Il Decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 ( Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, in GURI n.251 del 25/10/2013), stabilisce, tra l’altro, all’art. 1 comma 1:
a) le disposizioni recate dall’articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2014;…
d) in deroga alle previsioni di cui all’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ed all’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 303, per gli anni 2013 e 2014 non si da’ luogo, senza possibilita’ di recupero, al riconoscimento di incrementi a titolo di indennita’ di vacanza contrattuale che continua ad essere corrisposta, nei predetti anni, nelle misure di cui all’articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. L’indennita’ di vacanza contrattuale relativa al triennio contrattuale 2015-2017 e’ calcolata secondo le modalita’ ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia e si aggiunge a quella corrisposta ai sensi del precedente periodo.“
Il decreto è un “decreto delegato” o di “delegificazione”, in virtù di espresso rinvio da parte del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, art. 16 comma 1, che prevedeva che “… con uno o piu’ regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, …, puo’ essere disposta:… b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime; c) la fissazione delle modalita’ di calcolo relative all’erogazione dell’indennità’ di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017“.
Le “vigenti disposizioni” sono quelle contenute nell’articolo 9, commi 1, 2, 2bis, e comma 17, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Quest’ultimo comma recita: “Non si da’ luogo, senza possibilita’ di recupero, alle procedurecontrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personaledi cui all’articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. E’ fatta salval’erogazione dell’indennita’ di vacanza contrattuale nelle misurepreviste a decorrere dall’anno 2010 in applicazione dell’articolo 2,comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203”
Quindi in sintesi:
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la contrattazione collettiva, almeno per la parte economica, come per gli anni 2010-2012, non avrà luogo nemmeno per gli anni 2013-2014 e le retribuzioni saranno bloccate, come già per il 2010-2012, pure negli anni 2013-2014;
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gli incrementi dell’indennità di vacanza contrattuale, fatta salva negli anni 2010-2012, non saranno riconosciuti negli anni 2013-2014;
L’indennità di vacanza contrattuale fu prevista da un accordo tra il Governo Ciampi e le parti sociali del 23 luglio 1993. Esso previde che dopo tre mesi di vacanza contrattualevenga corrisposto il 30 per cento del tasso di inflazione programmata, applicato ai minimi retributivi; e dopo sei mesi di vacanza contrattuale venga corrisposto il 50 per cento del tasso di inflazione programmata, applicato ai minimi retributivi. Ad oggi è disciplinata dall’articolo 47-bis del decreto-legislativo n. 165 del 2001, (introdotto dal decreto legislativo n. 150 del 2009), che prevede in ogni caso a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, se esso non sia rinnovato, è riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione una copertura economica che costituisce un’anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale. L’articolo 2, comma 35 della legge n. 203 del 2008, ha previsto la liquidazione automatica dell’indennità di vacanza contrattuale, decorrente dal mese di aprile di ogni anno.
Il predetto DPR 122/2013 presenta delle criticità per due ordini di motivi
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Il blocco degli incrementi dell’indennità di vacanza contrattuale non trova nessuna base normativa nell’art. 16 comma 1 del DL 98/2011.
Il citato articolo “delega” a emanandi regolamenti:
b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni…;
c) la fissazione delle modalita’ di calcolo relative all’erogazione dell’indennita’ di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017“
Come già anticipato in premessa, le “vigenti disposizioni” (art. 9 comma 17 DL 78/2010) facevano salval’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale
Il DPR de quo, invece, in modo assolutamente arbitrario e in assenza di qualsivoglia rinvio normativo, ha derogato ad una legge (legge 303/2005) e ad un atto avente forza di legge (decreto legislativo 165/2001), come espressamente ammesso dall’incipit della lettera d), che letteralmente si esprime: “in deroga alle previsioni di cui all’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ed all’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 303…”.
Il DPR in questione si sarebbe dovuto limitare a disciplinare “b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni (blocco retribuzioni) e la c) la fissazione delle modalita’ di calcolo relative all’erogazione dell’indennita’ di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017“.
In assenza di qualsivoglia rinvio operato dalla legge, quindi, la “deroga” all’47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ed all’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 303 è da ritenersi illegittima e annullabile in quanto adottata in violazione di legge e viziata da eccesso di potere (art. 21-octies l. 241/1990).
