Si ricorda che la Corte di Cassazione, nella primavera del 1999, aveva riconosciuto l’illegittimità della capitalizzazione, vietata, sin dal 1942, dall’art. 1283 codice civile (salvo particolari condizioni indicate nella norma). Il legislatore (rectius: il Governo), dopo qualche mese, con il decreto legislativo 4 Agosto 1999 n. 342, legittimò l’anatocismo con l’introduzione di due commi nell’art. 120 d.lgs. 1 Settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle norme in materia bancaria) attraverso i quali si delegava il Cicr ad emanarne la disciplina assicurando la reciprocità (ossia la capitalizzazione degli interessi sia a debito che a credito dell’utente): una condizione, quest’ultima, che soltanto in apparenza sembra garantire l’equità sia perché è inverosimile che il correntista che abbia un “fido” possa trovarsi a credito sia perché, comunque, dagli stessi moduli contrattuali predisposti dopo il 2000 si evince, spesso, che nessun effettivo aumento annuo del tasso creditore potrebbe avere il correntista in virtù della capitalizzazione. Ma non solo: tentando di annullare quanto la Corte di Cassazione aveva ribadito -e, cioè, l’illegittimità dell’anatocismo- il legislatore, col medesimo decreto legislativo, introdusse, nell’art. 120 d.lgs. 385/1993, un ulteriore comma “sanando” comunque le clausole presenti nei contratti stipulati anteriormente alla delibera Cicr. Un provvedimento che fu ritenuto da varie associazioni dei consumatori e vittime di abusi bancari un “regalo” di non poche migliaia di miliardi di lire dell’epoca che la Consulta (con sentenza del 17 Ottobre 2000 n. 425) impedì dichiarando incostituzionale la “sanatoria” per le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati precedentemente2 . E’ “sopravvissuta” per quattordici anni, invece, la disposizione dell’art. 120 T.U.B. che, a partire dall’entrata in vigore della delibera Cicr del 9 Febbraio 2000 fino al 1° Gennaio 2014, ha consentito la capitalizzazione degli interessi debitori.
La richiesta di spiegazioni inviata dalla Commissione U.E. all’Italia suscita l’impressione di un’ulteriore conferma della particolare “sensibilità” delle Istituzioni alla logica dei profitti bancari senza minimamente considerare gli effetti nefasti per i correntisti e, dunque, per le imprese e per l’intera economia. Premesso che non si condivide la tesi secondo cui in nessun altro Stato membro vi sarebbe il divieto di anatocismo essendo, forse, più utile interrogarsi se negli altri Paesi U.E. vi sono gli stessi abusi denunciati in Italia, non si registra ancora, da parte dei politici italiani, una chiara e precisa risposta in favore dei cittadini e, soprattutto, dei correntisti. Si ha l’impressione che quegli stessi politici che, quotidianamente, tentano di suggerire le vie d’uscita dalla crisi ignorino, probabilmente, quali siano gli effetti della capitalizzazione trimestrale. Ignorano che, ad esempio, un fido di 100 milioni di vecchie lire al tasso del 20%, dopo un anno piuttosto che diventare 120 milioni, determina la pretesa da parte della banca, per effetto dell’anatocismo, di 121.550.625; dopo dieci anni, se si ipotizza un utilizzo medio di quello stesso importo affidato, piuttosto che 300.000.000, la banca ne pretenderebbe 703.998.871; dopo vent’anni, piuttosto che 500.000.000, la banca potrebbe arrivare a pretendere 4.956.144.107.
Tali importi, ovviamente, senza considerare gli ulteriori oneri derivanti dall’applicazione delle commissioni di massimo scoperto. In tale ultimo caso, quell’importo di 100.000.000 di vecchie lire, al tasso del 20% annuo, dopo vent’anni, con capitalizzazione e con l’aggiunta di commissioni di massimo scoperto all’1%, determinerebbe la pretesa, da parte della banca, di oltre 10 miliardi di vecchie lire3 . E’ questa prassi (vietata in Italia dal 1942 e che il Governo dell’Agosto 1999, in spregio alle pronunce dei giudici di merito e di legittimità, aveva tentato di sanare perfino per i contratti stipulati anteriormente al 2000 con un intervento, come dicevo sopra, bocciato dalla Corte Costituzionale ma che, comunque, aveva legittimato per i rapporti successivamente instaurati) la principale causa del fallimento di milioni di imprese e, a mio modesto avviso, della crisi italiana con indubbi danni all’intera economia nazionale. La legge n. 147/2013 (cosiddetta di “stabilità”) -sia pur con non poche polemiche e dopo un ulteriore tentativo di reintroduzione di un apposito emendamento in sede di conversione in legge- di fatto, modificando l’art. 120 d.lgs. 385/1993, ha nuovamente vietato l’anatocismo demandando, ancora una volta, al Cicr di disciplinare le modalità di conteggio degli interessi. Nell’attesa della delibera non sono poche le banche che, indifferenti alla nuova disposizione legislativa, continuavano a capitalizzare gli interessi. Con due recenti provvedimenti, il Tribunale di Milano ha riconosciuto l’illegittimità dell’anatocismo a partire dal 1° Gennaio 2014. La Commissione U.E., nel chiedere spiegazioni all’Italia e mostrando di non “gradire” l’intervento normativo sfavorevole alle banche, sosterrebbe che negli altri Paesi membri non vi sarebbe un divieto simile.
