adire la Cassazione.
RICORSO INFONDATO: PERCHE’?
Il ricorso dell’uomo viene considerato infondato dagli Ermellini, il contributo va revocato dalla madre: “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa ove il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica pure quando il genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita”.
Dunque perde l’assegno di mantenimento da parte del genitore (oltre alla possibilità di un titolo di studio) chi decide di fare lo studente a vita: “un figlio, mostratosi irrispettoso avverso gli impegni economici dei propri genitori (peraltro separati fra loro!) per sostentarlo all’università, mostrando uno scarso interesse, oltre che rendimento, perde il diritto ad essere mantenuto”.
Questo è quanto precisato dalla Cassazione con sentenza n. 1858/15
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