Abogados in Corte Ue: ricorso e conclusioni, i documenti ufficiali

Redazione 11/04/14
Ecco i documenti alla base del ricorso sugli abogados, le cui premesse potrebbero portare a una soluzione definitiva del caso che sta tenendo in sospeso la posizione professionale di migliaia di possibili avvocati, ancora in bilico tra l’equiparazione del titolo all’estero e la ritrosia delle istituzioni nazionali.

E’ di ieri la notizia che il pronunciamento dell’Avvocato generale presso la Corte di giustizia europea ha negato la possibilità di abuso del diritto per quei laureati che ottengano l’abilitazione professionale in un Paese straniero appartenente all’Unione europea. Secondo le domande pervenute al Cnf, le località più gettonate per ottenere il tesserino di avvocato, sono le Spagna e la Romania, dove le procedure per esercitare la professione sarebbero meno macchinose che in Italia.

Così, ieri è stato messo a segno un punto importante per tutti gli abogados – o legali certificati in Romania – che siano ancora in attesa di una conversione del titolo abilitante al quadro forense italiano. Un po’ come successo, del resto, ai due cittadini che hanno presentato ricorso al Cnf per il mancato riconoscimento dell’equivalenza del titolo ottenuto in Spagna da parte dell’Ordine di Macerata.

Una questione rimessa, da parte dello stesso Consiglio nazionale forense, alla Corte di giustizia europea, chiamata a pronunciarsi sull’equipollenza delle autorizzazioni a svolgere il mestiere di difensore legale ottenute in un altro Paese.

Ecco, di seguito, i documenti ufficiali della vertenza in atto alla Corte Ue, con il ricorso presentato dai due avvocati in attesa di autorizzazione, e il pronunciamento, diffuso proprio ieri, dell’Avvocato generale Nils Wahl.

 

 

Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio Nazionale Forense (Italia) il 4 febbraio 2013 – Angelo Alberto Torresi / Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata

 

(Causa C-58/13)

 

Lingua processuale: l’italiano

 

Giudice del rinvio

 

Consiglio Nazionale Forense

 

Parti nella causa principale

 

Ricorrente: Angelo Alberto Torresi

 

Convenuto: Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata

 

Questioni pregiudiziali

 

Se l’art. 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata alla luce del principio generale del divieto di abuso del diritto e dell’art. 4, par. 2, TUE relativo al rispetto delle identità nazionali, debba essere interpretato nel senso di obbligare le autorità amministrative nazionali ad iscrivere nell’elenco degli avvocati stabiliti cittadini italiani che abbiano realizzato contegni abusivi del diritto dell’Unione, ed osti ad una prassi nazionale che consenta a tali autorità di respingere le domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti qualora sussistano circostanze oggettive tali da ritenere realizzata la fattispecie dell’abuso del diritto dell’Unione, fermi restando, da un lato, il rispetto del principio di proporzionalità e non discriminazione e, dall’altro, il diritto dell’interessato di agire in giudizio per far valere eventuali violazioni del diritto di stabilimento, e dunque la verifica giurisdizionale dell’attività dell’amministrazione.

 

In caso di risposta negativa al quesito sub 1), se l’art. 3 della direttiva 98/5/CE, così interpretato, debba ritenersi invalido alla luce dell’art. 4, par. 2, TUE nella misura in cui consente l’elusione della disciplina di uno Stato membro che subordina l’accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia.

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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 10 aprile 2014 (1)

Cause riunite C‑58/13 e C‑59/13

Angelo Alberto Torresi

contro

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata

Pierfrancesco Torresi

contro

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata

(Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Consiglio Nazionale Forense)

«Nozione di “organo giurisdizionale di uno Stato membro” – Consiglio Nazionale Forense – Indipendenza – Imparzialità – Articolo 3 della direttiva 98/5/CE – Validità – Esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica – Abuso del diritto – Rispetto dell’identità nazionale»

1.        I sigg. Angelo Alberto Torresi e Pier Francesco Torresi (in prosieguo: i «sigg. Torresi») sono cittadini italiani che, dopo aver acquisito il diritto di usare il titolo professionale di «abogado» in Spagna, hanno richiesto l’iscrizione al competente Consiglio dell’ordine degli avvocati in Italia per poter esercitare con tale titolo la professione in Italia. Le loro domande erano basate sulle leggi italiane di trasposizione della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (2).

2.        Poiché il Consiglio dell’ordine degli avvocati locale non si è pronunciato su tali domande entro il termine previsto, i sigg. Torresi hanno presentato ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (in prosieguo: il «CNF»). Nel corso di tale procedimento, il CNF ha deciso di deferire alla Corte, in base al procedimento di rinvio pregiudiziale, due questioni riguardanti l’interpretazione e la validità della direttiva 98/5, alla luce dei principi che vietano l’«abuso del diritto» e impongono il «rispetto dell’identità nazionale».

3.        A mio avviso, la risposta a tali questioni è abbastanza evidente. Tuttavia, prima di trattare le questioni sostanziali sollevate dalla fattispecie, occorre risolvere, anzitutto, una questione di natura procedurale, e cioè se il CNF sia, nel procedimento principale, competente a sollevare questioni dinanzi alla Corte in base al procedimento di rinvio pregiudiziale.

4.        Tale questione impone, prima di tutto, di considerare la portata e la funzione dei criteri di indipendenza e di imparzialità nel contesto della nozione di «organo giurisdizione di uno Stato membro» ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea

5.        L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/5 prevede quanto segue:

«Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine».

6.        L’articolo 3 della direttiva 98/5, rubricato «Iscrizione presso l’autorità competente», così dispone:

«1.      L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.

2.      L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. (…)».

7.        L’articolo 9 della direttiva 98/5, rubricato «Motivazione e ricorso giurisdizionale», così prevede:

«Le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione di cui all’articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari devono essere motivate.

Tali decisioni sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno».

B –    Diritto italiano

8.        L’Italia ha trasposto la direttiva 98/5 mediante il decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 96 (in prosieguo: il «decreto legislativo 96/2001») (3).

9.        Ai sensi dell’articolo 6, commi da 1 a 3, del decreto legislativo 96/2001, per poter esercitare in Italia la professione di avvocato con un titolo ottenuto nello Stato di origine, i cittadini degli Stati membri devono presentare, nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, domanda di iscrizione nella sezione speciale dell’albo prevista per gli avvocati che hanno ottenuto la qualifica fuori dall’Italia. La domanda deve essere corredata dei documenti che attestino il possesso della cittadinanza dell’Unione da parte del richiedente, la sua residenza o domicilio professionale e la sua iscrizione all’organizzazione professionale dello Stato membro di origine.

10.      Ai sensi dell’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 96/2001, il Consiglio dell’ordine locale, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda o dalla sua integrazione, «accertata la sussistenza della condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilità, ordina l’iscrizione nella sezione speciale e ne dà comunicazione alla corrispondente autorità dello Stato membro di origine». A sua volta, l’articolo 6, comma 8, dello stesso atto normativo dispone che, qualora il Consiglio dell’ordine locale non provveda sulla domanda nel termine prescritto, l’interessato può, entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine, presentare ricorso al CNF, il quale decide «sul merito dell’iscrizione».

11.      All’epoca dei fatti, la composizione, il ruolo e le attività del CNF erano disciplinati principalmente dal regio decreto‑legge del 27 novembre 1933, n. 1578 (in prosieguo: il «decreto‑legge 1578/1933») (4), dal regio decreto del 22 gennaio 1934, n. 37 (in prosieguo: il «decreto 37/1934») (5) e da altri atti normativi secondari (6).

12.      Il CNF ha sede a Roma, presso il Ministero della Giustizia, ed è composto da 26 membri (corrispondenti al numero dei distretti di Corte d’appello) eletti dai loro pari tra gli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori italiane.

13.      Ai sensi degli articoli 31 e 54 del decreto‑legge 1578/1933, il CNF decide sui ricorsi contro le decisioni dei Consigli dell’ordine locali relative alle iscrizioni negli albi degli avvocati e ai provvedimenti disciplinari. A norma dell’articolo 56 di tale decreto, contro le decisioni del CNF si può ricorrere alle Sezioni Unite della Corte di cassazione «per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge».

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

14.      I sigg. Torresi hanno ottenuto entrambi una laurea in giurisprudenza (Licenciado en Derecho) in Spagna e, il 1° dicembre 2011, sono stati iscritti come «abogado ejerciente» dall’Ilustre Colegio de Abogados de Santa Cruz de Tenerife (ordine degli avvocati di Santa Cruz de Tenerife).

