Il chiarimento è intervenuto non prima (o, al massimo, contestualmente) all’entrata in vigore della norma, ma dopo ben tre mesi e mezzo.
Quale è il problema?
La legge 23.12.2014, n. 190 (più nota come “legge di stabilità 2015, ha introdotto nell’ordinamento dell’IVA l’art. 17-ter, secondo cui per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato e degli altri enti ivi menzionati (ma per i quali è necessario tenere conto anche dei chiarimenti operativi forniti con la circolare 9.2.2015, n. 1/E, per verificare ulteriori soggetti obbligati e soggetti esclusi dai nuovi obblighi), non debitori dell’imposta ai sensi delle disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, l’IVA è versata direttamente all’erario per cui l’emittente riscuote soltanto il corrispettivo. In altri termini, più comprensibili per gli operatori, se viene fatta una cessione di beni o una prestazione di servizi per l’importo di euro 1.000 di valore imponibile e di euro 220 per IVA, l’ente pubblico è obbligato a versare direttamente l’IVA all’amministrazione finanziaria per cui il fornitore o prestatore percepisce la somma di euro 1.000, fermo restando che la cifra di euro 220 costituisce già versamento dell’IVA dovuta con la liquidazione mensile (ovvero trimestrale, se è stata esercitata l’opzione sussistendone i presupposti).
Da tale disposizione sono escluse le fatture per prestazioni di servizi assoggettate a ritenuta (ad esempio, per prestazioni professionali, ecc.).
L’art. 17-ter non prevede altre esclusioni, neppure per il settore dell’agricoltura dove sulle cessioni si applicano le normali aliquote dell’IVA ma la detrazione è forfetizzata mediante l’applicazione delle percentuali di compensazione indicate negli appositi decreti ministeriali. Ad esempio, come regola generale, per le forniture di frutta il produttore agricolo applica l’aliquota del 4% (per cui la fattura somma a euro 1.040) e beneficia della detrazione forfetaria del 4%, per cui nulla va versato all’erario e l’interessato percepisce l’importo di euro 1.040, se il valore della merce è di euro 1.000; invece, se la fornitura è fatta ad un ente pubblico, secondo la norma, egli percepisce l’importo di euro 1.000 poiché il suo debitore deve versare euro 40 all’erario (ed egli deve chiedere il rimborso dell’IVA).
Ma, oggi, si rileva che questa interpretazione, conforme alla norma, è errata!
La fresca circolare 13 aprile 2015, n. 15/E, esclude la disciplina di “split payment” “le operazioni rese da fornitori che applicano regimi speciali che, pur prevedendo l’addebito dell’imposta in fattura, sono caratterizzati da un particolare meccanismo forfetario di detrazione spettante. Si tratta ad esempio: – del regime speciale di cui agli artt. 34 e 34-bis del d.P.R. n. 633 del 1972”.
Insomma, in base a questo pronunciamento, le fatture emesse dai produttori agricoli nei confronti degli enti indicati all’art. 17-ter del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, non sono soggette alla disciplina di “scissione dei pagamenti” per cui trova applicazione l’art. 6, penultimo comma: va emessa la fattura con addebito dell’IVA, che, però, diventa esigibile nel momento in cui l’ente indicato esegue il pagamento.
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