Lo Stato e la Regione sono come i protagonisti del film “Le pagine della nostra vita” e come loro nonostante la loro diversità, una cosa importante avevano in comune: non potevano fare a meno l’uno dell’altro (anche se sono sempre più numerosi coloro che auspicano l’abolizione delle Regioni anziché delle Province).
La riforma costituzionale, che il Senato della Repubblica ha appena esitato favorevolmente, oltre alla soppressione del bicameralismo perfetto ed all’estromissione delle Provincie dal testo costituzionale, prevede misure deflattive del contenzioso tra Regioni e Stato.
Il ddl 1429 interviene anche sul titolo V della Costituzione e, con esso, sull’art.117 in materia di ripartizione di competenze tra Stato e Regioni.
Lo Stato torna a prendersi molti degli ambiti che erano stati assegnati alla competenza concorrente con le Regioni e che avevano finito con il generare conflitti di attribuzione. Allo stesso modo, si appropria di alcune competenze che non erano state espressamente conferite e che, quindi, venivano fatte rientrare in quelle residuali delle stesse Regioni.
Il Senato, approvando il ddl 1429, ha sostanzialmente dichiarato il fallimento di un’innovazione (non tutte le riforme, evidentemente, sono positive) che non aveva saputo prevedere l’impatto generato sul contenzioso Stato-Regioni (nel 2013, più di un terzo delle sentenze della Corte Costituzionale hanno riguardato i rapporti tra le due istituzioni repubblicane).
Un livello di conflittualità eccessivo, nonostante il sempre più frequente ricorso ai pareri ed alle intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o Conferenza Unificata che, sicuramente, hanno evitato alcune ulteriori impugnative.
La creazione del Senato delle autonomie dovrebbe rendere meno pregnante l’attività di raccordo e, comunque, nell’idea del legislatore, compensa il fatto che alcune materie sono state sottratte alle Regioni.
Lo Stato si è riservato di decidere in merito alle norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità nel territorio nazionale. Questo per evitare che le Regioni a statuto ordinario, in forze di regole che attengono alla propria organizzazione, possano prevedere trattamenti differenziati per dipendenti pubblici. Resta il problema per le regioni a statuto speciale (vedi alcuni prepensionamenti di cui si è, a lungo, discusso in Sicilia).
Con la definitiva approvazione della riforma sarebbero di competenza statale le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per la sicurezza alimentare e per la sicurezza del lavoro.
In alcuni punti la riforma serve a specificare e chiarire, in altri a riservare allo Stato la competenza sulle norme generali.
Il generico riferimento alle “norme generali sull’istruzione”, diventa “disposizioni generali e comuni sull’istruzione: ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica. Mentre il nuovo punto o) specifica che oltre alla previdenza sociale lo Stato s’interessa di previdenza complementare ed integrativa.
Si riserva, inoltre, di dettare le norme anche sull’ordinamento degli enti locali e sulle disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni.
Si continuerà ad occupare di ambiente ed ecosistema ma anche di tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, ordinamento sportivo, disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo. Rientreranno nelle competenze statali anche l’ordinamento delle professioni e della comunicazione, le disposizioni generali e comuni sul governo del territorio, il sistema nazionale e coordinamento della protezione civile, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza, i porti ed aeroporti civili, di interesse nazionale ed internazionale.
Scompare dall’art. 117 della Costituzione il riferimento alle materie di legislazione concorrente (assorbite pressoché interamente dallo Stato), oggetto di frequente contenzioso.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche, di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di sviluppo dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, d’istruzione e formazione professionale, di sviluppo del diritto allo studio, anche universitario; in materia di disciplina, per quanto d’interesse regionale, delle attività culturali, dello sviluppo dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica.
Continua a sussistere, ed è un aspetto rilevante, una competenza residuale della Regione in ogni materia non espressamente riservata allo Stato.
Viene, poi, introdotta una norma che, fino a qualche anno fa, sarebbe stata bollata come centralistica.
Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla sua legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, in altre parole la tutela dell’interesse nazionale.
Lo Stato ha legiferato negli ultimi anni, imponendo spesso anche norme di dettaglio alle autonomie locali, sulla base del “principio di coordinamento della finanza pubblica”.
La nuova norma, sicuramente molto più ampia ed estesa, gli permetterà di intervenire su quasi tutto.
Forse è il tramonto dell’idea di falso federalismo che ha attraversato la vita politica e culturale per più di un ventennio ed ha finito soltanto per aggravare il contenzioso davanti alla Corte Costituzionale.
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