Nel corso di questi anni, infatti, sono oramai numerose le sentenze che hanno poco a poco cercato di ricondurre a logicità il sistema, apparentemente scardinato da quelle sentenze (e soprattutto, per il vero, dall’interpretazione volutamente di parte che di quelle sentenze si è fatto, e mi riferisco in particolar modo al mondo assicurativo).
Tra i «danni collaterali» delle citate sentenze quadrigemellari del 2008 vi è stata da ampie parti l’affermazione secondo cui il danno morale rientrerebbe nel danno biologico e quindi non andrebbe risarcito (alzi la mano chi non si è sentito opporre una tale sciocchezza, perchè di tanto si tratta, dal liquidatore di turno con cui stava trattando la liquidazione di un sinistro).
Con la sentenza n. 22585/13 pubblicata il 3 ottobre dalla Terza Sezione Civile della Cassazione viene ribadito come tale affermazione per l’appunto non sia corretta, e che si tratti di un ribadire è confermato dalla ripresa delle parole testuali della precedente sentenza n. 2092 del 2012.
In particolare, si dice, le Sezioni Unite “non hanno mai predicato un principio di diritto volto alla soppressione per assorbimento, ipso facto, del danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi dell’evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie“.
Ancora, per quanto attiene alla risarcibilità del cd. “danno dinamico relazionale” la Corte motiva la risarcibilità con il riferimento alla distinzione operata dal legislatore nell’art. 612-bis del codice penale, che distingue tra due momenti della sofferenza dell’individuo: il dolore interiore (che traduciamo civilisticamente nel «danno morale») e la significativa alterazione della vita quotidiana (per il quale si è utilizzato il termine «danno esistenziale»).
Si tratta, dunque, di danni diversi e quindi in astratto entrambi risarcibili. Naturalmente, ma è una cosa nota, devono essere rigorosamente allegati e provati, caso per caso.
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