La famiglia della piccola Sofia infatti aveva presentato e vinto il ricorso in tribunale per poter accedere all’iniezione di staminali d’urgenza a Brescia e così portare avanti le terapie. ”Con il primo testo del Senato –ha proseguito il fondatore di Stamina- la bambina poteva essere curata subito. Così si sono invece allungati i tempi e speriamo che non sia la prima di una lunga serie”.
Vannoni ha sottolineato l’urgenza che sussiste per “le persone che non hanno tempo di aspettare. Così si crea un corto circuito che coinvolge bambini e adulti e non è più una diatriba tra Vannoni e gli scienziati“. “Non vogliamo strumentalizzare –ha comunque sottolineato il presidente di Stamina- ma ci sono centinaia di famiglie che stanno vincendo i ricorsi e con un ordine del giudice hanno un diritto acquisito che non può essere violato dallo Stato. Sono casi di urgenza per terapie compassionevoli“.
La piccola Sofia “è morta lo scorso 2 giugno, senza essere riuscita ad ottenere la cura, perché –ha sostenuto Vannoni- agli Spedali Civili di Brescia non c’era posto e non c’era possibilità di ampliare gli accessi“. “Dall’8 aprile al 2 giugno era comunque già passato troppo tempo“, è stata l’amara constatazione. La piccola, come riferito dallo stesso Vannoni, si è spenta per una crisi respiratoria e la famiglia è ora “intenzionata a denunciare gli Spedali Civili di Brescia e il ministero della Salute”. Quello che si configura infatti è il reato di “omicidio volontario”.
Il parere rivelato dal fondatore di Stamina attribuisce tutta la responsabilità del decesso alla nuova normativa, dal momento che “con il testo precedente, -sono le parole di Vannoni- bocciato dal Parlamento, si sarebbe potuto invece ampliare la possibilità di offrire la cure. Ora è tutto sulle spalle degli Spedali Civili di Brescia, che non sono in grado di dare risposte sufficienti e si è creata una lista d’attesa lunghissima“.
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