La grottesca vicenda dell’abolizione delle province. Riforma incostituzionale

Luigi Oliveri 05/07/13

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– Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): “Ignobile plebaja! Così ricompensate i sacrifici fatti per voi? Ritiratevi, dimostratevi uomini e domani aboliremo le province!”

 – voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): “Grazie!”.

 (I Corifei si rivolgono Egloge e a Poppea): “E’ piaciuta questa parola… ‘province’… Il popolo quando sente delle parole difficili si affeziona… Ora gliela ridico… ‘Aboliremo le province!’”.

 – voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): (sempre più affrettatamente quasi cercando di sorprendere il popolo): “Aabooliiiremooo… le province!”

 – voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): (sempre più affrettatamente quasi cercando di sorprendere il popolo): “Aboliremooo… grazie!”

– voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): “…zie!”

 – voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): (facendo il gesto di dire la parola province, senza però dirla)

 – voce del popolo: “Bravo!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): “Bravo!”

 – voce del popolo: “Grazie!”

 – Corifei (Monti, Patroni Griffi, Crocetta, Stella&Rizzo, Padellaro, Grillo): “Lo vedi all’urtimo come è er popolo? Quanno si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo!”

Il celeberrimo “Nerone” di Petrolini si presta perfettamente a rappresentare e sintetizzare la grottesca vicenda dell’abolizione delle province, giudicata – inevitabilmente – incostituzionale dalla Consulta.

Il governo Monti, nel novembre del 2011, sotto la spinta populista, come e più dell’immaginario Nerone petroliniano, di tanti corifei della stampa e della politica, innescò una riforma delle province che più caotica, dannosa, inutile ed incostituzionale non poteva essere.

Qualcuno, come chi scrive (https://www.leggioggi.it/2011/11/18/province-si-province-no-province-forse%E2%80%A6/;http://archivio.lavoce.info/articoli/pagina1002730-351.htmlhttp://www.lavoce.info/se-le-regioni-inglobano-le-province/http://www.lavoce.info/quel-pasticciaccio-delle-province/) segnalò ripetutamente le incongruenze, le debolezze, gli errori di impostazione, del maldestro tentativo di riforma montiana. Una riforma, ricordiamolo, che secondo l’ufficio studi della Camera al massimo avrebbe comportato un risparmio di 65 milioni di euro sul bilancio statale (che riguarda una spesa di 805 miliardi), ma nessuna cifra venne però inserita nel bilancio, tale e tanta era l’incertezza sugli esiti della riforma.

Nonostante questo, è proseguito incessante e tambureggiante il coro contro le province, in particolare sulla stampa. Argomento troppo semplice per ottenere facile consenso, paginoni in prima e inchieste, ospitate nelle televisioni per discettare in merito, mostrando, spesso, di non conoscere per nulla quali funzioni svolgano le province, quali costi la loro soppressione o il loro riordino comporterebbe, rispetto a benefici finanziari in ogni caso irrisori per le casse pubbliche.

Il governo Monti non ha resistito alla tentazione di mettersi a suonare la grancassa, offrendo sul piatto lo scalpo delle province, all’evidentissimo scopo di addolcire l’amara pillola della cura da cavallo di tasse e misure depressive che hanno portato l’Italia ad un avvitamento gravissimo della propria crisi. E, insieme con la stampa superficiale e populista, ha anche in parte colto l’intento.

Basta andare sui social media, per rendersi conto che il lavaggio del cervello dei corifei che invocano l’abolizione delle province ha funzionato. In tanti esprimono rabbia e rancore, e accusano la Consulta di chissà quali complotti, ritenendo che l’origine dei problemi finanziari italiani siano le province, cioè l’1,35% (lo ha confermato pochissimi giorni fa la Procura della Corte dei conti nel suo giudizio di parificazione del bilancio dello Stato), della spesa pubblica complessiva.

Per la mossa populistica dell’abolizione o, comunque, del riordino delle province, il governo Monti non aveva tempo e scelta: decise, dunque, la via certamente incostituzionale del decreto-legge. Ben tre, l’ultimo dei quali non convertito. Decreti adottati in via d’urgenza, allo scopo di risanare (con che esiti si è, purtroppo, visto) le finanze pubbliche.

