Il 5 giugno 2013, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, è stata data lettura del dispositivo della sentenza che ha chiuso il primo grado di giudizio sul caso Cucchi.
Dopo 45 udienze, 120 testimoni, varie perizie (una delle quali disposta dalla stessa Corte) si è giunti ad una decisione.
La III Corte d’Assise del Tribunale di Roma ha condannato sei dei dodici imputati del processo. Il primario della struttura sanitaria in cui Stefano Cucchi morì il 22 ottobre 2009, Aldo Fierro, condannato a due anni di reclusione. Condannati a un anno e quattro mesi, invece, Stefania Corbi, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno e Luigi De Marchis. Otto mesi per Rosita Caponetti. I restanti sei imputati, tre agenti della polizia penitenziaria e tre infermieri, sono stati assolti, i primi per insufficienza di prove, i secondi con formula piena. Le pene sono state tutte sospese. In più, è stato previsto un risarcimento di 320mila euro per i membri della famiglia.
Alla fine della lettura del dispositivo, diverse sono state le reazioni. Dagli spalti, gli insulti all’indirizzo dei magistrati, le lacrime dei familiari di Stefano, la gioia degli assolti. Reazioni tutte facilmente comprensibili.
Reazioni seguite ad una verità che arriva dopo tre anni e mezzo da quella tragica mattina del 22 ottobre 2009, in cui Stefano, dopo un lungo calvario durato sei giorni, perse la vita.
Una verità, quella processuale, che non fa completa chiarezza sulla morte del giovane. Si tratta veramente di colpa medica? Si tratta veramente di una “svista” dei medici?
Ilaria, la sorella della vittima, ha commentato tra le lacrime la sentenza. “Mio fratello è morto di ingiustizia. Non sarebbe morto senza quel pestaggio”. Pestaggio che, secondo l’accusa, si è svolto in più occasioni, anche prima dell’interrogatorio per la convalida dell’arresto, come si deduce dall’audio delle sue dichiarazioni, diffuso dall’associazione “A buon diritto”, fondata dal senatore Luigi Manconi, che in Senato presiede la commissione per i diritti umani. Lo stesso Manconi che dichiara: “E’ il fallimento della giustizia. Un pestaggio nei confronti di una persona inerme c’è stato, ma non si sono trovati i responsabili”. Parole durissime, che evidenziano i gravi limiti del nostro sistema giudiziario.
Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, parla di “Fallimento dello Stato, perché pensare che Stefano è morto per colpa medica è un insulto alla sua memoria, è un insulto a questa famiglia, è un insulto allo stesso Stato che non si lascia processare”.
“Me l’hanno ucciso un’altra volta”, sentenzia la madre, Rita Calore. “Noi la verità la sappiamo. Mio figlio è stato ucciso dentro le mura dello Stato ed è lì la verità”.
Anche i pm, Vincenzo Barba e Francesca Loy, si dicono perplessi. “L’assoluzione dei tre agenti della polizia penitenziaria non ci lascia soddisfatti e sarà oggetto di nostra valutazione quando leggeremo le motivazioni della sentenza per l’Appello”.
Gli unici a gioire sono gli assolti. “E’ la fine di un incubo. La giustizia ha trionfato”. Per Nicola Minichini, uno dei tre agenti assolti per insufficienza di prove, è la fine di un inferno durato quattro anni.
Non tardano ad arrivare i più diversi commenti, anche dalla classe politica. Quello di Giovanardi, che si dice soddisfatto perché: “Giustizia è stata fatta. Il tempo è galantuomo e fa giustizia del linciaggio mediatico a cui sono stati sottoposti gli agenti di custodia”.
Giorgia Meloni esprime, invece, solidarietà alla famiglia Cucchi, dichiarando che la sentenza non fa piena luce sulla vicenda.
E intanto il web si stringe attorno alla famiglia della vittima, manifestando tutta la sua solidarietà. La pagina Facebook di Ilaria è stata invasa da migliaia di messaggi. “Ilaria, siamo con te”, “Ilaria non arrenderti!”.
Lino Aldrovandi, il padre di Federico Aldrovandi, scrive: “Caro Giovanni, cara Ilaria, cara Rita, Stefano non può essere che orgoglioso di voi. In questa notte vorrei sentiste il mio abbraccio con poche parole, ma tanto amore… per Stefano”.
Famiglie, quella Aldrovandi e quella Cucchi, da anni unite, seppur nel dolore.
Storie diverse, quelle di Stefano, Federico e di tanti altri, legate da un filo comune: quelle di essere vittime di un sistema che non si lascia condannare.
Ciononostante, e qui il mio personale invito ai lettori, dobbiamo continuare ad avere fiducia nel ruolo della magistratura, affinché possa finalmente giungere ad una verità, quella processuale, quanto il più possibile vicina alla verità “reale”, continuare a sperare che un giorno si possa arrivare ad una giustizia che sia giusta, per tutti.
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