Una delle notizie più interessanti in materia di diritto del lavoro è sicuramente la recente pronuncia della Corte Costituzionale, avente ad oggetto l’articolo 19 dello Statuto del Lavoratori, che affronta il dibattuto tema della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro.
Lo scorso 3 luglio la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), dello Statuto (legge 20 maggio 1970, n. 300), “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
La pronuncia della Corte pone fine ad uno dei capitoli più interessanti della nota lotta tra il Lingotto e la Fiom. Vediamo di rintracciarne in sintesi le fasi più importanti.
LA NORMA. L’articolo 19 rappresenta la norma-filtro che permette alle organizzazioni sindacali di costituire rappresentanze in azienda e di godere dei diritti di cui al Titolo III dello Statuto, a condizione che sia rispettato un particolare requisito.
L’unico requisito stabilito dalla norma è che tali rappresentanze siano costituite nell’ambito di associazioni sindacali firmatari dei “contratti collettivi applicati in azienda”.
Tale formulazione è il risultato di una consultazione referendaria, indetta con D.P.R. 5 aprile 1995, n. 312, che ha privato l’articolo della lettera a) e ha eliminato il riferimento al carattere nazionale o provinciale della contrattazione collettiva sottoscritta dall’associazione sindacale nella lettera b), aumentando il novero delle competenze della contrattazione collettiva aziendale.
I PRECEDENTI. La Consulta in passato si era già espressa sulla legittimità di questa norma, prima e dopo il referendum. In particolare, con la sentenza n. 244/1996 (successivamente, quindi, alla riforma del testo), la Corte dichiarò la piena conformità dell’articolo con i principi costituzionali, nonostante il giudice a quo avesse rilevato un presunto contrasto con gli articoli 3 e 39 della Carta Fondamentale. La differenziazione tra associazioni sindacali in materia di diritti veniva considerata ragionevole perché poneva le basi su un ragionevole criterio, stabilito dal legislatore: quello della forza del sindacato di porsi come controparte contrattuale. In secondo luogo, la norma non lede in alcun modo la libertà sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione, dato che, per i giudici costituzionali, i diritti di cui al Titolo III sopravanzano la libertà sindacale.
La Corte concludeva affermando che la sottoscrizione di un contratto collettivo di lavoro (anche aziendale) applicato nell’unità produttiva dà la misura della forza rappresentativa del sindacato.
IL FATTO. La vicenda che ci interessa prende avvio dalla decisione delle società del Gruppo Fiat e Fiat Industrial, in data 21 novembre 2011, di recedere da tutti i contratti e gli accordi, a partire dal 1/1/2012.
Rilevante, a questo proposito, la decisione del Gruppo di uscire da Confindustria e dal sistema di contrattazione, che dal Secondo dopoguerra ad oggi aveva garantito un minimo livello di sicurezza e stabilità nella contrattazione collettiva.
Il 13 dicembre ’11 Fiat Spa e Fiat Industrial Spa firmano, insieme alle organizzazioni sindacali FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC, UGL-Metalmeccanici e Associazione Quadri e Capi Fiat, il contratto applicativo con cui hanno convenuto l’applicazione del contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello(CCSL), a partire dal 1/1/2012. La Fiom, pur partecipando alle trattative, non firma.
Il 27/12/2011 la Fiom comunica alle tre società la nomina dei propri dirigenti della RSA nelle rispettive unità produttive.
In data 9/1/2012 le società comunicano l’inefficacia delle nomine sulla base dell’articolo 19 l. n. 300/1970 che recita: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”.
Non avendo firmato il CCSL, unico contratto collettivo di lavoro applicato nelle unità produttive del Gruppo Fiat e Fiat Industrial, sulla base di tale articolo, la Fiom non avrebbe diritto a costituire RSA e a tutti i diritti di cui al Titolo III dello Statuto dei Lavoratori.