Ma, spiega la Corte costituzionale, il riordino dell’assetto della Repubblica e degli enti che la compongono (comuni, province, città metropolitane, Stato), non può essere compiuto con un decreto legge. Per altro, è bene ribadirlo, il decreto legge, di natura finanziaria, non aveva previsto nemmeno un solo misero centesimo di risparmio sul bilancio, per effetto del riordino delle province!

Anche un allievo appena iscritto al primo anno di Giurisprudenza avrebbe agevolmente concluso per l’assoluta incostituzionalità ed insostenibilità della manovra del Governo Monti, sostenuta a spada tratta dall’allora Ministro della Funzione Pubblica, Patroni Griffi, che, per altro, è un magistrato del Consiglio di Stato e di costituzionalità delle leggi dovrebbe intendersene.

Patroni Griffi, ora promosso a Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, è colui che ad un’inchiesta de L’Espresso on line che riportava una dichiarazione di chi scrive, rispose: “Il dott. Oliveri, dopo aver detto che è sbagliato mantenere le Province ma con funzioni ridotte (non si capisce cosa ci sia di intrinsecamente sbagliato nel ridisegnare un livello di governo sul piano delle dimensione e delle funzioni), assume a indice dell’errore e della mancanza di serietà l’aver tolto “alle Province la responsabilità su formazione e lavoro, lasciando però la scuola secondaria, come se i due ambiti non fossero collegati tra loro”. E, in effetti, se si sapesse di cosa si sta parlando, si “scoprirebbe” che i due ambiti non sono affatto collegati tra loro: le competenze provinciali in tema di scuola secondaria non riguardano l’offerta formativa, bensì manutenzione e gestione degli edifici scolastici (riscaldamento, manutenzione e assegnazione immobili, ecc.): il dott. Oliveri si riferiva forse alla formazione e al mercato del lavoro dei tecnici delle caldaie?”. E concluse: “Tutto si può fare, ma bisogna un po’ approfondire i temi prima di parlare”. Ecco. Se il ministro Patroni Griffi, e con lui Monti e tutta la stampa dei corifei, avesse approfondito un po’ prima di parlare, ma soprattutto il Governo ed il Parlamento, di legiferare, forse si sarebbe evitata la sceneggiata grottesca alla Petrolini nella quale, invece, la superficialità, la demagogia, la protervia di troppi hanno condotto.

La Corte costituzionale è stata capace di non lasciarsi influenzare dai corifei, nonostante il rischio di apparire come un soggetto che blocca le riforme, cosa della quale oggi molti la accusano. Tra l’altro, non a caso, negli ultimi giorni la stampa aveva moltiplicato all’inverosimile gli interventi contro le province, (basti pensare al numero del Fatto Quotidiano di domenica 30 giugno), allo scopo evidente di condizionare il giudizio della Consulta.

Ma i vizi di costituzionalità della manovra Monti sulle province erano troppo evidenti, gli errori troppo marchiani, il caos prodotto troppo lapalissiano.

Dalle dichiarazioni del Ministro Quagliariello (“si va avanti”) non sembra di poter ricavare buone impressioni. Si continua ad avere la sensazione che il Governo ed il Parlamento, anche per la presenza di M5S, continuino a ritenere la demagogica mossa anti-province un sistema per ammansire il popolo.

Magari, adesso, capita la lezione (dopo l’approfondimento prima di parlare che consigliava Patroni Griffi) impartita dalla Consulta, procederanno mediante legge costituzionale.

Il problema, però, non è solo lo strumento col quale procedere a sopprimere o riordinare le province. Al contrario è capire (studiando prima, auspicabilmente) quello che le province fanno, come sono finanziate, quali conseguenze sul piano dell’organizzazione dello stato e della finanza locale comporterebbe la loro soppressione.