15.      Il 17 marzo 2012, entrambi i sigg. Torresi hanno presentato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata una domanda di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero [in prosieguo: gli «avvocati stabiliti»]. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata non ha tuttavia deciso sulle domande entro il termine di trenta giorni prescritto dalla legge italiana (7).

16.      Pertanto, il 19 aprile 2012, entrambi i sigg. Torresi hanno presentato domanda al CNF per ottenere una decisione sul merito della propria iscrizione (8).

17.      Avendo dubbi sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5, il CNF ha deciso di sospendere il procedimento e di chiedere una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1)      Se l’art. 3 della [direttiva 98/5], alla luce del principio generale del divieto di abuso del diritto e dell’art. 4, paragrafo 2, TUE relativo al rispetto delle identità nazionali, debba essere interpretato nel senso di obbligare le autorità amministrative nazionali ad iscrivere nell’elenco degli avvocati stabiliti cittadini italiani che abbiano realizzato contegni abusivi del diritto dell’Unione, ed osti ad una prassi nazionale che consenta a tali autorità di respingere le domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti qualora sussistano circostanze oggettive tali da ritenere realizzata la fattispecie dell’abuso del diritto dell’Unione, fermi restando, da un lato, il rispetto del principio di proporzionalità e non discriminazione e, dall’altro, il diritto dell’interessato di agire in giudizio per far valere eventuali violazioni del diritto di stabilimento, e dunque la verifica giurisdizionale dell’attività dell’amministrazione;

2)      In caso di risposta [affermativa alla prima questione], se l’art. 3 della direttiva 98/5, così interpretato, debba ritenersi invalido alla luce dell’art. 4, paragrafo 2, TUE nella misura in cui consente l’elusione della disciplina di uno Stato membro che subordina l’accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia».

18.      Sono state presentate osservazioni scritte dai sigg. Torresi, dai governi italiano, spagnolo, austriaco, polacco e rumeno, dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione. I sigg. Torresi, i governi italiano e spagnolo, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione hanno anche esposto argomenti orali all’udienza dell’11 febbraio 2014.

III – Analisi

A –    Competenza

19.      Secondo una giurisprudenza costante, per valutare se l’organo remittente possieda le caratteristiche di «organo giurisdizionale» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, questione unicamente di diritto dell’Unione, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (9).

20.      È importante notare che, come ha chiarito la Corte, un organo nazionale può essere classificato come un organo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE quando esercita funzioni giurisdizionali, anche se non è riconosciuto come tale quando esercita funzioni di natura amministrativa. Così, nel caso di un organo a cui la legge affida diverse categorie di funzioni – è il caso del CNF, come vedremo – la Corte ha dichiarato che è necessario determinare quale funzione esercita tale organo nel particolare contesto normativo in cui chiede una pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE (10). A tal riguardo, la Corte ha attribuito una particolare importanza al fatto che vi sia una «lite» pendente dinanzi a tale organo e che quest’ultimo sia chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (11).

21.      Nella presente causa, i sigg. Torresi hanno dedotto due motivi a sostegno della loro affermazione secondo cui il CNF non è un «organo giurisdizionale di uno Stato membro» ai fini dell’articolo 267 TFUE. In primo luogo, a loro avviso, il CNF non soddisfa il criterio dell’indipendenza, poiché i suoi membri non possono essere considerati imparziali. In secondo luogo, essi sostengono che le funzioni esercitate dal CNF sono meramente amministrative, in quanto la decisione emessa al termine del procedimento è di natura amministrativa.

22.      Esporrò di seguito i motivi per cui ritengo che, nel procedimento principale, il CNF sia competente a deferire questioni alla Corte in via pregiudiziale. A tal fine, esaminerò innanzitutto i due criteri che i sigg. Torresi ritengono non soddisfatti. In seguito, esaminerò brevemente se gli altri criteri indicati nella giurisprudenza della Corte siano soddisfatti.

1.      Indipendenza e imparzialità

23.      In primo luogo, i sigg. Torresi hanno espresso dubbi sull’imparzialità del CNF. Tale organo è in effetti composto esclusivamente da avvocati abilitati, che potrebbero quindi avere un comune interesse ad escludere dal mercato potenziali concorrenti che abbiano ottenuto all’estero la loro qualifica professionale. A tal riguardo, i sigg. Torresi citano in particolare la sentenza della Corte nella causa Wilson (12).

24.      Innanzitutto, occorre ricordare che, nella sentenza Gebhard (13), la Corte ha già ammesso una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE su questioni sollevate dal CNF riguardo all’interpretazione della direttiva 77/249/CEE intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (14). Benché la sentenza emessa nella causa Gebhard non faccia esplicitamente riferimento alla competenza della Corte a rispondere alle questioni pregiudiziali, da ciò non può desumersi che la Corte abbia trascurato tale aspetto della controversia. In effetti, nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Léger ha trattato tale aspetto e ha affermato che, nel procedimento principale in questione, il CNF doveva essere ritenuto un «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE (15). Inoltre, è ben noto che le questioni relative alla competenza della Corte, compresa la sua competenza ai sensi dell’articolo 267 TFUE, sono questioni di ordine pubblico e, in quanto tali, possono – e, nel caso, devono – essere sollevate d’ufficio dalla Corte (16). Di conseguenza, ritengo che, qualora il rinvio pregiudiziale nella causa Gebhard fosse stato inammissibile per difetto di competenza, la Corte avrebbe rilevato (e avrebbe dovuto rilevare) d’ufficio tale difetto, specialmente in considerazione del fatto che tale questione era stata sollevata dall’avvocato generale.

25.      Tuttavia, poiché la sentenza Gebhard risale al 1995, ci si può chiedere se nel frattempo la nozione di «organo giurisdizionale» ai sensi dell’articolo 267 TFUE si sia evoluta. In particolare, ci si può domandare se la sentenza Gebhard sul punto in questione sia stata implicitamente superata dalla più recente sentenza pronunciata nella causa Wilson.

26.      Personalmente, non sono contrario in via di principio all’idea che l’interpretazione dei criteri elaborati nella giurisprudenza della Corte possa evolversi nel corso del tempo e che, ove opportuno, tali criteri possano essere applicati in modo più rigoroso, alla luce delle condizioni attuali.

27.      Ritengo infatti che sia di fondamentale importanza che la Corte adotti una certa flessibilità nella sua valutazione dei criteri relativi all’articolo 267 TFUE, e ciò per due motivi. Da un lato, le differenze tra gli ordinamenti degli attuali 28 Stati membri sono troppo marcate per essere inglobate in un’unica definizione onnicomprensiva di «organo giurisdizionale». Dall’altro, è innegabile che tali ordinamenti, comprese le strutture e l’organizzazione della magistratura, sono sottoposti a un’evoluzione continua. A mio avviso, è imperativo che la giurisprudenza della Corte tenga conto di tali cambiamenti che avvengono a livello nazionale ed evolva in armonia con essi.

28.      Inoltre, in altre occasioni ho argomentato a favore di un approccio più rigoroso nell’esame di vari aspetti dell’ammissibilità in relazione a domande di pronuncia pregiudiziale (17).

29.      Tuttavia, a differenza dei sigg. Torresi, non ritengo che, sulla scia della sentenza Wilson, il criterio dell’indipendenza ai sensi dell’articolo 267 TFUE si sia evoluto – o comunque debba evolversi – nel senso di un maggior rigore. Di conseguenza, spiegherò innanzitutto perché, a mio parere, nella sentenza Wilson la Corte non ha inteso operare un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla sentenza Gebhard. Successivamente, illustrerò le ragioni per cui, in ogni caso, non credo che la Corte debba operare un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla sentenza Gebhard, estendendo il ragionamento della sentenza Wilson ad un contesto normativo diverso.

a)      La sentenza Wilson non ha operato un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla sentenza Gebhard

30.      Nella causa Wilson, la Cour administrative (Corte d’appello amministrativa) del Lussemburgo ha deferito alla Corte questioni relative al sistema di riesame delle decisioni di diniego dell’ammissione di una persona alla professione di avvocato in Lussemburgo. In sostanza, tali questioni riguardavano la compatibilità di alcune disposizioni del diritto lussemburghese con i requisiti previsti dalla direttiva 98/5.

