In sostanza, la Corte d’appello, aveva annullato il decreto contestato, sostenendo come l’attribuzione del cognome materno, scelto concordemente dai genitori, collimasse con l’interesse della bambina, rappresentando parallelamente un segno già distintivo della personalità della stessa. I magistrati della Corte Suprema, in merito alla decisione, hanno affermato che la “corte territoriale sulla base di una valutazione di merito insindacabile in questa sede, supportata da ampia ed esauriente motivazione, esente da incongruenze sul piano logico-giuridico (non fondata sulla manifestazione della volontà dei genitori, ma incentrata soprattutto sull’interesse della minore), ha correttamente applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, la scelta del giudice non può essere condizionata né dal “favor” per il patronimico, né dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’articolo 262 del codice civile, che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio legittimo (Cass., 29 maggio 2009, n. 12670; Cass. 3 febbraio 2011, n. 2644)”.
In conclusione, il Collegio non ha approvato le argomentazioni espresse dal procuratore generale nella precedente richiesta, valutando altresì come illegittimo il comportamento dei due coniugi responsabili di aver aggiunto al cognome materno anche quello del padre.
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