Anticorruzione: il conflitto d’interessi del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza

I compiti, le responsabilità e i conflitti di interessi della Responsabile della Prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza.

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Come è noto la L.190/2012 prevede la nomina, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, del responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza.
Per quanto concerne i dati del RPC – oggi (D.Lgs.97/2016) sempre (non più “di norma”), anche della Trasparenza – devono essere inviati esclusivamente con il Modulo ANAC disponibile sul sito dell’Autorità (sezione Servizi/Servizi on-line) compilato digitalmente in ogni suo campo e inviato esclusivamente alla casella mail anticorruzione@anticorruzione.it (Comunicato del Presidente del 18 febbraio 2015).

La disposizione stabilisce che di norma esso è individuato tra i dirigenti di ruolo in servizio (il testo precedente al D.Lgs. 97/2016 prevedeva:“dirigenti amministrativi di ruolo, di prima fascia in servizio).
Negli Enti Locali, il responsabile anticorruzione e per la trasparenza sempre di norma, è individuato nel Segretario o nel dirigente apicale (D.Lgs. 97/2016), salva diversa e motivata determinazione dell’organo d’indirizzo politico. Nelle unioni di comuni, può essere nominato un unico responsabile.

In proposito il Dipartimento della Funzione Pubblica e l’ANAC (da ultimo in Determinazione n.12 del 28.10.2015) hanno precisato che considerato il ruolo e le responsabilità attribuite a questa figura, è importante che la scelta ricada su un dirigente che si trovi in posizione di relativa stabilità, per evitare che la necessità di intraprendere iniziative penetranti nei confronti dell’organizzazione amministrativa possa essere compromessa anche solo potenzialmente dalla situazione di precarietà dell’incarico.

E’ consequenzialmente da escludere la nomina di dirigenti inseriti nell’ufficio di diretta collaborazione politica, per la particolarità del vincolo fiduciario che li lega all’autorità di indirizzo politico e all’amministrazione, così come l’affidamento a dirigenti con incarico di studio e consulenza, per la naturale indisponibilità di questi, di risorse umane e strumentali, atte ad organizzare le nuove attività o rapporti.

Il D.Lgs. 97/2016 ha precisato che eventuale attività discriminatoria nei confronti del RPCT va segnalata all’ANAC che, entro trenta giorni, può formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la revoca sia correlata alle attività svolte dal responsabile in materia di prevenzione della corruzione e della trasparenza.

L’incarico di responsabile anticorruzione e per la trasparenza si configura quindi naturaliter come aggiuntivo, pur restando a discrezione dell’amministrazione, dedicare apposito ufficio allo svolgimento della funzione in commento. La norma non pone quindi prescrizioni inderogabili circa i destinatari e le modalità della nomina, ma appare ovvio che la scelta deve ricadere su un dirigente che non sia stato destinatario di provvedimenti giudiziali di condanna, né di provvedimenti disciplinari e che abbia dato dimostrazione nel tempo, di comportamento integerrimo e di integrità.

Occorre tener conto dell’eventuale esistenza di situazioni di conflitto d’interesse, evitando la designazione di dirigenti incaricati di quei settori che sono considerati tradizionalmente più esposti al rischio della corruzione (es. ufficio contratti, patrimonio, ecc.).

Occorre valutare con particolare attenzione l’opportunità che venga nominato responsabile anticorruzione, il dirigente responsabile dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (fatta espressa eccezione per gli Enti Locali di piccole dimensioni -Conferenza Unificata del 24 luglio 2013 – Orientamento n. 67 del 26 agosto 2014: quantificabile in fino a 15.000 abitanti), situazione che può consustanziare un conflitto d’interesse e quindi un’incompatibilità: la funzione del responsabile anticorruzione ha carattere evidentemente preventivo, mentre il responsabile dell’UPD ha competenze di accertamento, istruttorie di illeciti disciplinari con consequenziali sanzioni.
La sovrapposizione delle due figure può anche comportare la percezione di una figura “persecutoria” piuttosto che di “filtro” per la verifica della effettiva rilevanza disciplinare di fatti o comportamenti.