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Il blocco delle retribuzioni è in violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza), 36 ( diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ) e 53 (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva) della Costituzione.
In materia di deroghe temporanee a meccanismi rivalutativi di adeguamento delle retribuzioni del pubblico impiego, già la Corte Costituzionale, con riferimento all’art. 9 comma del DL 78/2010, con la sentenza n. 223/2012 si è così espressa:
11.5.— In occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee a tali meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione della grave congiuntura economica del 1992, questa Corte ha già indicato i limiti entro i quali un tale intervento può ritenersi rispettoso dei principi sopra sintetizzati.
In particolare, l’ordinanza n. 299 del 1999, premesso che il decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, era stato emanato in un momento molto delicato per la vita economico-finanziaria del Paese, caratterizzato dalla necessità di recuperare l’equilibrio di bilancio, ha affermato che «per esigenze così stringenti il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche onerosi (sentenza n. 245 del 1997) e che norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all’art. 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso». In particolare, la pronuncia ha precisato che tale intervento, «pur collocandosi in un ambito estremo, non lede tuttavia alcuno dei precetti indicati, in quanto il sacrificio imposto ai pubblici dipendenti dal comma 3 del citato art. 7 è stato limitato a un anno; così come limitato nel tempo è stato il divieto di stipulazione di nuovi accordi economici collettivi, previsto dal comma 1 dell’art. 7 e che, quindi, tale norma ha imposto un sacrificio non irragionevolmente esteso nel tempo (sentenza n. 99 del 1995), né irrazionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini».
Sempre con riferimento al decreto-legge n. 384 del 1992, è stato altresì sottolineato che il cosiddetto “blocco” dallo stesso stabilito, di cui era evidente il carattere provvedimentale del tutto eccezionale, esauriva i suoi effetti nell’anno considerato, limitandosi a impedire erogazioni per esigenze di riequilibrio del bilancio (sentenza n. 245 del 1997), riconosciute meritevoli di tutela a condizione che le disposizioni adottate non risultassero arbitrarie (sentenze n. 417 del 1996, n. 99 del 1995, n. 6 del 1994).
11.6.— Il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni dei magistrati può, dunque, a certe condizioni essere sottoposto per legge a limitazioni, in particolare quando gli interventi che incidono su di esso siano collocati in un quadro di analoghi sacrifici imposti sia al pubblico impiego (attraverso il blocco della contrattazione – sulla base della quale l’ISTAT calcola l’aumento medio da applicare), sia a tutti i cittadini, attraverso correlative misure, anche di carattere fiscale.
Allorquando la gravità della situazione economica e la previsione del suo superamento non prima dell’arco di tempo considerato impongano un intervento sugli adeguamenti stipendiali, anche in un contesto di generale raffreddamento delle dinamiche retributive del pubblico impiego, tale intervento non potrebbe sospendere le garanzie stipendiali oltre il periodo reso necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio.
Nel caso di specie, i ricordati limiti tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte risultano irragionevolmente oltrepassati.
