La sentenza non fa stupore agli addetti ai lavori perché è soltanto l’ultima di una lunga serie: 12 maggio 2011 (Tribunale di Monza, n.288); 4 aprile 2012 (Tribunale di Lagonegro, n.309); 27 novembre 2012 (Tribunale di Campobasso, n.749).
La cattiva abitudine di alcuni dirigenti di ‘concedere’ il giorno di permesso per motivi personali ha la sua origine nella formula contrattuale del 2001, là dove con l’art.49 co.1 lett.C si modificava il comma 2 dell’art.21 del CCNL 4-8-1995 : “2. A domanda del dipendente sono, inoltre, concessi nell’anno scolastico tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati, anche al rientro, od autocertificati in base alle leggi vigenti.”
Nella tornata contrattuale successiva (CCNL 2002/05) si parla di attribuzione (art.15 co.2: “A domanda del dipendente, inoltre, sono attribuiti tre giorni di permesso per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione”), finché con il contratto tutt’ora vigente compare la formula del diritto: “2. Il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione.”
Con quest’ultima formulazione è chiaro il principio del diritto, che come tale non è soggetto a concessione o attribuzione, ad usufruire del giorno di permesso, purché sia motivato e documentato anche mediante autocertificazione, che vuol dire che è sufficiente la dichiarazione del dipendente al quale non deve essere richiesto nessun tipo di certificazione rilasciata da altri. Sarà eventualmente l’Amministrazione, indipendentemente dal dipendente, a procurarsi la documentazione del permesso (p.e. titoli di viaggio, attestati di presenza in uffici, ospedali etc.).
La sentenza di Potenza mi pare interessante perché non pone limiti alla motivazione del giorno di permesso. La ricorrente aveva infatti chiesto permesso per poter fare un viaggio, dunque lo svago è annoverato fra i motivi personali e familiari: “Il Dirigente, con nota raccomandata a mano dell’1.4.2011 esprimeva il proprio diniego rispetto all’istanza, motivando essenzialmente il diniego in base alla circostanza che la docente si era già assentata nel 2010 per tre sabati, (uno a titolo di sospensione disciplinare disposta dallo stesso dirigente) che la classe 5 B doveva sostenere gli esami di stato, che la docente avrebbe potuto programmare il viaggio all’estero nelle” imminenti festività pasquali”. Il diniego appare illegittimo. […] Va rimarcato che nei motivi personali ben può rientrare un viaggio all’estero, indipendentemente dal fatto che ci si rechi all’estero per motivi di studio o semplicemente per svago.”
Il giudice precisa chiaramente “che il diritto ai tre giorni di permesso retribuito non è soggetto ad alcun potere discrezionale – di diniego” rimarcando invece la differenza con le ferie che sono a concessione: ”Dalla lettura combinata del comma 2 dell’art 15 con l’art. 13, comma 9, che subordina le ferie del docente, nel corso delle attività didattiche, a specifiche condizioni ed al potere organizzativo del dirigente […]”.
Infine particolarmente interessante il fatto che “il diniego del dirigente, motivato tra l’altro sulla scorta della esistenza di attività didattiche in corso (il che equivale ad introdurre per i permessi le stesse limitazioni che l’art. 13 prevede solo per una parte delle ferie) e di considerazioni (inammissibili) sul quando e sul come il lavoratore avrebbe potuto effettuare il programmato viaggio, appare illegittimo.”
Ciò sembra far cadere la tesi di alcuni dirigenti che motivano il diniego per “esigenze di servizio” ed è implicitamente un invito ai dirigenti stessi perché organizzino la sostituzione del dipendente in permesso retribuito.
Per inciso, l’Amministrazione è stata chiamata a risarcire alla ricorrente 1.800 euro di spese processuali più le spese di viaggio (annullato causa diniego al giorno di permesso).
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