Ha successivamente capovolto completamente tale filone interpretativo, l’Orientamento formulato dall’ANAC n. 01488561 del 6 novembre 2015. Secondo l’ANAC non insisterebbero, in nessun caso o dimensione dell’ente, questioni di conflitto d’interesse tra le due cariche, suggerendo anzi il conferimento dell’incarico di responsabile UPD ad un soggetto “super partes” come il Segretario, evitando dunque tale conferimento ad un dirigente già responsabile di uffici operativi, inseriti nella struttura organizzativa.

Questa soluzione sembra ora nuovamente preclusa da quanto previsto dal nuovo co.7 dell’art.1, L.190 (D. Lgs. 97/2016) secondo cui il RPCT indica “agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare” (ergo ad altri da sè) i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e per la trasparenza.

Al fine di consentire nel miglior modo possibile l’esercizio della funzione, nell’affidamento della responsabilità è opportuno seguire un criterio di rotazione/alternanza tra diversi dirigenti (per quanto ciò sia possibile). Non prevedendo la legge una durata dell’incarico, esso inoltre è legato alla durata dell’incarico dirigenziale a cui la nomina accede.

Per quanto riguarda specificamente gli Enti Locali, il criterio di designazione è indicato direttamente dalla legge, che lo vede individuato “di norma” nel Segretario in quanto, come è noto ai sensi dell’art.97 del D.Lgs 267/2000, esso svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente, in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Il D.Lgs. 97/2016 ha esteso l’eventuale scelta alternativa normale nel dirigente apicale.

E’ necessario evidenziare che la casistica attuativa della suddetta normativa ha ingenerato problematiche applicative con particolare riguardo a fenomeni di attribuzione al Segretario Generale/Direttore Generale/RPCT di funzioni ad interim (nelle more di assunzioni di Dirigenti ad hoc), di direzione di altri uffici e precipuamente di quelli dei servizi finanziari.

I problemi maggiori si sono presentati sul piano funzionale, per la necessità di dover distinguere il titolare della determinazione, dal titolare della espressione del parere contabile o della attestazione di copertura finanziaria, anche solo nella eventualità di una incidentale concorso delle funzioni ovvero nella parimenti delicatissima evenienza in cui il Segretario/RPCT debba esprimere attestazioni di copertura finanziaria o pareri contabili, su atti di proprio stesso personale interesse, quale dipendente.

A tal riguardo le soluzioni adottate sono state oggetto di sofisticata disputa teleologica, con specifico riguardo alla possibilità d’inquadrare eventuali direttive operative nella fattispecie giuridica della delega di funzioni – con cui il delegante nelle succitate evenienze attribuisce l’esercizio del relativo potere ad altro funzionario – ovvero della mera direttiva d’istruzioni tecniche che non implica, uno trasferimento di funzioni, ma un mero esercizio di potere d’indirizzo operativo di meccanismi sostitutivi e, per ciò stesso, diversamente che nella prima lettura, legittimo quantomeno nelle intenzioni di massima.

Fermo che non è il nomen iuris attribuito in rubrica o corpo, di direttive o istruzioni o circolari, che determina fattispecie concrete e implicazioni giuridiche sottese, si evidenzia che la stessa legge 190/2012 ha introdotto l’art. 6-bis nel tessuto della L.241/1990 rubricato (conflitto d’interessi) il quale stabilisce espressamente che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

La questione si fa estremamente delicata poiché come visto, nella casistica sopra riportata, spesso il RPCT/Segretario è incaricato di responsabilità di servizi in potenziale conflitto d’interesse con le proprie funzioni di gestione, vigilanza e controllo anticorruzione. E’ altrettanto solare l’evenienza che il RPCT/Segretario anche se non normativamente tenuto a rendere i pareri nella casistica citata, ha per certo e sempre tra i propri compiti anche quello, vitale all’ineludibile interesse pubblico, di esprimere pareri di legittimità sulle delibere dell’ente locale (Corte dei Conti – Sezione III Giurisd. Centr. App., sent. 40/2013).

L’art. 323 c.p. ha fondato un dovere generale di astensione in ipotesi che configurano oggettivamente un conflitto, anche solo potenziale, di interessi. In altre parole, ai sensi di tale disposizione non occorre che l’interesse sia finalizzato a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri o a cagionare un danno ingiusto ad altri, bensì si mira a prevenire in radice il conflitto di interesse anche solo potenziale, a salvaguardia dell’attuazione del principio di imparzialità a cui deve ispirarsi tutta l’attività dei pubblici ufficiali, a norma dell’art. 97 Cost.

Parimenti l’art. 7 del D.P.R. 62/2013 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del D.Lgs. 165/2001) stabilisce che i dipendenti pubblici devono astenersi dal partecipare all’adozione di decisioni o attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di loro parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, ed in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Consegue che come magistralmente affermato dalla Corte di Piazza del Quirinale già con la sent. 1107 del 1988, il dovere di astensione del pubblico ufficiale in caso di conflitto di interessi, rientra nei principi generali dell’ordinamento giuridico e per ciò stesso nei doveri del funzionario pubblico incaricato. Di talchè si ritiene di poter condividere per un verso, l’orientamento interpretativo/operativo degli Enti che hanno posto in essere argini a potenziali conflitti d’interessi a mezzo degli strumenti organizzativi disponibili a far fronte ad eventi incidentali di mescolanza controllore-controllato, purché tuttavia non falliscano ab ovo (es. Decreto Sindacale) nel costruire anche solo temporaneamente, situazioni di conflitto d’interesse, per certo inarginabili con atti consequenziali o derivati (es. Direttive, Disposizioni, Istruzioni, Orientamenti, ecc.).

Il ritratto della casistica nel panorama nazionale si fa persino più mosso, se si considera che il Legislatore ha lasciato alla valutazione caso per caso e a soddisfacenti motivazioni, il coincidente problema delle attribuzioni evidentemente super-partes, di RPCT al Segretario. Con una certa difficoltà si può rintracciare l’unico viatico organizzativo universale nell’art.97, co. 4 lett.d) del TUEL secondo il quale il Segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.

Precisamente, la lettura combinata di tale disposizione con quella dell’art. 89 TUEL (che stabilisce che l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è di riserva regolamentare) comporta il precipitato ermeneutico per cui l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei servizi al Segretario sia necessariamente da prevedere con disposizione regolamentare e previa diligente verifica dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure professionali alternative. Consequenzialmente, il conferimento delle funzioni, riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, seppur temporaneo, deve essere vagliato con la massima attenzione e comunque circoscritto all’esercizio di una attività nella sfera gestionale di una funzione (ex plurimis, C. di St. 6061/2012; Corte Conti sez. contr., Sardegna 28/2013).

Tali esigenze di massima cautela, sono ugualmente dettate dalla considerazione ineludibile per cui il Responsabile anticorruzione e per la trasparenza è il garante delle politiche preventive anticorruzione e dell’innesco di un ambiente ostile allo sviluppo del fenomeno corruttivo e fertile a quello dell’onestà ed integrità.
A tal fine:

  • elabora la proposta di piano della prevenzione che sarà poi adottato dall’organo d’indirizzo politico;
  • definisce le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare in settori significativamente esposti alla corruzione;
  • verifica l’efficace attuazione del Piano e la sua idoneità nel tempo;
  • verifica di concerto con i dirigenti di riferimento, l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività a più alto rischio corruttivo;
  • propone gli adeguati percorsi formativi sui temi dell’etica pubblica e della legalità.

A fronte di tali rilevanti compiti, il RPCT è gravato di altrettanti notevoli responsabilità di specie.  Dalla lettura di sistema è configurabile una specifica responsabilità dirigenziale per il caso di mancata predisposizione del piano anticorruzione e di mancata adozione delle misure per la selezione e formazione dei prestatori di lavoro. In sede di negoziazione degli obiettivi dirigenziali, necessita quindi la predisposizione di un precipuo collegamento tra adempimenti ed obiettivi di specie.

Il co. 12 dell’art. 1 della L.190/2012, prevede inoltre precipue responsabilità dirigenziali, disciplinari (non inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 1 a 6 mesi), erariali e all’immagine della pubblica amministrazione, in caso di condanna passata in giudicato all’interno dell’amministrazione per un reato di corruzione, salvo che il responsabile anticorruzione provi di aver predisposto, prima della commissione del fatto, il piano anticorruzione ed averne osservato le prescrizioni, nonché di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano stesso.

