Il redditometro quindi non sarebbe uno strumento paragonabile agli studi di settore in quanto, discostandosi dal vecchio metodo dal punto di vista metodologico, non consentirebbe l’applicazione retroattiva. Il redditometro, a differenza degli “studi evoluti” ed “integrati” i quali, così come precisato dall’Agenzia, rappresentando una metodologia analoga diventano lecitamente comparabili a quella precedente, anche in applicazione ai periodi d’imposta anteriori, esclude a priori l’applicazione retroattiva.
Nonostante i Dm del 1992 permettono di definire il complessivo reddito in relazione alla disponibilità di un bene, il recente strumento fonda la presunzione sintetica sulla somma totale di ciascuna tipologia di spesa. Più precisamente, tramite il metodo antecedente il reddito veniva a determinarsi a prescindere dalla spesa concretamente sostenuta dal contribuente; viceversa il nuovo metodo comporta chi siano gli stessi costi sostenuti, o assegnati su base statistica, a dare origine alla presunzione. La direttiva delle Entrate stabilisce dunque che tra vecchia e nuova metodologia esiste una netta disomogeneità basilare, tanto nel criterio metodologico quanto nella determinazione reddituale, senza contare poi la divergenza reciproca che sussiste nella base dati: in un caso beni indici, mentre nell’altro totale costi sostenuti.
La disposizione, però, parallelamente precisa che tramite il nuovo redditometro diventa necessario addizionare tutti gli altri fattori di spesa così come individuati dalla tabella riportata nel Dm del 2012. Essendo indispensabile effettuare la sommatoria di tutte le spese, e dunque risultando impossibile un paragone circoscritto al singolo bene indice, non è tuttavia chiaro il motivo per cui il valore complessivo che si viene in tal modo a determinare non possa essere comparato con l’antecedente metodo di accertamento. Questo argomento andrebbe meglio precisato.
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