E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza 8 luglio 2013, n. 28913 nel caso di un indagato per dichiarazione infedele ed indebita compensazione tributaria (artt. 4 e 10 quater d.lgs. 74/00) che aveva trasferito ai figli minori il 40% e ai fratelli il restante 40% della propria società, mantenendo per sé il 20% residuo. il Tribunale del Riesame di Roma aveva rigettato l’appello proposto dall’indagato contro il sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza di € 42.000.000,00 disposto dal GIP romano, sequestro che comprendeva anche la società.
L’indagato aveva presentato ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, afferma anzitutto che i Giudici romani avevano correttamente ricondotto la gestione dell’intero capitale sociale all’imputato, sia sulla base della condizione di genitore esercente la potestà sui figli minori, sia per il rapporto di strettissima parentela intercorrente tra lo stesso e i suoi fratelli.
In secondo luogo, la Corte di Cassazione afferma come, ai fini della possibilità del sequestro preventivo per equivalente, non rileva solo l’ipotesi della c.d. “interposizione fittizia”, che “dà luogo ad un negozio relativamente simulato sotto il profilo soggettivo, i cui effetti solo apparentemente si spiegano fra dante causa ed interposto”, ma anche quella della c.d. “interposizione reale” la quale “ricorre ogni qualvolta l’interponente trasferisca o intesti … alcuni beni (nel caso in esame parte di quote sociali) all’interposto, ma con l’accordo fiduciario sottostante che detti beni saranno detenuti, gestiti o amministrati nell’interesse del dominus e secondo le sue direttive”.
In conclusione, secondo la Suprema Corte, l’esistenza di un rapporto fiduciario, derivante dalla consanguineità o da altro genere di relazione, che vincoli il soggetto interposto al soggetto interponente, rende il bene oggetto del trasferimento assoggettabile al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
Del resto, che il reo debba avere la disponibilità della cosa è un presupposto fondamentale della confisca per equivalente, secondo le previsioni dell’art. 322-ter c.p. Tuttavia, in mancanza di ulteriori specificazioni del legislatore, è la giurisprudenza ad aver definito il concetto stesso di disponibilità ai fini della confisca per equivalente. Invero, il legislatore ha evitato (nella formulazione dell’art. 322 ter c.p.) di indicare all’interprete posizioni giuridiche riconosciute e descritte dall’ordinamento civile (ad es.: il diritto di proprietà) utilizzando un termine atecnico che porta ad ancorare la nozione di disponibilità non a criteri formali di accertamento, come la titolarità di diritti reali o obbligatori sul bene, ma a quella situazione di fatto nella quale il reo, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto giuridico formale (reale o obbligatorio) rispetto alla cosa, è in grado di comportarsi rispetto alla cosa medesima uti dominus, e cioè come se fosse proprietario.
I Giudici della Cassazione sembrano aderenti a tale interpretazione della disponibilità ex art. 322-ter c.p. quale concetto che attiene al fatto, e non alle regole formali; così, in un caso è stato affermato che, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente di un conto bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, la misura preventiva reale di cui all’art. 322-ter c.p. si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal codice civile per regolare i rapporti interni tra creditori e debitori solidali o i rapporti tra banca e depositante (Cass. Pen., Sez. VI, 14.03.2007, n. 40175). Ancora, in merito al sequestro di un ciclomotore, gli Ermellini hanno chiarito come “in tema di confisca, non integra la nozione di “appartenenza a persona estranea al reato” la mera intestazione a terzi del bene mobile utilizzato per realizzare il reato stesso, quando precisi elementi di fatto consentano di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che in realtà sia l’autore dell’illecito ad avere la sostanziale disponibilità del bene. In una tale prospettiva, il giudice, nel valutare la ricorrenza dell”altruità” del veicolo, deve essere rigoroso e accertare, specie quando l’alienazione del bene sia avvenuta dopo l’accertamento del reato, se l’alienazione stessa sia effettiva ovvero se essa nasconda un’intestazione fittizia” (Cass. Pen., Sez. IV, 14.01.2010, n. 11230; Sez. II, 1.04.2011, n. 13360).
Il commento a tale decisione della Corte di Cassazione sarebbe privo di una riflessione pratica, se si trascurasse il problema della prova di eventuali diritti dei soggetti terzi rispetto alla pretesa di confisca.
Le Sezioni Unite (Sentenza n. 213511/99) hanno stabilito che i terzi che vantano diritti reali sulla cosa altrimenti destinata alla confisca hanno l’onere di provare tali diritti, dando la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato”, che legittimano la restituzione del bene. Nel caso oggetto della decisione oggi in commento, tuttavia, l’onere della prova del terzo non potrebbe limitarsi alla sola prova del proprio diritto, perché la sua tutela cederebbe comunque davanti all’esigenza di impedire che il reo abbia la disponibilità della cosa. Quindi, il terzo dovrà provare di aver esercitato il proprio diritto (nel caso di specie, di proprietà) nella misura idonea ad escludere la suddetta disponibilità in capo al reo.
Prova certamente difficile per i figli (tra l’altro, minori) dell’indagato, che quindi difficilmente potranno evitare, qualora vi sia la condanna del genitore, la definitiva confisca delle quote sociali.
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