Cassazione: abuso del processo se il creditore aziona più esecuzioni in base ad un unico titolo

Con recente sentenza n. 8576, depositata in data 9 aprile 2013 dalla III^ sezione civile della Corte di Cassazione, è stato ribadito nell’ambito del processo esecutivo il principio del divieto di frazionamento del credito originariamente unitario in più parti, ove tanto comporti un’indebita maggiorazione dell’aggravio per il debitore, in quanto non giustificata da particolari esigenze di effettiva tutela del credito.

Il caso oggetto della richiamata pronuncia è quello di un creditore (un privato cittadino) che ha artificiosamente azionato ben tre differenti procedure esecutive a carico del debitore (un Comune) in base ad un unico titolo (ovvero una sentenza di condanna al risarcimento dei danni patiti per l’accessione invertita di un immobile), così attivando una procedura per la sorte capitale, una per le spese di lite, ed un’altra ancora per gli interessi legali asseritamente riconosciutigli.

Tale condotta del creditore è «abusiva» perché si pone in contrasto con il canone della buona fede oggettiva e di correttezza valevole anche nel processo esecutivo.

La riferita fattispecie è, infatti, intrinsecamente diversa dalla normale facoltà del creditore di azionare più volte il medesimo titolo esecutivo, fino al completo soddisfacimento del credito da esso recato e con il solo limite del divieto di indebito cumulo, di cui all’art. 483 cod. proc. civ.:

– in tale differente ipotesi, infatti, i plurimi processi esecutivi hanno sempre ad oggetto il credito nella sua interezza e totalità, come recato dall’unitario titolo esecutivo;

– la pluralità e la compresenza di processi si giustifica in base alla diversa fruttuosità di una piuttosto che di altra delle tipologie di processo esecutivo;

– al contrario, la contemporanea pendenza si arresta con la particolare procedura prevista dal richiamato art. 483 cod. proc. Civ., rimettendosi al giudice di individuare, per limitare il disagio del debitore, i mezzi di espropriazione a quelli più idonei – e cioè più fruttuosi – in relazione alla peculiarità della fattispecie concreta.

Il frazionamento del credito originariamente unitario e l’attivazione di separati processi esecutivi per singole sue voci o frammenti sono, ben al contrario, cosa del tutto diversa, perché con essi si scinde un credito unitario e la pluralità di processi è artificiosamente creata con la scomposizione del credito e la moltiplicazione delle facoltà di agire esecutivamente: beninteso, ove non si colgano particolari elementi che giustifichino tale scelta del creditore in relazione alla straordinaria difficoltà di agire per l’intero.

Di qui, l’estensione al processo esecutivo del principio del divieto di frazionamento del credito originariamente unitario in più parti.

È infatti evidente l’identità di ratio in ordine all’applicazione, pure in ambito processuale e nel contesto dei canoni costituzionalizzati del giusto processo, del principio di buona fede, allo stato già affermato per il processo di cognizione (cfr. Cass. Sez. un. 15/11/2007, n. 23726; seguita poi, tra le altre, da: Cass. Sez. un. 20/11/2009, n. 24539; Cass. Civ. sent. 03/12/2008 n. 28719; Cass. Civ. sent. 11/06/2008 n. 15476; Cass. 18 marzo 2010, n. 6597; Cass. civ. Sez. III, Sent. 22/12/2011, n. 28286).

A ben vedere, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha rilevato la costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e di correttezza, quale estrinsecazione del dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., siccome tendente a comprendere nella funzione del rapporto obbligatorio pure la tutela della controparte, nel perseguimento di un giusto equilibrio tra gli opposti interessi. E dall’operatività del principio di buona fede sul piano negoziale, ove ad esso sono riconosciuti effetti modificativi od integrativi dell’autoregolamentazione delle parti, si è fatta derivare la sua estensione o proiezione anche nel campo processuale, nel quale i diritti stessi devono trovare tutela nella patologica evenienza della loro contestazione o mancata spontanea applicazione.

Così l’esigenza di un tale originario equilibrio nel rapporto obbligatorio va mantenuta ferma in ogni successiva fase, sicché l’equilibrio non può essere alterato in danno del debitore ad iniziativa unilaterale del creditore, se non a prezzo di un autentico abuso del processo; nozione che presuppone l’esercizio del potere da parte di chi ne è pur sempre titolare legittimo, ma per scopi diversi da quelli per i quali quel potere è riconosciuto dalla legge: scopi ulteriori e deviati, in genere extraprocessuali, rispetto a quelli tipici ed usuali, tanto che l’abuso si caratterizza nel “fine esterno” dell’iniziativa processuale, cioè nella non corrispondenza tra il mezzo processuale ed il suo fine.

Fine del processo esecutivo è certo il soddisfacimento del credito consacrato nel titolo esecutivo in favore del creditore ed in danno del debitore, ma evidenti esigenze sistematiche di equità, economicità e proficuità del processo, impongono che tanto avvenga con il minor possibile sacrificio delle contrapposte ragioni di entrambi i soggetti: vale a dire, il creditore ha diritto ad ottenere né più né meno di quanto gli compete in forza del titolo (sia pure, se necessario, avendo la facoltà di azionarlo più volte o con più procedure, comunque non oltre l’integrale soddisfacimento del credito e con il limite del divieto del cumulo ai sensi dell’art. 483 cod. proc. Civ.), ma va correlativamente tutelata l’aspettativa del debitore a non vedere diminuito il suo patrimonio in misura eccedente quanto sia strettamente necessario per la realizzazione del diritto del creditore.

In conclusione, con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato che “una condotta tendente a far conseguire al creditore più di quanto gli compete, come l’ingiustificato azionamento frazionato del credito in origine unitario recato dal titolo esecutivo implica un’indebita prevaricazione del creditore sulla controparte, sia per l’assoggettamento del debitore ai dispendi originati dall’ingiustificata moltiplicazione dei processi esecutivi, sia per la carenza di causa dell’eventuale locupletazione conseguibile dal creditore, ad esempio per maggiori rimborsi di spese e compensi”, con la conseguente qualificazione di detta condotta come abusiva.

 

Stefano Bertuzzi

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