Anche le Commissioni della Camera Affari costituzionali e Lavoro , riunite, nel parere espresso sottolineavano (parere del 19 giugno 2013):
… l’articolo 36 della Costituzione attribuisce al lavoratore « il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro » e che è legittimo che i lavoratori abbiano adeguamenti contrattuali correlati all’andamento dell’inflazione; …
segnalata, pertanto, la necessità di tenere conto che l’allungamento temporale della misura del blocco dell’adeguamento retributivo, originariamente prevista dal decreto-legge n. 78 del 2010, rischia di trasformare l’intervento eccezionale in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali, con particolare riguardo a quelle recate dagli articoli 3, 36, 39 e 97 della Costituzione;
… come emerge dai dati forniti dall’ISTAT nel corso delle audizioni svolte, nel biennio 2011-2012 si è registrata una perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali del settore pubblico di oltre cinque punti percentuali e che l’aspettativa per il 2013, in base alle proiezioni dell’indice delle retribuzioni contrattuali ed alle tendenze dell’inflazione, è di un’ulteriore riduzione delle retribuzioni contrattuali in termini reali;
… in tale quadro, è stato da più parti sottolineato come l’estensione del blocco della contrattazione a tutto il 2014, come previsto dal provvedimento in esame, implicherebbe un’ulteriore perdita di potere di acquisto, per i dipendenti pubblici, pari a circa 4 punti percentuali;
… dai dati forniti dall’ARAN riguardo alla massa complessiva del costo del lavoro, emerge che nel 2011 per le pubbliche amministrazioni si è registrato un decremento del 1,6 per cento rispetto al 2010 e il 2012 evidenzia una riduzione, ancora più marcata, del 2,3 per cento, a seguito della somma dell’effetto del calo delle retribuzioni pro-capite con l’ulteriore effetto del calo degli occupati; in tale quadro emerge – nel confronto con le retribuzioni del settore privato – un riallineamento della curva di crescita dei salari pubblici rispetto a quella del settore privato ed il riassorbimento della maggiore crescita registrata, a vantaggio dei primi, nella prima metà del 2000;
La stessa Avvocatura dello Stato, nel giudizio già citato davanti alla Corte Costituzionale, difendendo le disposizioni di cui al decreto 78 del 2010, argomentava
L’Avvocatura dello Stato osserva, in primo luogo ed in via generale, che le misure contenute nella manovra economica 2010 sarebbero state necessitate dall’eccezionalità della situazione economica internazionale e dall’esigenza prioritaria del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea. In particolare l’intervento sul settore del pubblico impiego, avrebbe anticipato quanto successivamente espressamente chiesto con la lettera, in data 5 agosto 2011, della Banca centrale europea (BCE), a firma congiunta di Mario Draghi (Presidente designato) e di Jean-Claude Trichet (Presidente in carica), con la quale sarebbe stato esplicitamente indicato di «valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, (…) se necessario, riducendo gli stipendi». In tale contesto, l’intervento avrebbe dovuto necessariamente investire anche il personale di magistratura, attraverso misure che attengono direttamente al rapporto d’impiego e non all’esercizio delle funzioni istituzionali.
Il Presidente del Consiglio ricorda, poi, come l’intervento di finanza pubblica in questione non appaia dissimile dalla manovra del 1993 (art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 – Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali –, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), rispetto alla quale la Corte costituzionale aveva dichiarato analoghe questioni manifestamente infondate (ordinanza n. 299 del 1999), in quanto non lesive…
Inoltre, non sussisterebbe neppure una violazione dell’art. 36 Cost., in quanto, indipendentemente dalla natura “retributiva” o meno della indennità c.d. giudiziaria, quest’ultima costituirebbe parte integrante – perché componente fissa e continuativa –del trattamento economico, che andrebbe valutato nel suo complesso, quanto alla proporzionalità ed adeguatezza, tenuto conto peraltro, che «l’applicazione delle disposizioni di contenimento previste per il personale di magistratura, non impedisce l’evoluzione della relativa dinamica retributiva (classi e progressioni di carriera), salvaguardi gli effetti previdenziali delle riduzioni di cui ai commi 2 e 22 dell’articolo 9 (come già precisato sopra al punto 4) e si concretizzi (…) in misure di portata più limitata rispetto a quelle previste per altre categorie, per le quali gli interventi stabiliti dal comma 21 dello stesso art. 9 hanno effetti più incisivi e di carattere strutturale» (relazione della Ragioneria generale dello Stato).
In conclusione, l’Avvocatura, ribadisce che tutti gli interventi normativi censurati sarebbero giustificati dall’eccezionalità della situazione economica da affrontare e limitati nel tempo.
Orbene, con le proroghe disposte, le disposizioni in argomento sono:
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tutt’altro che “eccezionali e transeunti”, ma interessano un arco temporale di 5 anni (2010-2014);
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tutt’altro che “consentanei allo scopo prefisso”, poichè evidentemente non consentono di risolvere la crisi economica;
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tutt’altro che “necessitate dall’eccezionalità della situazione economica internazionale”, poichè ormai la situazione economica internazionale è in ripresa (tutti i paesi dell’eurozona nel 2014 hanno una previsione di incremento del PIL).
Quindi è evidente che “nel caso di specie, i ricordati limiti tracciati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale risultano irragionevolmente oltrepassati, e ormai le impugnate disposizioni non sono più giustificate “dell’eccezionalità della situazione economica da affrontare e limitati nel tempo”.
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