31.      Nella sua decisione, la Corte ha statuito che i procedimenti di riesame dinanzi al Conseil disciplinaire et administratif (Consiglio disciplinare ed amministrativo) o al Conseil disciplinaire et administratif d’appel (Consiglio disciplinare ed amministrativo d’appello) (in prosieguo: i «Consigli»), previsti dalla legge lussemburghese del 10 agosto 1991 sulla professione di avvocato, non costituivano un «ricorso giurisdizionale» adeguato ai fini dell’articolo 9 della direttiva 98/5. La Corte ha dichiarato che i Consigli, composti esclusivamente o principalmente da avvocati di nazionalità lussemburghese, non offrivano garanzie sufficienti di imparzialità (18).

32.      Innanzitutto è importante rilevare che, nella sentenza Wilson, la Corte non ha ritenuto inammissibile per difetto di competenza una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da uno dei Consigli; piuttosto, ad essa è stato semplicemente chiesto, da parte di un tribunale amministrativo, di accertare la compatibilità della legge lussemburghese pertinente con l’articolo 9 della direttiva 98/5. È in tale specifico contesto che la Corte ha «preso a prestito» i princìpi elaborati in relazione all’articolo 267 TFUE per interpretare tale disposizione. Pertanto, la prospettiva dalla quale l’analisi svolta dalla Corte ha preso le mosse in detta causa era diversa. Questo è un punto cruciale su cui ritornerò in seguito.

33.      Fondamentalmente, ritengo che la sentenza Wilson s’iscriva in quella linea giurisprudenziale in cui la Corte ha dichiarato che gli organi nazionali chiamati a statuire sui ricorsi contro le decisioni emesse dagli organismi professionali possono (19) o meno (20) rientrare nella nozione di «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE, a seconda delle specifiche circostanze del caso concreto.

34.      A tal riguardo, vorrei ricordare che, a partire dalla sentenza Corbiau, la Corte ha chiarito che la nozione di indipendenza deve essere intesa come un requisito che, nel contesto del procedimento principale, l’organo nazionale si trovi «in posizione di terzietà rispetto [all’autorità] che ha adottato la decisione che costituisce oggetto del ricorso» (21).

35.      Nella sentenza Wilson, la Corte ha precisato che la nozione di indipendenza presenta due aspetti, uno esterno e l’altro interno. L’aspetto esterno presuppone che l’organo che richiede la pronuncia pregiudiziale sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte. Indicherò tale aspetto come indipendenza in senso stretto.

36.      L’aspetto interno si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l’oggetto di quest’ultima. Tale aspetto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica. Indicherò questo aspetto come imparzialità.

37.      Secondo la Corte, tali garanzie di indipendenza (in senso stretto) e di imparzialità implicano «l’esistenza di disposizioni, relative, in particolare, alla composizione dell’organo e alla nomina, durata delle funzioni, cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità del detto organo rispetto a elementi esterni ed alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti» (22).

38.      Nella sentenza Wilson, dopo un’analisi del quadro normativo pertinente, la Corte ha concluso che tali garanzie non erano presenti. In primo luogo, nel diritto lussemburghese non vi erano disposizioni specifiche relative alla ricusazione o all’astensione dei membri dei Consigli, né disposizioni volte a tutelare gli stessi da interventi o pressioni indebiti da parte dell’esecutivo, ad esempio disposizioni che garantissero la libertà da direttive. In secondo luogo, la Corte ha tenuto conto del fatto che, in base al diritto lussemburghese, i membri dei Consigli erano tutti, o in maggioranza, avvocati di nazionalità lussemburghese (23) eletti dai due locali consigli dell’ordine degli avvocati, e cioè dagli stessi organi di cui erano chiamati a sindacare le decisioni. Inoltre, la Corte ha osservato che i membri dei locali consigli dell’ordine degli avvocati e quelli dei Consigli avevano un interesse comune, ossia quello di confermare una decisione che escludeva dal mercato un concorrente che aveva acquisito la sua qualifica professionale in un altro Stato membro.

39.      Al contrario, le leggi italiane pertinenti alla presente causa contengono disposizioni finalizzate a garantire sia l’indipendenza in senso stretto, sia l’imparzialità dei membri del CNF.

40.      In particolare, l’articolo 49 del decreto‑legge 1578/1933 e l’articolo 2 del decreto legislativo 597/1947 dispongono che, nei procedimenti dinanzi al CNF, le parti possono ricusare i membri del CNF per gli stessi motivi previsti dal codice di procedura civile per la ricusazione dei giudici ordinari. Tali disposizioni prevedono inoltre che i membri del CNF chiamati a decidere su un ricorso devono astenersi quando vi sia un motivo di ricusazione da essi conosciuto, anche se non sia stato proposto dalle parti (24).

41.      Inoltre, esistono norme destinate a garantire la permanenza in carica dei membri del CNF. Essi sono eletti per tre anni e restano in carica fino a quando subentra una nuova formazione dell’organo a seguito di elezioni (25). Né il Ministro della Giustizia, né alcun’altra autorità pubblica ha il potere di revocare un membro del CNF o di costringerlo a dimettersi (26). Non esiste infatti alcun vincolo gerarchico o funzionale con tali autorità pubbliche. Lo stesso presidente del CNF non ha alcun potere sugli altri componenti dell’organo o sulle decisioni di esso su cui non sia d’accordo (27).

42.      Inoltre, non vi può essere alcun legame personale tra il CNF e i Consigli degli ordini locali, poiché, a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 382/1944, l’appartenenza a un Consiglio dell’ordine locale è incompatibile con l’appartenenza al CNF. Peraltro, il diritto italiano non contiene disposizioni che riservino l’appartenenza al CNF agli avvocati di nazionalità italiana (28). È poi importante non trascurare il fatto che, al pari di tutti gli altri avvocati iscritti nell’albo degli avvocati, anche quelli iscritti nella sezione speciale di tale albo riservata agli avvocati stabiliti hanno diritto a votare nelle elezioni per la nomina dei membri del CNF (29). Inoltre, sarebbe eccessivo affermare che i membri del CNF siano in concorrenza più o meno diretta con gli avvocati stabiliti che chiedono l’iscrizione, poiché questi ultimi, oltre ad essere iscritti in sezioni diverse dell’albo degli avvocati (30), operano in distretti di Corte d’appello diversi (31).

43.      Il requisito legale dell’imparzialità del CNF nelle controversie sottoposte alla sua decisione è ulteriormente confermato dal fatto che, a differenza del locale Consiglio dell’ordine competente, esso non può essere parte dello speciale procedimento di impugnazione nei confronti delle proprie decisioni dinanzi alla Corte di cassazione, «per la sua posizione di terzietà rispetto alla controversia» (32).

44.      In conclusione, ritengo che le sentenze Gebhard e Wilson debbano essere distinte l’una dall’altra a causa della netta differenza tra i rispettivi contesti di fatto e di diritto sottostanti. Non rinvengo, nel testo della più recente delle due sentenze, alcun elemento che possa essere interpretato nel senso che la Corte abbia voluto operare un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla meno recente di esse.

b)      La sentenza Wilson non dovrebbe costituire un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla sentenza Gebhard

45.      Ed è ancora più importante osservare, dal mio punto di vista, che la Corte non dovrebbe in ogni caso operare un mutamento di indirizzo giurisprudenziale rispetto alla sentenza Gebhard, applicando ipso facto il ragionamento elaborato nella sentenza Wilson ad un altro contesto normativo.

46.      Come sopra rilevato, nella sentenza Wilson la Corte non ha dichiarato inammissibile una domanda di pronuncia pregiudiziale, ma ha soltanto risposto a questioni, sollevate dinanzi ad essa dalla Cour administrative del Lussemburgo, sulla compatibilità della pertinente legge lussemburghese con l’articolo 9 della direttiva 98/5.

47.      Mi sembra evidente che, se l’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 98/5 deve essere correttamente trasposto nel diritto nazionale, quest’ultimo deve prevedere un ricorso che – tra le altre caratteristiche – sia pienamente conforme ai requisiti di cui all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU») e all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (33). Viceversa, non mi sembra affatto evidente che, nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione, l’articolo 267 TFUE imponga un requisito così rigoroso affinché un organo giurisdizionale nazionale possa adire la Corte in base al procedimento di rinvio pregiudiziale.

48.      Al contrario, proprio le ragioni a favore di un’applicazione rigorosa dell’articolo 6 della CEDU e dell’articolo 47 della Carta sembrano militare in favore di un’interpretazione meno rigida della nozione di «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE.