Si continua a sentire che le funzioni delle province possono benissimo essere attribuite ai comuni. E’ evidente che questa affermazione proviene da chi non conosce le funzioni provinciali, le quali sono connesse ad un’area territoriale molto più ampia di quella stretta tra le mura comunali. Un solo esempio: la rete didattica e logistica delle scuole superiori. Se la cura di esse fosse assegnata ai singoli comuni, non ci sarebbe il rischio, ma la certezza, del proliferare di indirizzi scolastici dove non servirebbero e di una manutenzione ancora più inefficiente di quella esistente: perché un sindaco dovrebbe sentirsi obbligato ad investire soldi comunali su un bene, la scuola superiore, frequentato per la maggior o buona parte da studenti che nemmeno risiedono nel suo comune?

Il Ministro Delrio, da ex presidente Anci (che ha portato nel suo ministero molti funzionari dell’Anci stessa) è convintissimo che occorra attribuire ai comuni le funzioni provinciali. Non ha ancora spiegato, però, come ripartire tra 8100 comuni le entrate di 107 enti (11 miliardi diviso per 8100 fa circa 1.358.000 euro in media a comune: come gestire le funzioni provinciali con così poco nessuno lo sa). Nessuno ha affrontato il problema dell’accollo del patto di stabilità delle province verso gli enti subentranti, né della riforma della finanza locale che ne deriverebbe.

Nessuno prende atto che una riforma che davvero intenda razionalizzare, non potrebbe che far convergere le funzioni provinciali, soppresse le province, solo verso le regioni, considerato che solo l’accorpamento da 107 enti a 20 (e non la disgregazione da 107 a 8100) forse determinerebbe economie di scala e risparmi.

Ma, in questo modo, le regioni si snaturerebbero definitivamente e da enti che dovrebbero limitare la propria funzione a quella legislativa e di programmazione, diverrebbero un moloch pervasivo che gestisce minute e minime funzioni, in barba a qualsiasi principio di sussidiarietà verticale.

Altrettanto preoccupanti sono prospettive, poi, come quelle segnate dalla via siciliana (anch’essa certamente incostituzionale) all’abolizione delle province: cioè quella di eliminare le province, per sostituirle con altri enti, città metropolitane o “liberi consorzi” che siano.

Se davvero l’abolizione delle province serve per ridurre le spese e la burocrazia, lo capisce perfino un bimbo che eliminarle, ma al contempo introdurre altri organi aventi medesime o analoghe funzioni, non farebbe che creare ulteriore caos e spesa. Ce lo ha spiegato la Corte dei conti nel giudizio di parificazione del bilancio dello Stato: “In particolare, quali e quanti effetti concreti ha prodotto la pur complessa normativa sulla “spending review” in relazione ai molteplici e diversificati obiettivi da perseguire? Se, ad esempio, ci si soffermasse sulla riduzione (o riordino? o eliminazione?) delle Province, argomento che, pur vivo, comincia ad essere datato, ne sortirebbe (si perdoni il termine) una specie di “telenovela” dai contorni, però – data la valenza istituzionale e strutturale della soluzione del problema – veramente sconcertanti, per l’indefinita e aleatoria determinazione in proposito, con un continuo alternarsi di “stop and go”, che nulla decide e tutto lascia in inverosimile e dannosa incertezza. Certamente, peraltro, la soluzione al problema che sembra profilarsi autonomamente nella Regione siciliana –stando a quanto rilevato dal Presidente dell’Unione Province d’Italia – fa sorgere serie perplessità, atteso che le nove Province attuali sarebbero sostituite tra un anno da trentatré consorzi e tre città metropolitane, previa immediata sostituzione degli attuali vertici eletti, con altrettanti Commissari”.

Vedremo se il Governo Letta sarà in grado di svestire i panni grotteschi di Nerone ed avviare prima uno studio approfondito (per approfondire i temi prima di parlare, seguendo l’illuminato consiglio di Patroni Griffi), e poi una proposta seria e non demagogica di riforme. Considerando, però, la netta continuità di questo Governo col precedente ed il fuoco di fila della stampa sulle province, c’è poco da esserne convinti.

Luigi Oliveri

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