Vale a dire che l’obiettivo politico da conseguire, quando circostanze lo consentono, viene concepito, non come possibilità valutata all’ interno di un sistema di regole accettate da tutti, come tali definite dalla Costituzione e dall’ordinamento giuridico, ma ragionando sul valore della propria posizione strategica nei diversi settori della società. Con lo sfruttamento della posizione dominante l’obiettivo si trasforma in pretesa, a parte qualsiasi considerazione sulla reale consistenza dei rapporti di forza. A tutti i costi. Conosciamo quali sono i costi, quando le finalità del resistere non sono proprio quelle della salvezza della patria.
Oggi come oggi, il prezzo della posizione dominante è alle spalle del manipolo dei combattenti e si tratta di un’ economia a pezzi, lasciata sprofondare nell’abisso per effetto degli ostacoli frapposti agli interventi di salvataggio. L’economia non è una metafora astratta, ma è il lavoro, le imprese che chiudono, i disoccupati i giovani che vedono il loro avvenire come un incubo, l’assistenza alle classi sociali più deboli , la scuola che non forma più nessuno, le università trasformate in centri di potere dinastici ecc.
Dalle nostre parti si dice “quando uno non vuole due non litigano”. Spesso è la fretta che altera i comportamenti delle forze in campo, impedendo che attraverso la trattativa si ottengano soluzioni equilibrate.
In una situazione come quella attuale tutti possono condizionare tutti .I vincitori, si fa per dire, come i vinti.
Soprattutto chi ritiene di aver vinto può essere trasformato in perdente e viceversa. Tutto questo nonostante il sistema giuridico italiano, sia sufficientemente equilibrato con i pesi e contro pesi predisposti dalla costituzione per bilanciare le ipotesi di prevaricazione di un potere nei confronti di un altro. Basta seguire le regole.
La sentenza Mediaset e la qualificazione giuridica della sentenza di condanna
La Giurisprudenza prevalente, considera, in tema di incandidabilità, la condanna penale irrevocabile come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, quindi, configurata alla stregua di “requisito negativo” o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica (Sentenza n. 695/2013 in data 6 febbraio 2013 del Consiglio di Stato).
Dal carattere non sanzionatorio della norma discende il corollario della non pertinenza del riferimento all’ esigenza di addivenire ad un’interpretazione compatibile con le disposizioni dettate dall’art. 25 Cost., in materia di sanzioni penali, e dall’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di misure lato sensu sanzionatorie.
Costantino Mortati, nel suo fondamentale “Istituzioni di diritto Pubblico” (ottava edizione 1969 edito da Cedam, pagina 460) scriveva: “E’ da rilevare che l’eleggibilità a cariche pubbliche forma il contenuto di un vero e proprio diritto subiettivo (autonomo rispetto a quello di essere immesso nell’ Ufficio dopo che l’elezione sia avvenuta) spettante ad ogni cittadino fornito di capacità generale, secondo può desumersi dall’art. 51 cost. Dal che consegue che le norme di legge rivolte a circoscrivere il diritto stesso per riuscire costituzionali, oltre ad essere limitate ai casi in cui la posizione dell’aspirante alla elezione è tale da contrastare con le esigenze di pubblico interesse legate alla genuinità del voto o alla natura della carica da coprire , devono essere interpretate in senso restrittivo e come ovvio, mai in via analogica”…
“L’attività di verifica della sussistenza dei requisiti relativi sia alla persona dell’eletto,cioè all’assenza di cause che rendano ineleggibili o incompatibili, svolta dalla Giunta delle Elezioni rientra sostanzialmente in quella amministrativa. Quando invece il parlamento debba deliberare in seguito a contestazione , che si rende possibile o per iniziativa di ufficio della stessa Giunta o più spesso in base ad un’ impugnativa della validità dichiarata in base al primo giudizio,allora esso assume la titolarità di una funzione sostanzialmente giurisdizionale ed in conseguenza la sua pronuncia acquista efficacia di cosa giudicata, sottoponibile al solo rimedio della revocazione nei casi stabiliti per la revoca delle sentenze (art. 395 c.p.c.)”.
La lettura non autorizza alcun automatismo, nel senso che si possa prescindere da un adeguata istruttoria che verifichi il ricorrere dei presupposti per la convalida ed allo stesso tempo garantisca i diritti della difesa. Tutti i diritti. Anche se comportano un allungamento dei tempi necessari per giungere ad una conclusione. L’accertamento della verità, se non deve durare in eterno, non deve essere neppure frettoloso. Non cade il mondo se un parlamentare prima di essere definitivamente dichiarato decaduto si difende. In questo caso poi di fronte ad una sentenza definitiva, il cittadino saprà sicuramente valutare, se opportunamente informato, anche il comportamento complessivamente tenuto dal condannato per far valere le proprie ragioni
Voler a tutti i costi la sentenza, seduta stante, può generare solamente sospetti. E purtroppo il primo, e più importante, è proprio quello che si abbia paura che l’imputato possa avere ragione se gli viene data la possibilità di spiegare tutte le ragioni della difesa. Quindi, come è stato detto, il problema non è tanto se Berlusconi rimane un giorno in più in Parlamento ,ma è la situazione del paese, che può subire il colpo di grazia, proprio dalle reazioni che possono innescare imposizioni a colpi di maggioranza, sicuramente fuori luogo. Di fronte al dato certo della colpevolezza dichiarata dalla sentenza passata in giudicato, voler aggiungere quella che può apparire una pubblica gogna, fa correre il rischio di tramutare la verità in sopruso, facendo assumere al convenuto la veste di martire. E non è proprio così. Quindi lasciamo che il procedimento per la dichiarazione della decadenza segua la via tracciata dal Regolamento del Senato, senza imposizioni o colpi di maggioranza, come l’ ultima proposta di stravolgere il principio giuridico che impone la segretezza del voto su questioni riguardanti persone.
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