49.      Un’applicazione rigorosa dei requisiti di cui all’articolo 6 della CEDU e all’articolo 47 della Carta è necessaria per rafforzare la protezione degli individui e per garantire un elevato standard di tutela dei diritti fondamentali. Tuttavia, un’applicazione eccessivamente rigorosa dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte sull’ammissibilità dei rinvii pregiudiziali ai sensi dell’articolo 267 TFUE rischierebbe di produrre il risultato opposto: i singoli sarebbero privati della possibilità di sottoporre le loro rivendicazioni basate sul diritto dell’Unione al «giudice naturale» (la Corte di giustizia) e, di conseguenza, l’efficacia del diritto dell’UE in tutta l’Unione europea ne risulterebbe indebolita.

50.      Per essere chiari, non sto proponendo alla Corte di adottare un atteggiamento meno rigoroso rispetto al criterio dell’indipendenza (o, in ogni caso, rispetto a qualsiasi altro criterio).

51.      I redattori dei Trattati hanno chiaramente configurato il procedimento di rinvio pregiudiziale come uno strumento di «dialogo tra giudici». In tale contesto, si deve tener presente che al centro dell’architettura giudiziaria dell’Unione europea sono posti due princìpi fondamentali: la sussidiarietà e l’autonomia procedurale (34). Di conseguenza, il procedimento di rinvio pregiudiziale è stato concepito, più di ogni altro procedimento previsto nei trattati dell’Unione europea, per far sì che i giudici nazionali e i giudici dell’Unione collaborino come se appartenessero a un’unica comunità di diritto (35). In tale contesto, è evidente che i criteri di indipendenza in senso stretto e di imparzialità svolgono una funzione importante in quanto requisiti insiti nella nozione di «organo giurisdizionale» nel moderno pensiero giuridico e politico (36).

52.      Sconsiglio tuttavia di trattare la sentenza Wilson come un precedente che, apportando un’innovazione nella giurisprudenza anteriore, imponga ora alla Corte di procedere a un’analisi approfondita di tutte le circostanze che possano far dubitare dell’imparzialità (o dell’indipendenza in senso stretto) dell’organo del rinvio.

53.      Ogniqualvolta sia chiaro che a un organo nazionale è formalmente attribuito lo status di organo giurisdizionale nel rispettivo ordinamento giuridico, e che – conformemente alla giurisprudenza della Corte – nel diritto nazionale esistono disposizioni idonee a garantire l’indipendenza in senso stretto e l’imparzialità di tale organo e dei suoi componenti, non credo che l’analisi della Corte debba spingersi oltre. Come la stessa Corte ha dichiarato nella sentenza Köllensperger e Atzwanger, non spetta alla Corte presumere che tali disposizioni possano essere applicate in modo contrario ai principi sanciti nell’ordinamento giuridico interno o ai «principi dello Stato di diritto» (37).

54.      Pertanto, a meno che esistano disposizioni specifiche del diritto dell’Unione (come l’articolo 9, secondo comma, della direttiva 98/5) che richiedono una tale valutazione, la questione se il sistema nazionale dei ricorsi presenti carenze in termini di indipendenza o di imparzialità può essere lasciata alla valutazione ed eventualmente alla correzione degli organi legislativi (o giurisdizionali) nazionali, ma non è chiaramente una questione di diritto dell’Unione.

55.      Con le presenti ordinanze di rinvio, alla Corte non è stato chiesto se il meccanismo di ricorso dinanzi al CNF sia conforme all’articolo 9, secondo comma, della direttiva 98/5, né tale questione può essere sollevata d’ufficio dalla Corte. Se le garanzie stabilite dalla sua giurisprudenza sono soddisfatte (come avviene, a mio avviso, nel caso del CNF), non vi sono ragioni perché la Corte rifiuti di emettere una decisione sulla base di una presunta mancanza di imparzialità o di indipendenza in senso stretto da parte dell’organo del rinvio.

56.      Una soluzione diversa sarebbe in effetti preoccupante. Un rapido esame degli ordinamenti giuridici degli Stati membri rivela che, in molti paesi, esistono organi giurisdizionali interamente o parzialmente composti non da giudici professionisti, ma da rappresentanti delle professioni o dei gruppi sociali ed economici. Ad esempio, la celebre causa Laval Un Partneri (38), decisa dalla Grande Sezione della Corte nel 2007, riguardava una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbetsdomstolen, il tribunale del lavoro della Svezia, composto sia da membri che rappresentano gli interessi dei datori di lavoro e dei dipendenti, sia da giudici professionisti.

57.      Se si portasse il ragionamento della sentenza Wilson alle estreme conseguenze, come sostenuto dai sigg. Torresi, la Corte avrebbe dovuto chiedersi se alcuni membri dall’Arbetsdomstolen non potessero avere un comune interesse ad escludere la concorrenza straniera dal settore dell’edilizia svedese. Tale approccio avrebbe potuto indurre la Corte a declinare la propria competenza.

58.      Analogamente, ricordo che la Corte ha ammesso domande di pronuncia pregiudiziale proposte dall’Arbejdsret (tribunale del lavoro della Danimarca) (39) e dal Faglige Voldgiftsret (tribunale arbitrale del lavoro della Danimarca) (40), che non solo hanno una composizione simile a quella dell’Arbetsdomstol (41), ma fanno anche parte di un sistema di risoluzione delle controversie che – sebbene istituito e disciplinato dalla legge – in un certo senso esiste parallelamente a quello dei tribunali ordinari danesi.

59.      Peraltro, un’interpretazione eccessivamente rigorosa del criterio dell’imparzialità sarebbe anche difficile da conciliare con la tesi secondo cui, in determinate circostanze, anche un tribunale arbitrale potrebbe essere considerato come un «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE.

60.      L’interpretazione della sentenza Wilson nel senso che essa imporrebbe alla Corte di svolgere una nuova e approfondita analisi per determinare se gli organi giurisdizionali nazionali possiedano la necessaria indipendenza e imparzialità, andando al di là della verifica formale del fatto che le leggi nazionali prevedano garanzie sufficienti a tal riguardo, produrrebbe pertanto conseguenze di vasta portata. Un numero non trascurabile di organi giurisdizionali nazionali rischierebbe di non rientrare nella nozione di «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE, il che indebolirebbe il sistema di protezione delle persone fisiche, compromettendo l’efficacia del diritto dell’Unione.

61.      Concluderei pertanto che il criterio dell’indipendenza sembra soddisfatto dal CNF.

2.      Esercizio di funzioni giurisdizionali

62.      In secondo luogo, i sigg. Torresi sostengono che, per quanto riguarda le iscrizioni nell’albo degli avvocati, e a differenza che in materia disciplinare, il CNF esercita soltanto funzioni amministrative. Infatti, la decisione emessa dal CNF all’esito del procedimento dovrebbe essere considerata come un atto di natura amministrativa.

63.      Tuttavia, non dovrebbe trascurarsi il fatto che, nella causa Gebhard, il CNF era stato investito di due ricorsi proposti dal sig. Gebhard, un avvocato tedesco stabilito in Italia: uno per contestare una sanzione disciplinare inflitta dal Consiglio dell’ordine di Milano, e l’altro per impugnare il rigetto implicito, da parte dello stesso Consiglio dell’ordine, della sua domanda di iscrizione all’albo degli avvocati.

64.      Se gli argomenti proposti dai sigg. Torresi dovessero ritenersi fondati, ne deriverebbe che, nella sentenza Gebhard, la Corte avrebbe stabilito la propria competenza unicamente sulla base del primo ricorso, e non rispetto al secondo. Tuttavia, dalla sentenza Gebhard non si evince alcuna conferma di tale lettura. Al contrario, in quella sentenza la Corte ha sottolineato i legami tra i due ricorsi proposti dal sig. Gebhard (42). Inoltre, nelle sue conclusioni nella predetta causa, l’avvocato generale Léger è giunto alla conclusione che, in relazione a entrambi i ricorsi, il CNF esercitava funzioni giurisdizionali (43). Ritengo che le considerazioni esposte dal sig. Léger su tale punto siano convincenti.

65.      In ogni caso, mi sembra che la somiglianza tra i due procedimenti pendenti dinanzi al CNF nella causa Gebhard derivi dalle leggi italiane applicabili. Entrambi i procedimenti erano essenzialmente disciplinati dalle stesse disposizioni, e cioè dagli articoli 54 e 56 del decreto‑legge 1578/1933 e dagli articoli da 59 a 65 del decreto 37/1934.

66.      Infine, non possono rinvenirsi differenze tra i due procedimenti nella pratica quotidiana del CNF. Il regolamento di procedura del CNF opera una netta distinzione tra le «sedute giurisdizionali» (articoli da 9 a 11) e le «sedute amministrative» (articoli da 12 a 16) di tale organo (44). Nel calendario delle attività del CNF, il giorno in cui si è tenuta l’udienza della causa dei sigg. Torresi – sabato 29 settembre 2012 – era riservato alle sedute giurisdizionali del CNF.