Nell’indifferenza dei politici che, probabilmente, domani tenteranno di giustificarsi dinanzi ai cittadini elettori con l’alibi di dovere rispettare quanto imposto da Bruxelles, sarebbe auspicabile se gli stessi membri della Commissione Europea si interrogassero e spiegassero ai cittadini per quale motivo, in Italia, le banche possano determinare il tasso effettivo globale con una formula diversa a seconda che il correntista sia un consumatore o un imprenditore: nel primo caso applicando la corretta formula per la determinazione del TAEG contenuta nella stessa normativa europea e, nel secondo caso, invece, una formula –da alcuni tecnici contabili definita “inedita” e sconosciuta alla matematica finanziaria- secondo cui alcune commissioni e spese non devono essere considerate ai fini della determinazione del tasso effettivo e della conseguente valutazione del rispetto della normativa antiusura. Un ragionamento, come ha rilevato un autorevole consulente contabile “giurimetrico” , che equivarrebbe a sostenere che 1 Km, a seconda dei casi e del periodo di accertamento, possa essere formato da 1300 o da 1000 metri. Appare utile considerare, poi, che nemmeno può ritenersi fondato un eventuale rischio di maggiori difficoltà a carico di banche di altri Paesi ad operare in Italia a causa del divieto di anatocismo. La Commissione Europea, infatti, non può non sapere che quel minore profitto derivante dall’impossibilità di capitalizzare gli interessi e gli oneri ben può essere compensato dai maggiori compensi che le banche, in Italia, possono conseguire grazie a “tassi soglia” antiusura elevati, essendo, tra l’altro, nel 2011, come è noto, sopravvenuto un altro intervento del legislatore che ha modificato il meccanismo di determinazione del tasso soglia, innalzandolo
5 . Lo sanno i membri della Commissione Europea che, in Italia, pur se i tassi medi scendessero a zero, le banche avrebbero assicurata una sorta di “garanzia di impunità” potendo applicare alla clientela il tasso del 4% senza commettere il reato di usura? 6 Riesce difficile comprendere, dunque, come possano le banche, italiane o operanti in Italia, ritenersi svantaggiate a causa del divieto di anatocismo reintrodotto in un Paese in cui, comunque, possono lucrare attraverso tassi di interesse, commissioni e prezzi di vari servizi più elevati grazie ad una legislazione che, recentemente, ha, come si è detto, perfino innalzato i tassi soglia e in cui la giurisprudenza penale, malgrado il considerevole numero di denunce, soprattutto da parte di imprenditori, non ha registrato sentenze definitive di condanna dei banchieri nemmeno per fatti commessi quando i tassi soglia erano inferiori: ciò anche “grazie” al contrasto giurisprudenziale –ad avviso di chi scrive, immotivato- seguito alle Istruzioni della Banca d’Italia che, a partire dal mese di Ottobre 1996, ha diramato alle banche Istruzioni per la rilevazione dei tassi soglia confliggenti con quanto precisamente disposto dall’art. 644 cod. pen. e dall’art. 2 legge 108/1996.
Sarebbe auspicabile e più utile, forse, allora, se la Commissione U.E. effettuasse, con criteri univoci e imparziali, una comparazione tra i tassi effettivi globali applicati, per le varie categorie di operazioni, dalle banche dei diversi Paesi membri. Certo della serietà dei membri della Commissione U.E., credo che domanderebbe all’Italia ben altri chiarimenti con effetti positivi per le imprese e, dunque, per l’intera economia. Sarebbe opportuno, poi, in conclusione, se si interrogasse sul possibile nesso tra la chiusura o il fallimento di tante imprese (con le evidenti ricadute in termini di produzione, di minore entrate fiscali, di disoccupazione e di salute) e l’impunità di banchieri malgrado tassi di interesse effettivi globali denunciati, spesso, come usurari ma sfuggiti alla severità di una legge (art. 644 cod. pen. e l. 108/1996) grazie alla “confusione” creata da un organo le cui circolari, come confermato dai giudici di legittimità, non costituiscono fonte di legge né tantomeno possono derogare alla legge penale.
1 L’art. 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, così come modificato in seguito all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 629, legge 27 dicembre 2013 n. 147 dispone: “2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: (….) b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”
2 Per maggiori approfondimenti sul divieto di anatocismo nell’art. 1283 cod. civ., sul mutamento della giurisprudenza e sugli interventi normativi nonché sugli strumenti di difesa anche da altri vizi nei rapporti contrattuali di conto corrente e mutuo, sia consentito il rinvio al mio “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, Maggioli, IV edizione, 2013.
3 Dati estratti dalla tabella contenuta in appendice nel mio “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, Maggioli, IV edizione, 2013. pg. 3 di 3 della conseguente valutazione del rispetto della normativa antiusura. Un ragionamento, come ha rilevato un autorevole consulente contabile “giurimetrico”
4 Il riferimento è al dott. Gennaro Baccile, consulente contabile “giurimetrico” e Presidente onorario dell’associazione Sos Utenti onlus.
5 L’art. 2, quarto comma, legge 7 marzo 1996, n. 108 ora prevede che: “Il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali.La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”. Nel testo previgente, la norma prevedeva, invece, che: “Il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”. 6 Per maggiori approfondimenti, sia consentito il rinvio al mio “L’usura nel contenzioso bancario”, Maggioli, 2014.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento