Secondo il Ministero la certificazione relativa al regolare versamento della contribuzione obbligatoria, non costituisce una certificazione dell`effettuazione di una mera somma a titolo di contribuzione (come si intende dall’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000) ma è un’attestazione dell’Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivanti dalla applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali. Pertanto, l’operatore economico non potrebbe mai rendere «una autodichiarazione» sulle «valutazioni effettuate da un Organismo tecnico» terzo, in quanto, proprio in relazione alla loro intrinseca discrezionalità tecnica, egli non sarebbe oggettivamente in grado di conoscerle in via preventiva.
Osserva dunque il Ministero che il riferimento, nell’ambito dell’art. 44 bis, ad un controllo delle informazioni relative alla regolarità contributiva “ai sensi dell’art. 71” lascia intendere il dovere «da parte della P.A., di acquisire un DURC (non una mera autocertificazione) da parte del soggetto interessato, i cui contenuti potranno essere vagliati dalla stessa P.A. con le modalità previste per la verifica delle autocertificazioni».
Secondo la posizione ministeriale, l’Amministrazione dovrebbe necessariamente richiedere all’operatore economico la produzione del DURC, in quanto la sua eventuale semplice autocertificazione sarebbe irrilevante. Peraltro, alla luce della novella di cui all’art. 40, comma 02, del DPR 445/2000, il DURC risulterebbe ora munito della dicitura “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”, e dunque lo stesso DURC varrebbe oggi solo come “autocertificazione”, in quanto basata su dati certi elaborati dagli istituti previdenziali. Rispetto a questo DURC, funzionalmente equipollente ad autocertificazione secondo la tesi ministeriale, l’Amministrazione dovrebbe poi procedere alla verifica d’ufficio cui è tenuta.
Pertanto, con l’introduzione dell`art. 15 della L. n. 183/2011, il legislatore avrebbe ribadito esclusivamente una modalità di acquisizione del DURC da parte della P.A. (modalità tra l`altro già espressa nell`art. 16bis comma 10 della L. n. 2/2009), senza intaccare il principio già in passato espresso secondo il quale le valutazioni effettuate da un Organismo tecnico non possono essere sostituite da un`autodichiarazione, che non insiste evidentemente nè su fatti, nè su status, nè tantomeno su qualità personali.
A seguito della predetta nota ministeriale sono intervenuti gli enti previdenziali INPS e INAIL con nota congiunta del 26.1.2012, con la quale si è contribuito a correggere la tesi ministeriale. Si osserva in particolare che “le fattispecie in cui è consentito all’impresa di presentare una dichiarazione in luogo del DURC sono solo quelle espressamente previste dal legislatore”, affermazione alla quale segue il rinvio ad una nota (n.4), in cui si richiamano le seguenti disposizioni: «Articolo 38, comma 1 lett. i) e comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 e articolo 4, comma 14-bis della L. n.106/2011, per contratti di forniture e servizi fino a 20.000 euro stipulati con la pubblica amministrazione e con le società in house». Dette dichiarazioni, osserva la nota, “restano soggette a verifica ai sensi dell’articolo 71, del D.P.R. n. 445/2000, tramite l’acquisizione d’ufficio del DURC da parte dell’Amministrazione che le riceve”.
Sono pienamente condivisibili le posizioni critiche espresse dalla dottrina (Oliveri, Bellagamba) tese a confutare l’affermazione per la quale la certificazione sul regolare versamento della contribuzione obbligatoria non costituirebbe una certificazione dell’effettuazione di una mera somma a titolo di contribuzione (come si intende dall’art. 46 del d.P.R. n. 445/2000) ma un’attestazione dell’Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivanti dalla applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali.
Questa posizione interpretativa, si fa osservare, dimentica del tutto che la disciplina legittimante la sostituzione del Durc con una dichiarazione sostitutiva deriva non solo dall’articolo 46 del Dpr 445/2000 e dai principi generali da esso posti, ma dalla previsione espressa dall’articolo 38, comma 2, del d.lgs 163/2006, a tenore della quale: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione. […] Ai fini del comma 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266; i soggetti di cui all’articolo 47, comma 1, dimostrano, ai sensi dell’ articolo 47, comma 2, il possesso degli stessi requisiti prescritti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva”.
La scelta del Ministero di denominare il Durc “attestazione” invece che “certificato” non può giustificare la conclusione cui perviene il dicastero, sia per la sostanziale coincidenza delle due categorie, sia perché a qualificare come certificato il Durc è pure il nuovo Regolamento attuativo: l’art. 6, c.1, del dpr 207/2010 recita infatti che “Per documento unico di regolarità contributiva si intende il certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento”.