67.      Tuttavia, i sigg. Torresi evidenziano una possibile differenza tra i due procedimenti: quando il CNF decide sui ricorsi relativi a questioni disciplinari, vi è sempre un provvedimento amministrativo del Consiglio dell’ordine locale che è sottoposto a riesame, mentre tale elemento sembrerebbe mancare qualora il Consiglio dell’ordine non adotti una decisione su una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati. I sigg. Torresi citano l’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 2001/96, a norma del quale, se il Consiglio dell’ordine non abbia provveduto sulla domanda entro 30 giorni dalla presentazione di essa, l’interessato può, entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine, presentare ricorso al CNF, il quale decide sul merito dell’iscrizione.

68.      Ma, se ben comprendo la normativa italiana, tale mancata decisione da parte del Consiglio dell’ordine sulla domanda di iscrizione di un avvocato nell’albo degli avvocati è considerata equivalente a una decisione implicita di rigetto della domanda. Ne consegue che il CNF non decide sulla domanda al posto del Consiglio dell’ordine locale (a causa dell’inerzia di quest’ultimo), ma esercita piuttosto un potere di riesame su una decisione (per quanto implicita) di rigetto della domanda, adottata da un Consiglio dell’ordine locale. Solo se ritiene che un Consiglio dell’ordine locale abbia erroneamente rigettato una domanda, il CNF decide sul merito di essa, in un modo simile a quello in cui, in base al diritto italiano, possono agire in determinati casi i tribunali amministrativi (45).

69.      La mia lettura delle leggi italiane pertinenti sembra confermata dal verbale dell’udienza del 29 settembre 2012 dinanzi al CNF, incluso nel fascicolo del procedimento nazionale inviato alla Corte, in cui è indicato che l’udienza riguardava il «ricorso proposto dall’abogado Angelo Alberto Torresi avverso il silenzio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata». A tal riguardo, ritengo ancora più eloquente il linguaggio usato dal CNF in alcune sentenze su casi simili a quelli dei sigg. Torresi. Il CNF parla specificamente di «provvediment[i] di silenziorifiuto», adottate da Consigli dell’ordine locali su domande di iscrizione all’albo degli avvocati, contro cui i richiedenti hanno proposto ricorso dinanzi al CNF (46).

70.      In tale contesto, è appena il caso di rilevare che le norme sul «silenzio negativo» e quelle sul «silenzio positivo» sono comuni non solo nel diritto amministrativo italiano (47), ma anche nel diritto amministrativo di altri Stati membri (48), nonché nell’ordinamento giuridico dell’Unione (49).

71.      A questo punto, può essere interessante rilevare inoltre che la regola del silenzio‑rifiuto si applica alle domande presentate ai Consigli dell’ordine locali, ma non alle domande presentate al CNF (50). Tale circostanza avvalora ulteriormente la tesi secondo cui, mentre le decisioni dei primi sono di natura amministrativa, quelle del secondo sono di natura giurisdizionale.

72.      Infine, è vero che, a differenza della legge 247/2012 (51), il decreto‑legge 1578/1933 non classificava espressamente come «giurisdizionale» l’attività del CNF riguardante i ricorsi contro le decisioni dei Consigli dell’ordine locali sulle iscrizioni nell’albo degli avvocati (52). Tuttavia, non vi è dubbio che, nell’ordinamento giuridico italiano, al CNF è stato sempre riconosciuto lo status di «giudice speciale», che adotta decisioni che «non sono atti amministrativi, ma decisioni di natura giurisdizionale» (53), emesse a seguito di «un procedimento di carattere contenzioso» (54). Come ha dichiarato la Corte costituzionale italiana, il CNF esercita una «funzione giurisdizionale per la tutela di un interesse pubblicistico, esterno e superiore a quello dell’interesse del gruppo professionale [che rappresenta]» (55).

73.      Chiaramente, il fatto che, secondo il diritto italiano, il CNF eserciti funzioni giurisdizionali non è decisivo ai fini dell’articolo 267 TFUE. Tuttavia, non credo nemmeno che la Corte debba discostarsi con troppa leggerezza dalla classificazione di un organo secondo il diritto interno, specialmente quando non ha a disposizione indizi chiari e concordanti che inducano a giungere a una conclusione diversa in base al diritto dell’Unione (56). Comunque sia, gli elementi contenuti nelle leggi nazionali applicabili che ho esaminato non giustificano una conclusione diversa nella fattispecie.

3.      Altri criteri

74.      Inoltre, mi sembra che, nel caso di specie, anche gli altri criteri enunciati nella giurisprudenza della Corte sulla nozione di «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE puntino esclusivamente verso tale conclusione.

75.      Innanzitutto, alla luce in particolare del decreto‑legge 1578/1933 (e, più di recente, della legge 247/2012), non vi è alcun dubbio che il CNF sia istituito dalla legge e abbia natura permanente.

76.      Analogamente, è chiaro che la competenza giurisdizionale del CNF è obbligatoria per le parti. La competenza del CNF per quanto riguarda le iscrizioni nell’albo degli avvocati è infatti obbligatoria (57) e non dipende da un accordo delle parti in tal senso (58). In effetti, essa costituisce per i sigg. Torresi l’unico rimedio giuridico per impugnare le decisioni del Consiglio dell’ordine di Macerata sulle loro domande (59).

77.      È vero che le decisioni del CNF possono essere soggette a un ricorso speciale alle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Ma tale ricorso può riguardare soltanto motivi di diritto (60). Di conseguenza, l’efficacia del meccanismo del rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE potrebbe essere indebolita se la Corte non riconoscesse lo status di «organo giurisdizionale» del CNF (61).

78.      Inoltre, è pacifico che il CNF deve applicare le norme di diritto. In particolare, nel caso dei sigg. Torresi, il CNF è chiamato ad applicare le disposizioni del decreto legislativo 96/2001, in conformità alle norme della direttiva 98/5.

79.      È inoltre importante sottolineare in tale contesto che le norme che disciplinano il procedimento dinanzi al CNF prevedono il contraddittorio delle parti (62). Il Consiglio dell’ordine locale, la cui decisione è oggetto di riesame, è una parte necessaria del procedimento (come convenuto) e qualsiasi errore nella notifica del procedimento al Consiglio dell’ordine da parte del ricorrente comporta la nullità del procedimento a causa di una «grave violazione dell’esercizio del diritto di difesa e del contraddittorio» (63).

80.      Inoltre, il procedimento comprende una fase scritta e una fase orale, in cui le parti possono esporre i loro argomenti per contestare gli errori asseritamente commessi dal Consiglio dell’ordine locale e produrre prove a sostegno di tali argomenti. Riguardo alle prove, vi sono norme specifiche sulla presentazione di esse e sul periodo minimo che deve essere concesso alle parti per consultare il fascicolo della causa e preparare la loro difesa prima che la causa sia discussa in udienza (64).

81.      Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che, nel presente procedimento, il CNF debba essere ritenuto come un «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE.

B –    Considerazioni sulle questioni pregiudiziali

82.      Esaminerò adesso il merito delle due questioni formulate dal CNF, la risposta alle quali mi sembra peraltro abbastanza evidente. Per tale ragione, questa parte delle mie conclusioni sarà piuttosto breve.

1.      Sulla prima questione

83.      Con la prima questione, il CNF chiede in sostanza se l’articolo 3 della direttiva 98/5 osti alla prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati stabiliti, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nello Stato membro precedente (in prosieguo: la «prassi nazionale in questione»).

84.      Secondo una costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione non può essere invocato a fini abusivi o fraudolenti (65). Tuttavia, la constatazione dell’esistenza di un abuso richiede, in primo luogo, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto. Essa richiede, in secondo luogo, un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (66).

85.      In via di principio, spetta al giudice nazionale accertare l’esistenza dei suddetti due elementi, la cui prova deve essere prodotta conformemente alla normativa nazionale, a condizione che l’efficacia del diritto dell’Unione non ne risulti compromessa (67). In particolare, i giudici nazionali non possono, nel valutare l’esercizio di un diritto derivante da una disposizione dell’Unione, modificare il contenuto di detta disposizione né compromettere gli obiettivi da essa perseguiti (68).

86.      Tuttavia, nel presente procedimento, è abbastanza evidente che una prassi come quella nazionale in questione rischia di pregiudicare, nello Stato membro in cui è adottata, il corretto funzionamento del sistema creato dalla direttiva 98/5, e quindi di compromettere seriamente gli obiettivi perseguiti da tale strumento giuridico.

