La trattenuta del migrante presso un centro di identificazione ed espulsione viene strettamente subordinata ad un periodo temporale vincolante e necessario, che comunque non vada oltre i trenta giorni di proroga sancita dal giudice, ammissibile in situazioni di difficile accertamento identificativo (nazionalità e identità dello straniero) oppure in vista dell’acquisizione di documenti necessari al viaggio. Sono poi previste dal Testo unico sull’immigrazione altre due possibilità di prolungamento, ciascuna equivalente a sessanta giorni, che subentrano in concomitanza della sussistenza (alternativa) di due precise condizioni.
La prima di esse riguarda la mancata instaurazione di un rapporto che sia collaborativo ai fini del rimpatrio, mentre la seconda ha a che fare con il ritardo nell’ottenimento della documentazione richiesta dai Paesi terzi, per un intervallo massimo che non dovrebbe oltrepassare i 180 giorni. In caso di impossibilità a procedere, pur a fronte degli adempimenti necessari, il questore ha facoltà di richiedere al giudice di pace del luogo ove si trova ubicato il singolo Cie la proroga del trattenimento per lassi temporali che di volta in volta non siano superiori ai sessanta giorni, senza comunque andare oltre il tetto ulteriore di dodici mesi.
La disposizione da parte del giudice di pace, per via del carattere del tutto eccezionale del medesimo provvedimento, va integrata da idonea ed esaustiva motivazione. In ogni caso, come sancito dalla Sesta Sezione civile della Suprema Corte, un simile giudizio non va emesso senza previa presa di parte all’udienza camerale del cittadino extracomunitario coinvolto, atta a verificare la legittimità delle circostanze motivanti la richiesta estensiva della detenzione amministrativa. Nel caso specifico, la Cassazione ha riportato l’esperienza di un giudice di pace che, limitatosi a convalidare la domanda avanzata dall’amministrazione di proroga del trattenimento dello straniero presso il Cie prescelto, aveva escluso la convocazione dell’interessato all’udienza.
Assecondando un’interpretazione fedele al testo costituzionale, la Suprema Corte ha optato per l’abrogazione del decreto di proroga emesso dal giudice di pace ‘omissivo’. Qualora, infatti, la decisione sul prolungamento della presenza del cittadino extracomunitario si trovasse esclusivamente a transitare dall’amministrazione all’autorità giudiziaria, tutte le tutele difensive di diritto allo straniero verrebbero automaticamente a crollare. Inoltre, i giudici supremi, con la successiva sentenza n. 15232, depositata sempre ieri, hanno specificato che l’indicazione delle generalità del destinatario del decreto espulsivo che si riveli sbagliata, a condizione che non subentri la contestazione dell’identità del soggetto, e qualora vi sia una corretta trasposizione del nominativo sull’atto amministrativo, non giunge ad implicare l’inefficacia del foglio di via, comportando soltanto la rettificabilità dell’errore e dunque tenendo saldi gli effetti del provvedimento di allontanamento.
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