Il Durc, per quanto emesso sulla base di inevitabili riscontri tecnici, non è il risultato di una “valutazione”, la quale presuppone la costituzione di elementi giuridici e fattuali “nuovi”, mentre resta solo una dichiarazione di scienza con efficacia erga omnes circa la situazione di regolarità dei versamenti previdenziali di un imprenditore.
D’altra parte la regola generale, ulteriormente ribadita e rafforzata dal D.L. 5/2012, di cui all’art. 40, comma 01, secondo periodo del d.P.R. 445/2000, è quella per la quale: «Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati» – tutti i certificati – «e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47».
L’art. 46 del DPR 445/2000, in tema di «dichiarazioni sostitutive di certificazioni», prevede che “Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti: … p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto».
Il successivo art. 47, che riguarda le «dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà», stabilisce che: «1. L’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo (…) . (…) 2. La dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. (…) 3. Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà».
Come acutamente osservato da autorevole dottrina (Bellagamba), “poiché il d.P.R. 445/2000, art. 46, comma 1, lett. p), menziona espressamente l’«assolvimento di specifici obblighi contributivi» (addirittura «con l’indicazione dell’ammontare corrisposto») fra «stati, qualità personali e fatti» ai quali corrisponde un documento rientrante fra le «normali certificazioni», seguendo il ragionamento ministeriale ci si chiede – per converso – quale allora possa essere questo documento, che però non sia il DURC. La risposta non c’è. La previsione di cui alla lett. p) sarebbe allora inutiler data se ad essa non corrispondesse un certificato. Appare quindi impossibile l’ipotesi che il documento tipico in materia non sia il DURC”. E, ancora, “Anche ipotizzato … che il DURC non sia la certificazione corrispondente alla summenzionata lett. p), opererebbe comunque la valenza residuale della dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà. E poi, se anche si volesse sostenere (senza condividerlo) che l’operatore economico non potrebbe autocertificare la regolarità contributiva, in quanto questa non riguarderebbe «stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato» ai sensi del comma 1 dell’art. 47, opererebbe comunque la previsione di chiusura di cui al comma 2 del medesimo art. 47. L’operatore economico sarebbe infatti legittimato ad autocertificare la propria regolarità contributiva, in quanto rientrante, quanto meno, tra i «fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza».”.
Per tacere poi della recente disposizione introdotta dall’art. 4, c.1-bis, della L. 106/2011, che smentisce ulteriormente la tesi ministeriale, atteso che essa consente espressamente l’autocertificazione del Durc per i contratti di servizi e forniture di importo fino a 20.000 euro: “Per i contratti di forniture e servizi fino a 20.000 euro stipulati con la pubblica amministrazione e con le società in house, i soggetti contraenti possono produrre una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera p), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in luogo del documento di regolarità contributiva. Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare controlli periodici sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive ai sensi dell’articolo 71 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000”. La norma, che richiama espressamente la fattispecie della dichiarazione sostitutiva di certificazione pare contraddire apertamente la tesi ministeriale.
D’altra parte, se il Durc non fosse autocertificabile le imprese si vedrebbero costrette a presentare in gara direttamente il Durc e non la dichiarazione sostitutiva in palese contrasto col tenore letterale dell’art. 38 del Codice e dei principi di semplificazione e autocertificazione integrale di cui all’art. 77bis del DPR 445/2000, così come del tutto inutili risulterebbero allora i controlli a campione di cui all’art. 71 DPR 445/2000.
Se si seguisse la tesi ministeriale, declinandola nella lex specialis di gara, con la previsione di una clausola avente ad oggetto la richiesta, al concorrente o all’aggiudicatario, di produzione del “DURC (non una autocertificazione) da parte del soggetto interessato”, come suggerito dalla nota del Ministero, queste le possibili conseguenze:
a) illegittimità della clausola per violazione art. 38, art.46, c.1bis, Codice contratti pubblici; art. 40, c. 01, art. 44-bis, c.1 e art. 77bis DPR 445/2000;
b) violazione doveri d’ufficio di cui all’art. 74 del DPR 445/2000, a tenore del quale “1. Costituisce violazione dei doveri d’ufficio la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di notorietà rese a norma delle disposizioni del presente testo nico. 2. Costituiscono altresì violazione dei doveri d’ufficio: a) la richiesta e l’accettazione di certificati”.
Insomma, la vicenda inaugurata con la nota del Ministero sul Durc, costituisce l’ennesimo e poco edificante tentativo di voler a tutti i costi “fare diritto” con circolari, note e altre risoluzioni, in spregio ai più elementari principi che governano il sistema delle fonti normative.
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