87.      Infatti, l’articolo 1 della direttiva 98/5 enuncia che lo scopo di tale direttiva è di «facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato (…) in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale». E quindi, come hanno correttamente osservato i governi polacco e rumeno, la prassi nazionale in questione equivale in sostanza a trattare come condotta abusiva ciò che, al contrario, costituisce proprio una delle condotte che il legislatore dell’Unione ha voluto consentire. Parafrasando i rilievi formulati dalla Corte in merito alla direttiva 89/48 sul riconoscimento dei diplomi (69), direi che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale è inerente all’esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai trattati dell’Unione (70).

88.      A tal riguardo, non può essere attribuita alcuna importanza al fatto che l’avvocato sia un cittadino dello Stato membro ospitante, o al fatto che egli possa aver scelto di ottenere il titolo professionale al fine di approfittare di una normativa più favorevole o, infine, al fatto che egli presenti la domanda di iscrizione all’albo poco dopo aver ottenuto il titolo professionale all’estero.

89.      Sul primo punto, osservo che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5 definisce «avvocato» «ogni persona, avente la cittadinanza di uno Stato membro, che sia abilitata ad esercitare le proprie attività professionali facendo uso di uno dei (…) titoli professionali [elencati nella stessa disposizione]». Analogamente, l’articolo 2 della direttiva 98/5 dispone che «[gl]i avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 [della stessa direttiva] in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine» (71).

90.      Non vi è alcuna indicazione, pertanto, che il legislatore dell’Unione abbia voluto consentire agli Stati membri di attuare discriminazioni alla rovescia escludendo i propri cittadini dai diritti creati dalla direttiva 98/5 (72). Inoltre, ciò sembrerebbe poco compatibile con l’obiettivo di creare un mercato interno.

91.      Infatti, come ha dichiarato la Corte, un cittadino dell’Unione non può essere privato della possibilità di avvalersi delle libertà garantite dai trattati dell’Unione solo perché ha inteso approfittare di una normativa favorevole in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede (73). Ciò mi porta al secondo punto.

92.      A tal riguardo, sulla base di una giurisprudenza consolidata, ritengo che il solo fatto che un cittadino scelga di acquisire un titolo professionale in un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non sia sufficiente, di per sé, a costituire un abuso del diritto (74).

93.      Infine, sul terzo punto, vorrei ricordare che la Corte ha chiarito che il legislatore dell’Unione, con l’articolo 3 della direttiva 98/5, ha realizzato la completa armonizzazione dei requisiti preliminari richiesti ai fini dell’esercizio del diritto conferito. Pertanto, la presentazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine è l’unico requisito cui può essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale di origine (75).

94.      Di conseguenza, la Corte ha statuito che la direttiva 98/5 non consente che l’iscrizione di un avvocato presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante possa essere subordinata ad ulteriori condizioni, come ad esempio un colloquio inteso ad accertare la padronanza della lingua (76). Aggiungerei che, per la stessa ragione, la direttiva 98/5 non consente che si possa subordinare tale iscrizione allo svolgimento di un determinato periodo di pratica o di attività come avvocato nello Stato membro di origine (77). Dopo tutto, se non è richiesta alcuna precedente esperienza per esercitare, ad esempio, come «abogado» in Spagna, perché dovrebbe richiedersi una tale esperienza per esercitare con il medesimo titolo professionale («abogado») in un altro Stato membro?

95.      Ciò detto, è appena il caso di aggiungere che, qualora le autorità dello Stato membro ospitante accertino che, in un caso specifico, si verificano le due condizioni menzionate al precedente paragrafo 84, non è loro precluso di respingere una domanda in ragione di un abuso del diritto. In effetti, vi possono essere particolari elementi, in alcuni casi specifici, che danno adito a un legittimo sospetto di condotte fraudolente. In tali casi specifici (e, come può ritenersi, relativamente poco frequenti), prima di concedere l’iscrizione può essere ammessa un’indagine più approfondita sulla possibile esistenza di condotte abusive. In tale contesto, le autorità dello Stato membro ospitante possono anche, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 98/5, chiedere la collaborazione delle autorità dello Stato membro di origine (78). Qualora le autorità dello Stato membro ospitante raccolgano prove inequivocabili del fatto che il richiedente ha ottenuto il titolo professionale nello Stato membro di origine con mezzi fraudolenti o illegali (ad esempio, contraffazione, corruzione o dichiarazioni false), esse potrebbero rifiutare l’iscrizione a causa di un abuso del diritto.

96.      Propongo pertanto alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 3 della direttiva 98/5 osta alla prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati stabiliti, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nello Stato membro precedente.

2.      Sulla seconda questione

97.      Con la sua seconda questione, proposta per l’eventualità di una risposta affermativa alla prima questione, il CNF chiede essenzialmente se l’articolo 3 della direttiva 98/5 sia invalido per violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, a norma del quale l’Unione europea rispetta l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale.

98.      Secondo il CNF, l’articolo 33, comma 5, della Costituzione italiana prevede che «[è] prescritto un esame di Stato (…) per l’abilitazione all’esercizio professionale», e l’espressione «esercizio professionale» si riferisce anche alla professione di avvocato. Esso sostiene che consentire ai cittadini italiani che abbiano ottenuto la qualifica all’estero di esercitare la professione in Italia equivarrebbe a eludere la Costituzione italiana, che prescrive un esame di abilitazione statale, compromettendo così l’identità nazionale costituzionale.

99.      Innanzitutto, devo ammettere che ho serie difficoltà a seguire il ragionamento del CNF. Non mi è chiaro perché l’iscrizione all’albo degli avvocati di cittadini dell’Unione che hanno ottenuto un titolo professionale in un altro Stato membro ponga una tale minaccia all’ordinamento giuridico italiano da potersi ritenere che comprometta l’identità nazionale italiana.

100. A tal riguardo, è vero che la Corte ha concesso agli Stati membri, in determinate circostanze, la possibilità di derogare agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, come ad esempio il rispetto delle libertà fondamentali, a causa della protezione della loro identità nazionale (79). Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi norma contenuta in una costituzione nazionale possa limitare l’applicazione uniforme delle disposizioni dell’Unione (80), o addirittura costituire un parametro di legittimità per tali disposizioni (81).

101. Di conseguenza, come hanno sostenuto il Parlamento e il Consiglio, il semplice fatto che una disposizione della Costituzione italiana prescriva il superamento di un esame di Stato perché si possa esercitare la professione di avvocato non implica che la direttiva 98/5 comprometta l’identità nazionale italiana ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Tale posizione è stata confermata in udienza anche dal governo italiano, che ha affermato di non essere d’accordo con le considerazioni espresse dal giudice del rinvio nella domanda di pronuncia pregiudiziale a proposito di un possibile contrasto tra la direttiva 98/5 e l’articolo 33, comma 5, della Costituzione italiana.

102. È ancora più importante, tuttavia, rilevare che la questione posta dal CNF sembra essere basata su una premessa erronea.

103. I sigg. Torresi non hanno chiesto alle autorità competenti di essere iscritti nell’albo degli avvocati con il titolo professionale dello Stato ospitante («avvocato»), ma soltanto di essere iscritti nella sezione speciale di tale registro riservata agli avvocati stabiliti. Pertanto, essi hanno chiesto di essere autorizzati ad esercitare la professione in Italia con il titolo professionale dello Stato membro di origine («abogado»), conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 98/5. Ciò significa che ad essi sarebbe consentito soltanto l’esercizio delle attività professionali indicate nell’articolo 5 della direttiva 98/5, restando essi soggetti alle regole professionali e deontologiche menzionate nell’articolo 6 di tale direttiva.

104. Ciò detto, non vedo alcuna elusione delle norme previste dalla Costituzione italiana, né tanto meno alcuna violazione dell’identità nazionale italiana. Come hanno correttamente rilevato i governi spagnolo e polacco, nonché il Parlamento e la Commissione, l’Italia continuerà ad esercitare la propria competenza riguardo all’accesso alla professione di «avvocato». Tuttavia, negare ai propri cittadini la possibilità di esercitare la professione in Italia come «abogado» – quando tale titolo sia stato ottenuto lecitamente in Spagna – equivarrebbe in sostanza a mettere in dubbio l’adempimento dei requisiti previsti per ottenere tale titolo professionale, in relazione al quale l’Italia non ha alcuna competenza. Ciò comporterebbe non solo una violazione delle competenze riservate al Regno di Spagna, ma anche un pregiudizio per il principio del reciproco riconoscimento, che è il presupposto del sistema creato dalla direttiva 98/5.

