ANCI, il documento contro la manovra finanziaria correttiva

Redazione 06/07/11
“1) Il metodo con cui il Governo ha elaborato ed approvato il provvedimento è in aperto contrasto con il principio di leale collaborazione e di condivisione delle decisioni riguardanti tutti i livelli di governo e del tutto in contraddizione e violazione con quel sistema avanzato di raccordi e di integrazione delle politiche economico- finanziarie che lo stesso Governo ha voluto con l’approvazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

2) La manovra viola l’articolo 119 della Costituzione e la legge delega n.42/2009 che detta i criteri generali di coordinamento della finanza pubblica

3) Mentre gli effetti derivanti dalla riduzione di spesa a carico delle amministrazioni centrali appaiono incerti e aleatori, i tagli sui fondi dei Comuni sono immediati e certi.

4) Si assiste alla proliferazione di enti, agenzie e autorità indipendenti con costi finanziari  assai significativi del tutto in contraddizione con i processi di riduzione della spesa che colpiscono gli enti territoriali”

Queste solo alcune delle critiche provenienti dall’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia alla manovra finanziaria correttiva (che entrerà comunque in vigore stasera), contenute nel documento diramato oggi, che di seguito pubblichiamo integralmente:

“ANCI
Ufficio di presidenza
Roma, 6 luglio 2011

Le misure economico-finanziarie contenute nella manovra per il 2012-2014 non coniugano il necessario rigore con l’esigenza di sostenere sviluppo e produttività; non riducono, semmai accentuano, le difficoltà di far fronte ai costi sociali prodotti dalla crisi dell’economia e del mondo del lavoro.

I contenuti della manovra economico-finanziaria per gli anni 2012-2014 riguardanti il comparto dei Comuni sono in aperto contrasto e in palese violazione del processo di attuazione del federalismo fiscale e dei suoi principi fondanti ed irrinunciabili.

La manovra è inaccettabile perché ancora una volta prevede tagli insopportabili sui bilanci comunali, che seguono quelli già effettuati negli anni precedenti, in percentuali irragionevoli e del tutto sproporzionate rispetto al peso dei Comuni sul deficit della PA.

I tagli andranno a colpire o azzerare la spesa per lo sviluppo e per investimenti e la spesa per il sociale, incidendo su un settore delicatissimo che già risulta ampiamente sottodotato rispetto ai bisogni reali. Si tratta di tagli che non comporteranno una riduzione strutturale e permanente della spesa pubblica complessiva, in quanto riguardano settori che naturalmente e fisiologicamente richiederanno nuove risorse.

La manovra continua a proporre le misure già sperimentate lo scorso anno che evidentemente non hanno prodotto effetti positivi, data l’esigenza di un nuovo e pesante intervento.

La manovra è iniqua, perché aggravando ulteriormente quanto già stabilito lo scorso anno,  carica sulle spalle dei Comuni e degli altri enti territoriali l’obiettivo di riduzione della spesa pubblica. Infatti, mentre gli effetti derivanti dalla riduzione di spesa a carico delle amministrazioni centrali appaiono incerti e aleatori, i tagli sui fondi dei Comuni sono immediati e certi.

La manovra è la chiara negazione ed antitesi della prospettiva federalista e determina l’automatica interruzione del difficile percorso di attuazione del federalismo fiscale e della legge n.42 del 2009 che i Comuni, con senso di responsabilità, stavano portando avanti.

La manovra viola l’articolo 119 della Costituzione e la legge delega n.42 che detta i criteri generali di coordinamento della finanza pubblica, nonché appare in contrasto con i consolidati orientamenti della giurisprudenza costituzionale in materia di federalismo fiscale.

In particolare, la riduzione delle risorse attraverso i tagli al fondo di riequilibrio costituisce una grave violazione dei principi costituzionali in materia di autonomia di entrata e di corrispondenza fra finanziamento integrale e funzioni pubbliche esercitate.

Inoltre, emerge un chiaro contrasto con quanto stabilito nello stesso decreto legislativo n.23 in materia di federalismo municipale in ordine al rapporto di invarianza e corrispondenza  fra risorse e trasferimenti fiscalizzati alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, ammontare di risorse non modificabile in pejus, e semmai diversamente ripartibile nel comparto in seguito all’attuazione dei fabbisogni standard, ferma restando la perequazione.

A questo si aggiunge l’impegno formalmente assunto dal Governo e oggi ulteriormente disatteso di recuperare in sede di attuazione del federalismo fiscale le risorse già decurtate nel 2011.

La manovra mette in crisi gli stessi capisaldi che stanno alla base di un assetto istituzionale in senso federale non valorizzando, ma mortificando il ruolo delle Autonomie territoriali, il rapporto fra istituzione locale, territorio e cittadino, determinando il peggioramento dei servizi offerti, accentuando le diseguaglianze sociali, limitando l’autonomia politica degli amministratori e centralizzando, oltre ogni ragionevolezza ed esigenza di coordinamento, le scelte dei Comuni.

Le decisioni del Governo, se non saranno modificate, sembrano essere indirizzate dalla volontà di circoscrivere entro limiti angusti il ruolo proprio e tradizionale delle Istituzioni locali, di fatto impedendo ogni libera iniziativa di risposta ai bisogni delle comunità e dei cittadini, sostituendo quest’iniziativa con l’azione di altri soggetti o enti.

I Comuni intendono censurare con fermezza il metodo con cui il Governo ha elaborato ed approvato il provvedimento, in aperto contrasto con il principio di leale collaborazione e di condivisione delle decisioni riguardanti tutti i livelli di governo e del tutto in contraddizione e violazione con quel sistema avanzato di raccordi e di integrazione delle politiche economico- finanziarie che lo stesso Governo ha voluto con l’approvazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

I Comuni intendono, inoltre, censurare l’assenza di misure efficaci, concrete ed effettive di contenimento della spesa pubblica centrale e di determinazione dei costi standard dei Ministeri che sono rinviati all’attuazione di procedure lunghe e farraginose.

Come indicato un anno fa nella relazione  del Governo al Parlamento manca anche in questa manovra un intervento strutturale e certo sugli 84 miliardi di spesa discrezionale ancora a disposizione dell’amministrazione centrale.

Anche in questo provvedimento come già avvenuto in precedenti provvedimenti, si assiste alla proliferazione di enti, agenzie e autorità indipendenti con costi finanziari  assai significativi del tutto in contraddizione con i processi di riduzione della spesa che colpiscono gli enti territoriali.

Inoltre, gli stessi interventi di contenimento dei costi della politica a carico dei livelli di governo non locale sono rimessi a decisioni ulteriori e dilazionate nel tempo.

Il comparto dei Comuni giunge a questo appuntamento con un saldo positivo di oltre 2 miliardi di euro e con il maggior contributo al contenimento dei conti pubblici.

Il combinato disposto dei tagli alle entrate e delle regole del Patto di stabilita’ interno  produce effetti perversi e irragionevoli che tutti i commentatori hanno ormai denunciato:

– impossibilità a svolgere alcun ruolo a sostegno dello sviluppo locale e di accompagnamento dei processi sociali e di mutamento che si producono nella società;

– impossibilità ad assicurare continuità e qualità dei servizi.

La manovra  assegna un obiettivo ai Comuni non conforme al peso che essi hanno sul deficit complessivo della PA e che non prende in alcuna considerazione lo sforzo fino ad ora compiuto per risanare i conti, pari a 3 miliardi di euro aggiuntivi rispetto alla manovra vigente che prevedeva una riduzione dei trasferimenti pari a 2,5 mld di euro ed un obiettivo di patto di stabilità di 2,5 miliardi.

Per quanto riguarda il Patto di stabilità appare evidente che con il taglio sul versante delle entrate e la rigidità della spesa corrente l’alternativa a cui Comuni saranno chiamati sarà o cancellare voci di spesa essenziali o sforare il patto di stabilità, le cui regole risultano ottuse e irragionevoli.

La manovra poi, in contrasto con i principi costituzionali di autonomia finanziaria e di gestione, riduce le entrate  assegnate di ben 3 miliardi di euro; pertanto  nel 2014 le risorse  da più di 11 miliardi di euro passano a 7 miliardi di euro .

Il patto di stabilità viene regionalizzato in modo da costruire un obiettivo unico regionale, individuando nelle regioni il soggetto che opera il coordinamento degli spazi finanziari sul territorio, ma mantenendo le sanzioni a carico dei comuni.

La manovra prevedendo nel computo della spesa per il personale anche quella delle società ai fini del calcolo della soglia del 40% determinerà il blocco certo dell’accesso al turn over per il 90% dei Comuni, con effetti gravissimi sulla qualità e continuità di servizi essenziali.

I Comuni giudicano le norme sui “virtuosi” totalmente sbagliate perché producono risultati opposti a quelli sperati e perché pongono a carico del comparto dei Comuni gli eventuali benefici che deriveranno per alcuni di essi.

I Comuni non si presenteranno all’incontro politico convocato dal Governo ritenendo il metodo applicato lesivo delle regole ordinarie e consolidate di reciproca e leale collaborazione che imporrebbero di condividere in via preventiva i contenuti di provvedimenti così rilevanti che impattano sulla vita degli altri livelli di governo.

I Comuni lanciano un appello accorato al Parlamento per modificare i contenuti della manovra e vogliono da subito avviare un confronto con tutte  le forze politiche  e con le istituzioni e realtà socio economiche e produttive che credono nella possibilità di realizzare riforme strutturali capaci di far avanzare il Paese,  in termini di innovazione istituzionale, semplificazione amministrativa, assicurando unità e coesione sociale.

Da subito i Comuni sospendono la partecipazione alle attività relative all’attuazione del federalismo fiscale, che appare del tutto superato dai contenuti della manovra, non assicurando a nessun livello la collaborazione istituzionale di cui si erano fatti carico in questi anni.

In questo senso chiedono al Parlamento una immediata verifica della sostenibilità del decreto legislativo n.23/2011 sul federalismo fiscale dei Comuni, dichiarano  l’immediato blocco delle attività inerenti il calcolo dei costi e dei fabbisogni standard ed il ritiro del decreto legislativo in materia di  “premi e sanzioni”.

I comuni in assenza di risposte esaustive adotteranno tutti gli strumenti necessari per evitare l’impatto della manovra stessa anche attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale”.

[il grassetto è a cura della redazione]

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