Figurati, però, se tra la ricerca di un presidente della Repubblica che vada bene a Berlusconi e Bersani, di un numero considerevole di saggi (o di seggi?) che soddisfino il M5s di Beppe Grillo e tra le immani problematiche di uno spread che sale e scende facendo restare tutto in stallo perenne, l’agenda digitale viene in mente a qualcuno.
Il problema è che “sarebbe il caso di”, visto che ballano milioni di euro e parole magiche tipo smart cities, e-government, e-commerce, infrastrutture per banda larga e ultralarga, startup innovative, ricerca e competenze digitali. Una vera rivoluzione digitale, se attuata, dalla carta d’identità alla giustizia, che nelle originarie idee del Governo Monti avrebbero dovuto rilanciare l’Italia.
Ora, in questa sede, abbiamo già avuto modo di spiegare che il decreto crescita 2.0, così per come è stato creato, non solo è incompleto ma anche un po’ fuorviante, visto che si includono, al suo interno, troppe argomentazioni di stampo diverso senza concentrarsi specificatamente sul digitale e sulla semplificazione che azioni costruttive a supporto porterebbero, poi, a pubblica amministrazione e cittadini.
Non si pensava, però, a uno stallo del genere: gran parte dei decreti attuativi sono ancora in fase di concertazione fra i ministeri coinvolti (per esempio Ministero dei Trasporti e Ministero dello Sviluppo Economico stanno cercando un compromesso sul “Regolamento scavi per le infrastrutture a banda larga e ultralarga nell’intero territorio nazionale”) e per molte altre iniziative mancano persino i decreti attuativi.
Di sicuro, a rendere operativa l’agenda digitale non bastano né la nomina del direttore generale (Agostino Ragosa), né il varo dello statuto (peraltro non ancora licenziato dalla Corte dei Conti), ne tantomeno l’Agenzia per l’agenda digitale (facciamo fatica a mettere in pratica un’agenda, e pensiamo all’agenzia? Come siamo avanti vero?).
Manca ancora l’indicazione dei componenti del comitato di indirizzo e, cosa ancor più paralizzante, sono sempre in lista d’attesa i decreti attuativi che dovrebbero finalmente affidare a Ragosa gli strumenti per iniziare ad operare sul serio. Cosa stiamo aspettando, se è vero che il Parlamento può operare in autonomia? Si tratta di interventi di ordinaria amministrazione ma di importanza capitale per la ripresa economica del Paese, che devono essere attuati subito.
Nel frattempo, l’Anci chiede di coinvolgere i Comuni nel percorso verso l’agenda digitale. ”Molti degli interventi inerenti l’agenda digitale impattano fortemente sulla sfera delle competenze comunali, per cui riteniamo che il confronto con i Comuni e l’Anci fin dalle prime fasi della stesura del decreto sia da considerarsi indispensabile“, dice Graziano Del Rio.
Ok, ma torniamo al punto: quali decreti? Quelli sulle startup o sulla semplificazione e digitalizzazione della scuola che sono ancora li, fermi ai nastri di partenza, e in alcuni casi mancano addirittura di linee guida specifiche? Un esempio calzante è quello relativo al “Regolamento scavi per le infrastrutture a banda larga e ultralarga nell’intero territorio nazionale”, per il quale Mise e Mit stanno concertando una soluzione di compromesso che vada bene sia agli operatori sia ai gestori delle strade.
Il decreto-regolamento è in bozza e dovrebbe uscire ad aprile. Il Mise discute con il Mef invece per le “modalità d’uso del Fondo Centrale di Garanzia a sostegno delle startup”: c’è già una bozza di decreto elaborata dal Mise, ma senza il Mef non può ultimarsi. Ed è una delle novità più attese dal settore startup, che aspetta anche il regolamento ufficiale Consob sul crowdfunding di cui però c’è già una bozza (in consultazione pubblica fino al 30 aprile). E’ definitivo invece il decreto per la certificazione degli incubatori di startup, che uscirà a giorni in Gazzetta Ufficiale. Ci sono poi decreti che sono in teoria già ultimati ma aspettano un parere terzo.
Poi, ultimo ma non per ultimo, c’è il collegamento tra agenda digitale e finanza, che nella fattispecie interessa eccome le banche e gli istituti di credito. Le indicazioni, fornite un anno fa dall’Abi e inserite dentro l’agenda digitale del settore bancario, pare siano di difficile attuazione a causa di ostacoli di diverso tipo.
“Ci sono troppe norme e molte ostacolano l’innovazione poiché vincolanti al punto da rendere quasi impossibile l’attuazione della digitalizzazione. Basti pensare ad esempio alla normativa sulla privacy. Ma non solo. Il punto è che l’evoluzione tecnologica viaggia veloce e che norme troppo stringenti diventano subito obsolete e non si adattano ai tempi e ai modi dell’innovazione“, fa sapere Romano Stasi, segretario generale di Abi Lab.
L’obiettivo finale sarebbe la creazione di un sistema di collegamento effettivo tra pubblico-privato che favorisca i rapporti fra le parti. “La diffusione dei pagamenti elettronici e della fatturazione elettronica è troppo bassa: se ne discute da anni ma fino ad oggi la situazione è cambiata poco. Eppure si tratta di misure importanti per dare la stura al processo di digitalizzazione”, evidenzia Stasi. “Si è detto, promosso e normato ma non si è ancora passati all’azione. E il nodo da sciogliere è proprio questo: agire”.
Il tempo delle chiacchiere sarebbe finito da un pezzo, ma questa agenda digitale resta sempre ai blocchi. Quando partirà sarà sempre troppo tardi, ma se non parte proprio sarà un disastro. Se dovremo aspettare il prossimo Governo stabile, rischiamo seriamente di diventare vecchi con la carta in mano e le macerie attorno.
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