Inizialmente, il termine per le proposte di modifica era stato fissato per giovedì 7, ma la mole enorme di ritocchi, opzioni, pareri arrivati per cambiare la legge di stabilità ha reso necessario allungare di 48 ore la finestra per l’integrazione degli emendamenti.
Oggi, dunque, si chiude, anche se tuttora resta oscuro il numero finale delle modifiche che verranno allegate al testo. Quel che è certo è che il numero finale sarà record: basti pensare, infatti, che il solo Partito democratico si farà portavoce di ben 600 istanze di cambiamento della norma finanziaria.
Dunque, si prospettano tour de force in aula per le votazioni, di fronte a cifre così elevate di provvedimenti da esaminare. Se, poi, a questa quantità spropositata di correzioni, si aggiunge che alcune di queste riguardano temi di interesse pubblico e di rilevanza politica altissima, come le tasse sulla casa, il taglio del cuneo fiscale, le politiche previdenziali, allora è facile comprendere l’importanza del momento, in chiave economica e parlamentare.
Sicuramente, arriveranno correttivi profondi alla disciplina sulla tassazione immobiliare, che la versione originale della legge di stabilità presentava come più onerosa per i contribuenti rispetto al regime attuale e che la maggioranza, per tutta risposta, ha ritenuto di dover rendere più vicina alle tasche dei cittadini.
Così, dovrebbero tornare le detrazioni Imu, che verranno allargate alla Tasi, il nuovo tributo sulla casa che coprirà finanziariamente i servizi indivisibili dei Comuni a partire già dal prossimo 16 gennaio, data in cui andrà versata la prima quota.
Quindi, novità sono attese sicuramente sul fronte delle retribuzioni, con il taglio del cuneo di 5 miliardi che, al momento, sembra aver prodotto soltanto un bonus di 14 euro al mese in busta paga, che potrebbero diventare alcune centinaia annuali, ma una tantum, secondo le prime indicazioni trapelate dagli studi di palazzo Madama. Insomma, anche qui c’è tanto da discutere.
Quindi, fronte caldissimo è quello del pubblico impiego: il governo è chiamato dai sindacati a rivedere le misure introdotte con la legge approvata in Consiglio dei ministri, dove era stato stabilito il blocco degli stipendi anche per il 2014. Ora, con i sindacati sul piede di guerra, si cercherà una mediazione tra esigenze di risparmio delle casse pubbliche e una categoria che si sempre sempre più maltrattata dalle politiche pubbliche, da cui dipende.
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