LE ORDINANZE. La questione viene trasferita nelle aule di tribunale. La Fiom ricorre in giudizio per chiedere di accertare e dichiarare l’antisindacalità della condotta delle società CASE NEW HOLLAND ITALIA Spa, MASERATI Spa e FERRARI Spa, consistente nell’aver:
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Negato l’efficacia e la legittimità delle nomine dei dirigenti della RSA Fiom;
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Negato l’esercizio dei diritti di cui agli articoli 27 (locali delle RSA) e 30 (permessi per i dirigenti provinciali e nazionali) dello Statuto dei Lavoratori;
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Leso l’immagine del sindacato quale soggetto contrattuale rappresentativo.
Sulla base dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, la Fiom chiede la cessazione della condotta antisindacale e, ai fini della rimozione degli effetti, di:
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Riconoscere la piena legittimità delle nomine dei dirigenti della RSA FIOM;
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Affiggere il decreto in cui si dichiara la legittimità delle stesse in azienda in un luogo accessibile a tutti per venti giorni;
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Pubblicare tale decreto su determinati quotidiani.
A questo punto, il Tribunale di Modena, in data 4 giugno ’12, e quello di Vercelli, in data 25 settembre ’12, “dichiara[no] rilevante e non manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 19 lettera b) della legge n. 300 del 20 maggio 1970, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione. (…)[Si] dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso”.
IL RAGIONAMENTO DEL GIUDICE. Il giudice a quo, nel ragionamento che porterà alla richiesta di una pronuncia della Consulta, ripercorre le tappe tracciate poc’anzi, partendo della norma in esame e dalle variazioni testuali in conseguenza del referendum del 1995.
L’obiettivo del referendum era allargare le maglie del criterio della maggiore rappresentatività. Come rileva lo stesso giudice, nella situazione qui esposta, si entra in contraddizione con la stessa ratio del referendum. In questa circostanza la norma impedisce di considerare l’associazione sindacale Fiom-CGIL come associazione maggiormente rappresentativa, negandole i diritti di cui al Titolo III.
Tale conclusione è irrazionale in quanto l’art. 19 subordina il godimento dei diritti di cui al Titolo III dello Statuto al dato meramente formale della sottoscrizione del contratto collettivo. D’altra parte la Fiom aveva partecipato alle trattativa ma, nell’esercizio della propria libertà sindacale, aveva deciso di non firmare il contratto.
Come parte della dottrina e della giurisprudenza sostiene, la partecipazione al negoziato è un dato che evidenzia l’effettiva forza contrattuale e la capacità rappresentativa del sindacato, la mera sottoscrizione dell’accordo si palesa come un elemento che può essere rimesso alla valutazione del datore di lavoro.
Per il giudice “l’art. 19 attribuisce al datore di lavoro un eccessivo potere” perché, in ipotesi estrema, dove la parte datoriale decidesse di non firmare alcun contratto collettivo, nessun sindacato potrebbe godere dei diritti di cui al Titolo III. Tale norma limita l’esercizio della libertà sindacale in quanto la decisione dell’associazione sindacale sulla sottoscrizione di un contratto collettivo sarà subordinata, oltre che alla tutela degli interessi dei lavoratori, alla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) tali diritti.
È chiaro ora che tale decisione si pone in evidente contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale. Anche la Consulta arriva a conclusione che il testo della norma portava ad una conseguenza paradossale: il sindacato Fiom-CGIL veniva considerato meno rappresentativo degli altri pur avendo il maggior numero di iscritti.
Dal punto di vista giuridico, ed è ciò che più ci interessa, la sentenza ristabilisce certezza nella disciplina di tale materia. Non è da escludere l’intervento del legislatore per riformare il dato testuale dell’articolo e definire con precisione i tratti ancora oscuri (ad esempio, cosa si intende per “partecipazione alle trattative”?) e garantire la sicurezza nella definizione dei soggetti legittimati alla costituzione di RSA e ad esercitare i diritti connessi.
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