105. Su tale base, ritengo che l’articolo 3 della direttiva 98/5 non costituisca una violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE e che pertanto non sia invalido.

IV – Conclusione

106. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni poste dal Consiglio Nazionale Forense nel modo seguente:

1)      L’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica osta alla prassi di uno Stato membro di rifiutare, con la motivazione dell’abuso del diritto, l’iscrizione all’albo degli avvocati, nella sezione speciale riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica all’estero, di cittadini di tale Stato membro che, poco dopo aver ottenuto il titolo professionale in un altro Stato membro, ritornino nello Stato membro precedente.

2)      L’esame della seconda questione posta non ha rivelato alcun elemento che infici la validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5.


1_ Lingua originale: l’inglese.


2 –      GU L 77, pag. 36.


3 –      «Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale» (Supplemento ordinario alla GURI n. 79 del 4 aprile 2001).


4 –      «Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore» (GURI n. 281 del 5 dicembre 1933).


5 –      «Norme integrative e di attuazione del R.D.L. del 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato» (GURI n. 24 del 30 gennaio 1934).


6 –      Decreto legislativo del 23 novembre 1944, n. 382 «Norme sui Consigli degli Ordini e Collegi e sulle Commissioni centrali professionali» (GURI n. 98 del 23 dicembre 1944) (in prosieguo: il «decreto legislativo 382/1944»), e decreto legislativo del 28 maggio 1947, n. 597 «Norme sui procedimenti dinanzi ai Consigli degli ordini forensi ed al Consiglio nazionale forense» (GURI n. 155 del 10 luglio 1947) (in prosieguo: il «decreto legislativo 597/1947»). La materia è ora regolata dalla legge del 31 dicembre 2012, n. 247 «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense» (GURI n. 15 del 18 gennaio 2013), entrata in vigore il 2 febbraio 2013 (in prosieguo: la «legge 247/2012»).


7 –      Articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 96/2001.


8 –      Articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 96/2001.


9 –      V., tra le altre, sentenze del 17 settembre 1997, Dorsch Consult (C‑54/96, Racc. pag. I‑4961, punto 23); del 31 maggio 2005, Syfait e a. (C‑53/03, Racc. pag. I‑4609, punto 29), e del 14 giugno 2011, Miles e a. (C‑196/09, Racc. pag. I‑5105, punto 37).


10 –      V., ad esempio, ordinanza del 26 novembre 1999, ANAS (C‑192/98, Racc. pag. I‑8583, punti 22 e 23), e sentenza del 31 gennaio 2013, Belov (C‑394/11, punti 40 e 41).


11 –      V., in particolare, sentenze del 19 ottobre 1995, Job Centre (C‑111/94, Racc. pag. I‑3361, punti da 9 a 11), e del 14 giugno 2001, Salzmann (C‑178/99, Racc. pag. I‑4421, punti 14 e 15).


12 –      Sentenza del 19 settembre 2006, Wilson (C‑506/04, Racc. pag. I‑8613).


13 –      Sentenza del 30 novembre 1995, Gebhard (C‑55/94, Racc. pag. I‑4165).


14 –      Direttiva del Consiglio del 22 marzo 1977 (GU L 78, pag. 17).


15 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Gebhard, paragrafi da 12 a 17 (specialmente paragrafo 16).


16 –      V. sentenza del 7 novembre 2013, Romeo (C‑313/12, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


17 –      V. conclusioni nelle cause riunite che hanno dato luogo alla sentenza del 5 dicembre 2013, Venturini e a. (cause riunite da C‑159/12 a C‑161/12, paragrafi da 16 a 63); nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, paragrafi da 20 a 38), e nella causa Macinský e Macinská (C‑482/12, domanda di pronuncia pregiudiziale ritirata il 31 dicembre 2013, paragrafi da 32 a 58).


18 –      Sentenza Wilson, cit., punti 54 e segg.


19 –      V. sentenze del 30 giugno 1966, Vaassen-Göbbels (61/65, Racc. pag. 408); del 6 ottobre 1981, Broekmeulen (246/80, Racc. pag. 2311); dell’8 aprile 1992, Bauer (C‑166/91, Racc. pag. I‑2797); Gebhard, cit., e, più di recente, sentenza del 22 dicembre 2010, Koller (C‑118/09, Racc. pag. I‑13627). In particolare, in quest’ultima decisione, emessa dopo la sentenza Wilson, la Corte ha dichiarato che l’Oberste Berufungs- und Disziplinarkommission (Commissione superiore disciplinare degli avvocati) austriaca costituiva un «organo giurisdizionale» ai fini dell’articolo 267 TFUE.


20 –      V. ordinanze del 18 giugno 1980, Borker (138/80, Racc. pag. 1975), e del 5 marzo 1986, Greis Unterweger (318/85, Racc. pag. 955).


21 –      Sentenza del 30 marzo 1993 (C‑24/92, Racc. pag. I‑1277, punto 15). V. altresì sentenze del 30 maggio 2002, Schmid (C‑516/99, Racc. pag. I‑4573, punto 36), e Wilson, cit., punto 49.


22 –      Sentenza Wilson, cit., punti da 51 a 53. V. anche ordinanze del 14 maggio 2008, Pilato (C‑109/07, Racc. pag. 3503, punto 24), e del 14 novembre 2013, MF 7 (C‑49/13, punto 23).


23 –      Sentenza Wilson, cit., punti 18 e 54.


24 –      Sull’importanza di disposizioni simili, v. sentenza del 4 febbraio 1999, Köllensperger e Atzwanger (C‑103/97, Racc. pag. I‑551, punto 22). V. altresì ordinanza Pilato, cit., punti 24 e 29, e sentenza Schmid, cit., punto 41.


25 –      Articolo 15 del decreto legislativo 382/1944. Sull’importanza di tale elemento, v. sentenza del 14 giugno 2007, Häupl (C‑246/05, Racc. pag. I‑4673, punto 18) e ordinanza MF 7, cit., punti da 22 a 24.


26 –      Ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 382/1944, il Ministro della Giustizia ha il potere di sciogliere i consigli dell’ordine locali solo quando essi «non sia[no] in grado di funzionare regolarmente», nel qual caso le loro funzioni sono provvisoriamente esercitate da un commissario straordinario, per non più di 90 giorni, fino all’elezione del nuovo Consiglio. Tuttavia, per quanto ho potuto accertare, non esiste una disposizione simile per quanto riguarda il CNF.


27 –      V. sentenza Schmid, cit., punti 41 e 42.


28 –      V. articoli 33 e 34 del decreto‑legge 1578/1933 e articolo 21 del decreto legislativo 382/1944.


29 –      Articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 96/2001.


30 –      I richiedenti domandano l’iscrizione in una sezione speciale dell’albo degli avvocati riservata agli avvocati stabiliti, tenuta dal Consiglio dell’ordine locale (v. articolo 6 del decreto legislativo 96/2001), mentre i membri del CNF devono essere iscritti nella sezione speciale dell’albo degli avvocati ammessi al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, tenuto dallo stesso CNF (v. articolo 33 del decreto legislativo 1578/1933 e articolo 21 del decreto legislativo 382/1944).


31 –      Secondo una prassi consolidata del CNF, il membro di quest’ultimo che è stato eletto dal distretto di Corte d’appello a cui appartiene il Consiglio dell’ordine la cui decisione è soggetta a sindacato giurisdizionale non fa parte della formazione che decide sul ricorso.


32 –      Cassazione civile, Sezioni Unite, ordinanza dell’11 gennaio 1997 n. 12. Sull’importanza di tale aspetto, v. sentenza Belov, cit., punto 49, nonché le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano nella causa Schmid, cit., paragrafo 31.


33 –      V. il riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel punto 57 della sentenza Wilson.


34 – V. Rodríguez Iglesias, G.C., «L’évolution de l’architecture juridictionelle de l’Union européenne», in A. Rosas, E. Levits, Y. Bot (ed.), The Court of Justice and the Construction of Europe: Analyses and Perspectives on Sixty Years of Case-law, Asser Press, L’Aja, 2013, pagg. da 37 a 48, alle pagg. 43 e 44.


35 –      Come la Corte ha efficacemente affermato nel Parere 1/09 dell’8 marzo 2011 (Racc. pag. I‑1137, punto 85), riferendosi in particolare al sistema istituito dall’articolo 267 TFUE, «le funzioni attribuite, rispettivamente, ai giudici nazionali e alla Corte sono essenziali alla salvaguardia della natura stessa dell’ordinamento istituito dai Trattati».


