Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Cosa succede, allora, se uno dei coniugi tradisce l’altro ed abbandona la casa coniugale?
La risposta sembra semplice: su richiesta del coniuge tradito ed abbandonato, il giudice dovrebbe addebitare la separazione al coniuge fedifrago, reo di esser venuto meno, tra le altre cose, all’obbligo di fedeltà e di coabitazione.
Ma siamo sicuri che il finale sia sempre questo?
Ebbene, dopo 35 anni di matrimonio, “Tizio” ha chiesto la separazione giudiziale con addebito alla moglie, l’attribuzione dell’assegno familiare e l’assegnazione della casa coniugale.
La moglie, prontamente, si difendeva chiedendo esattamente le stesse cose, a causa delle ripetute relazioni adulterine da parte del marito e dell’abbandono del tetto coniugale.
Ma la Corte di Cassazione, con sentenza 23426/2012 ha rigettato il ricorso della moglie, rilevando che non è sufficiente addurre la deprecabile condotta del marito per giustificare la pronuncia dell’addebito ma occorre provare, a carico di chi la invoca, il nesso causale tra la violazione dei doveri sanciti dall’art. 143 c.c. e la rottura del vincolo matrimoniale.
In sostanza, se non si prova che le circostanze, addotte a sostegno della propria tesi, si riferiscono ad epoca antecedente alla crisi coniugale, cari signori e signore, nulla si potrà pretendere.
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