Perché tutto ciò sia possibile, lo Stato ha bisogno di soldi, dei soldi dei propri cittadini. Lo strumento che lo Stato ha a disposizione per ottenere tali entrate è rappresentato dall’imposizione fiscale.
Questo gli italiani lo sanno bene. Non esiste bene o attività che non sia tassata, spesso in modo eccessivo e irragionevole.
La pressione fiscale in Italia è tra le più alte del mondo, come rivela una recente indagine dell’Ufficio Studi Confcommercio. Il suo valore effettivo si aggira intorno al 54% del Pil.
Ciò malgrado, pagare le tasse è prima di tutto un dovere etico. Una forma di responsabilità e solidarietà nei confronti di tutti coloro che vivono entro i confini dello Stato sociale.
L’importanza di tale dovere è stabilita anche dalla Carta fondamentale, all’articolo 53, e da numerose leggi speciali.
Una fra queste è il decreto legislativo n. 74/2000 che disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. L’articolo 10ter del decreto punisce chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale. La tanto famigerata IVA, oggetto in questa fase storica di una serie di riforme, che ne prevedono un aumento dell’aliquota, attualmente al 21%.
Ampiamente conosciuto e dibattuto è il fenomeno dell’evasione fiscale.
L’evasione, in Italia, è un problema serio. La mole di imposte evase ogni anno ha raggiunto livelli insopportabili, danneggiando la collettività e rendendo eccessivamente oneroso il reperimento delle risorse necessarie per lo sviluppo economico e per l’attuazione delle riforme.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli strumenti utilizzati per limitare tale fenomeno e individuare i soggetti che evadono. Uno fra questi è il recente redditometro. L’evasore viene punito con sanzioni amministrative (ammenda) e, in determinati casi, penali (multa o carcere).
Di conseguenza, chi non versa l’IVA compie un reato, è un evasore, un ladro per lo Stato. Ma è sempre così?
In realtà, in pochissimi mesi si sono moltiplicati i casi di assoluzione dai reati di evasione, previsti dalla norma precedentemente citata.
Il caso più recente si è registrato in provincia di Venezia, dove un imprenditore tessile, accusato di non aver versato 390mila euro al Fisco, è stato assolto con formula piena, in quanto riconosciuta la buona fede dell’atto. Come si legge dalle motivazioni della sentenza, l’imprenditore era impossibilitato a pagare l’iva. La diminuzione delle commesse, a fronte dei costi aziendali inalterati, hanno lasciato l’impresa priva di liquidità.
Un caso molto simile si è verificato a Padova, dove un imprenditore è stato assolto dalla stessa accusa (evasione per 207mila euro) perché aveva preferito pagare dipendenti e fornitori. Il giudice anche in questo caso ha assolto l’imputato con formula piena perché il fatto “non costituisce reato” mancando l’elemento soggettivo, ovvero il dolo.
Un ulteriore caso a Treviso, dove un imprenditore, accusato di aver evaso ben 225mila euro, in violazione dell’articolo 10ter del decreto n.74/2000, è stato assolto perché in mancanza di denaro. La difesa ha efficacemente dimostrato “che l’impresa non era nelle condizioni di versare l’iva entro i termini richiesti”.
Tutto ciò accade in quanto, in molti casi, il contribuente emette fatture, dichiarando l’importo su cui verrà calcolata l’imposta, ma per cause di “forza maggiore” non incassa il denaro. Di conseguenza, molti imprenditori si ritrovano senza soldi ma con l’obbligo di versare quanto dichiarato al Fisco.
Sono episodi questi che, oltre a rendere tangibile la drammatica situazione in cui versano fasce sempre più consistenti di imprenditori e contribuenti, dovrebbero funzionare da campanello di allarme per tutte le autorità, in primis il Legislatore. Urge una riforma della disciplina tributaria, una riforma che possa garantire una distinzione tra veri e falsi evasori, tra chi evade per guadagnarci e chi lo fa in quanto non ha alternative.
Ciò nonostante questi episodi non possono rappresentare la regola. Tutti devono pagare le tasse, ma nei limiti del possibile.
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