36 –      Ad esempio, secondo i Princìpi 1 e 2 dei «Princìpi fondamentali sull’indipendenza dei giudici» adottati dalle risoluzioni 40/32 del 29 novembre 1985 e 40/146 del 13 dicembre 1985 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: «1. L’indipendenza dei giudici è garantita dallo Stato e sancita nella Costituzione o nella legge dello Stato. (…) 2. I giudici decidono con imparzialità le questioni loro sottoposte, sulla base dei fatti e in applicazione della legge, senza restrizioni, influenze indebite, incitamenti, pressioni, minacce o interferenze, diretti o indiretti, da parte di chicchessia o per qualsiasi ragione».


37 –      Sentenza Köllensperger e Atzwanger, cit., punto 24.


38 –      Sentenza del 18 dicembre 2007 (C‑341/05, Racc. pag. I‑11767).


39 –      Sentenza del 17 dicembre 1987, Ny Mølle Kro (287/86, Racc. pag. 5465).


40 –      Sentenza del 17 ottobre 1989, Danfoss (109/88, Racc. pag. 3199).


41 –      Per completezza, si potrebbe aggiungere che esistono alcune cause, attualmente pendenti dinanzi alla Corte, che riguardano rinvii pregiudiziali proposti dal Työtuomioistuin (tribunale del lavoro della Finlandia), un tribunale con uno statuto simile a quelli dell’Arbetsdomstolen e dell’Arbejdsretten: la causa C‑533/13AKT, e le cause riunite C‑513/11 e C‑512/11, Ylemmät Toimihenkilöt YTN e Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö TSN. A quanto mi consta, nessuna delle parti ha sollevato eccezioni in merito alla natura dell’organo del rinvio, né l’avvocato generale Kokott, nelle sue conclusioni nella causa Ylemmät Toimihenkilöt YTN e Terveys- ja sosiaalialan neuvottelujärjestö TSN, ha ritenuto necessario sollevare una tale questione.


42 –      V. sentenza Gebhard, cit., in particolare punti da 10 a 12.


43 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Gebhard, paragrafi da 12 a 17 (in particolare paragrafo 16).


44 –      V. il Regolamento interno per le attività del Consiglio Nazionale Forense (1992), pubblicato in Rassegna forense, 1992, pag. 135.


45 –      V., in particolare, l’articolo 7 del codice del processo amministrativo.


46 –      V., in particolare, Consiglio Nazionale Forense (pres. Ricciardi, rel. Sanino), sentenza del 10 ottobre 1996, n. 128; Consiglio Nazionale Forense (pres. Cagnani, rel. De Mauro), sentenza del 15 ottobre 1996, n. 133; e Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Merli), sentenza del 15 dicembre 2011, n. 179.


47 –      In particolare, in base al diritto italiano, i cittadini hanno generalmente diritto a ricorrere contro il silenzio della pubblica amministrazione dinanzi ai tribunali amministrativi competenti: v. specialmente l’articolo 31 del codice del processo amministrativo italiano.


48 –      Per un esempio relativo al diritto spagnolo, v. sentenza del 24 marzo 2011, Commissione/Spagna (C‑400/08, Racc. pag. I‑1915, punti 119 e segg.).


49 –      Per esempio, riguardo alle norme sul silenzio positivo, v. articolo 10, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese («regolamento comunitario sulle concentrazioni») (GU L 24, pag. 1); riguardo alle norme sul silenzio negativo, v. articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43).


50 –      V. Cassazione civile, ordinanza del 4 marzo 1994, n. 157.


51 –      L’articolo 36 della legge 247/2012 dice esplicitamente che il CNF ha «competenza giurisdizionale» sia in materia disciplinare che in materia di iscrizione agli albi degli avvocati. Inoltre, l’articolo 37 della stessa legge dice che «[i]l CNF pronuncia sui ricorsi indicati nell’articolo 36 secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, applicando, se necessario, le norme ed i principi del codice di procedura civile». Ciò significa che la recente legge 247/2012, lungi dal modificare il procedimento che era in vigore quando i sigg. Torresi hanno proposto i loro ricorsi, ne conferma essenzialmente la validità.


52 –      L’articolo 54 del decreto‑legge 1578/1933 dispone, tra l’altro, che il CNF «pronuncia sui ricorsi ad esso proposti a norma di questa legge».


53 –      Infatti, così come ogni altra sentenza emessa in Italia, le sentenze emesse dal CNF sono pronunciate «in nome del popolo italiano», conformemente all’articolo 101 della Costituzione italiana.


54 –      V., in particolare, Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 12 marzo 1980, n. 1639. V. anche, più di recente, Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 7 dicembre 2006, n. 26182, e Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 20 dicembre 2007, n. 26810.


55 –      Corte costituzionale, sentenza del 18 giugno 1970, n. 114. V. anche, più di recente, Corte costituzionale, sentenza del 16‑27 maggio 1996, n. 171.


56 –      V. le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa che ha dato luogo alla sentenza Dorsch Consult, cit., paragrafo 20.


57 –      V. ordinanza dell’11 luglio 2003 nella causa C‑161/03, Cafom e Samsung, punto 14.


58 –      Su tale questione, v. sentenza Danfoss, cit., punto 7, e sentenza del 23 marzo 1982, Nordsee (102/81, Racc. pag. 1095, punto 11).


59 –      V. sentenza del 27 gennaio 2005, Denuit e Cordenier (C‑125/04, Racc. pag. I‑923, punto 15).


60 –      Sui fatti, la Corte di cassazione è quindi, in via di principio, vincolata alle valutazioni del CNF. Sull’importanza di tale elemento, v. sentenza del 14 novembre 2002, Felix Swoboda (C‑411/00, Racc. pag. I‑10567, punti da 26 a 28).


61 –      V. sentenza Belov, cit., punto 52.


62 –      Rilevo inoltre che anche il pubblico ministero è parte dei procedimenti dinanzi al CNF riguardanti le iscrizioni nell’albo degli avvocati (nonché dei procedimenti speciali di impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione), a differenza di quanto avviene nei procedimenti dinanzi ai Consigli dell’ordine locali. Come ha evidenziato il governo italiano, la partecipazione del pubblico ministero in un procedimento amministrativo sarebbe alquanto anomala.


63 –      Cassazione civile, sentenza dell’8 agosto 2001, n. 10959.


64 –      V. le disposizioni citate al precedente paragrafo 65.


65 –      V. sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, Racc. pag. I‑1609, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).


66 –      V. sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, Racc. pag. I‑11569, punti 52 e 53).


67 –      Ibidem, punto 54.


68 –      Sentenza del 12 maggio 1998, Kefalas e a. (C‑367/96, Racc. pag. I‑2843, punto 22).


69 –      Direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16).


70 –      Sentenza del 23 ottobre 2008, Commissione/Spagna (C‑286/06, Racc. pag. I‑8025, punto 72).


71 –      In entrambe le citazioni il corsivo è mio.


72 –      V., per analogia, sentenza del 31 marzo 1993, Kraus (C‑19/92, Racc. pag. I‑1663, punti 15 e 16).


73 –      Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, Racc. pag. I‑7995, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


74 –      Ibidem, punto 37.


75 –      Sentenza Wilson, cit., punti 66 e 67.


76 –      Ibidem, punto 70.


77 –      V. sentenza Koller, cit., punti 34 e 40. V. anche, per analogia, sentenza del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, Racc. pag. I‑1459, punto 29).


78 –      Ai sensi della parte pertinente dell’articolo 13, «[a]llo scopo di facilitare l’applicazione della presente direttiva ed evitare che le sue disposizioni siano eluse al solo scopo di sottrarsi all’osservanza della normativa vigente nello Stato membro ospitante, le autorità competenti di questo e dello Stato membro d’origine collaborano strettamente e si accordano reciproca assistenza».


79 –      V., in particolare, sentenze del 14 ottobre 2004, Omega (C‑36/02, Racc. pag. I‑9609, punti 35 e segg.), e del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein (C‑208/09, Racc. pag. I‑13693, punti 83 e segg.).


80 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki (C‑213/07, Racc. pag. I‑9999, paragrafo 33).


81 –      V., in particolare, sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, Racc. pag. 1125, punto 3), e del 1° aprile 2008, Governo della Comunità francese e Governo vallone (C‑212/06, Racc. pag. I‑1683, punto 58).

Redazione

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