Il successivo co. 14 disciplina poi un’aggiuntiva fattispecie di responsabilità dirigenziale in caso di ripetute violazioni del Piano e/o in presenza omesso controllo, che si affianca naturalmente a quella disciplinare dei dipendenti che violano le misure preventive individuate dal Piano stesso. Le amministrazioni, compatibilmente con il disposto della clausola di invarianza prevista dall’art. 2 della L.190 (per cui dall’applicazione della stessa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ma ex adverso, devono essere utilizzate le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili) devono assicurare al responsabile adeguato supporto umano, strumentale e finanziario in considerazione della delicatezza del compito organizzativo e di raccordo di cui è caricato.

Per tali finalità qualora si manifestasse l’oggettiva necessità di un supporto allo stesso di particolari ed elevate professionalità, le stesse dovranno essere destinatarie di una speciale formazione ad hoc. L’intento del Legislatore è stato quello di concentrare in un unico soggetto le iniziative e le responsabilità per il funzionamento dell’intero meccanismo della prevenzione, per cui è da escludersi in assoluto la possibilità di nomina di più responsabili nell’ambito della stessa amministrazione, ad evitare frammentazioni della funzione e/o diluizioni di responsabilità, nonché disfunzioni al Piano anticorruzione che viene configurato dalla norma quale documento ispirato ad unitarietà ed onnicomprensività.

Dovendosi tuttavia contemperare questo intento di concentrazione con il carattere complesso dell’organizzazione amministrativa pubblica, può essere valutata la possibilità di individuazione di referenti per la anticorruzione che operano nelle strutture dipartimentali o territoriali. Questi possono agire su richiesta del Responsabile, il quale resta il riferimento dell’intera politica preventiva con attinenti responsabilità. E’ auspicabile che le metodologie di raccordo, coordinamento ed operative siano inserite nel Piano anticorruzione in modo da creare un meccanismo dinamico ed oggettivo.

Il ruolo di propulsione che la L.190 affida al responsabile anticorruzione e per la trasparenza necessita ineludibilmente che l’asset amministrativo sia quanto più possibile trasparente, ponendo precipuo rilievo alle responsabilità per procedimento e/o processo operativo e/o prodotto di outcome e/o di output. Lo sviluppo e l’applicazione delle misure di prevenzione della corruzione e per la trasparenza sono dunque il risultato di un’azione sinergica e combinata dei singoli responsabili degli uffici, dei dirigenti anche di livello generale e del responsabile anticorruzione, secondo un processo alveare, ma anche bottom-up in sede propositiva e top-down in sede di verifica ed accountability.

Il dirigente alle risorse umane e strumentali dovrà impartire indirizzi ed istruzioni affinché sia assicurato che tutte le unità organizzative forniscano il loro apporto di collaborazione al RPCT. Per garantire effettività ed ottimizzazione delle istruzioni è opportuno che le modalità dettagliate del raccordo tra RPCT e dirigenti, vengano inserite nell’ambito dello stesso Piano di prevenzione.

Le disposizioni della L.190 si affiancano a quelle previste dalle attuali lettere L-bis, L-ter e L-quater del co.1 dell’art. 16 del D. Lgs. 165/2001 che disciplina le funzioni dei dirigenti di livello generale.
In particolare, tali disposizioni prevedono che i dirigenti generali:

  • concorrono alla definizione delle misure anticorruzione ed alla verifica dell’osservanza delle stesse; forniscono informazioni e proposte in tema di aree a maggior rischio;
  • monìtorano le attività a più alto rischio a cui sono preposti;
  • dispongono, previo provvedimento motivato, la rotazione del personale, qualora siano in corso procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva.

Ulteriore ruolo di coordinamento del responsabile anticorruzione e per la trasparenza è riscontrabile qualora nello svolgimento della sua attività, rilèvi fatti che presentino profili di illecito disciplinare, dovendone dare tempestiva informazione al dirigente preposto, allo stesso dipendente e all’Ufficio Procedimenti Disciplinari, al fine di avviare tempestiva azione disciplinare.

Ove riscontri fatti suscettibili di dar luogo a responsabilità amministrativa, il RPCT deve presentare tempestiva denuncia alla competente Procura della Corte dei Conti. Ove riscontri che dai fatti siano evidenziabili notizie di reato, il RPCT deve presentare denuncia alla Procura della Repubblica e darne celere informazione all’ANAC.

 

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