Cogli amici mi ero dato appuntamento il giovedì al bar della stazione. Era il giorno che tutti e tre andavano a Bologna, il professore a fare lezione in facoltà e i due medici a frequentare un corso di aggiornamento in regione, obbligatorio e inutile come tutte le cose obbligatorie. Per me un giorno valeva l’altro. Ero in pensione da poco e spesso andavo in bici alla stazione a vedere passare i treni con la vita, come facevo da piccolo con mio nonno. Quella mattina con l’ombrello sotto la pioggia, e loro erano all’interno a un tavolo del bar e parlavano di donne. E per giunta di Angelina Jolie. Finalmente! pensai. Ma li avevo sopravvalutati, perché come al solito parlavano di un problema filosofico-scientifico. Parlavano infervorati del suo seno, che l’attrice aveva deciso di togliersi per farselo nuovo. Niente di straordinario, pensai, lo fanno tutte. Eh no, a suo dire l’aveva fatto per evitare di morire di cancro al seno, come sua madre, come sua zia. Una decisione abnorme, commentava uno dei due dottori, una mutilazione così drammatica per il corpo e per la psiche di una donna a fronte di una probabilità appena doppia della popolazione generale di avere un cancro, che ha una probabilità bassa nelle donne che hanno allattato e che se diagnosticato precocemente con lo screening regolare è uno dei più sensibili a cure molto meno devastanti. Semplicemente, ribatteva l’altro dottore, la Jolie per non lasciare orfani i suoi bambini ha scelto il certo per l’incerto, ha optato per la soluzione più radicalmente sicura, lo screening annuale, la mastectomia inventata da Veronesi, i linfonodi, la eventuale chemioterapia, nulla ti assicura però che il cancro non ritorni, non avere le mammelle invece dà una garanzia totale dal cancro. Non è affatto vero, ribattè l’altro, a parte che la garanzia non è comunque totale, questa mi pare una logica aberrante sul piano scientifico e umano, e allora chi ha una familiarità per il tumore al polmone o al pancreas dovrebbe togliersi polmoni e ghiandola pancreatica? Ed io, feci ad alta voce, che ho una familiarità per il neurinoma, dovrei togliermi il cervello? Tu intanto il cervello non ce l’hai, fecero in coro ridendo i due dottori. Ma il professore di filosofia non rideva, era serio e rimase in silenzio per un po’. Poi mi disse, ti sei seduto sotto quella mensola carica di vasi. E allora? chiesi. Potrebbe caderti addosso e farti morire. Allora mi sposto, feci prontamente. Poi continuò. E’ impossibile per l’uomo spostare ed evitare ogni pericolo di vita, come è impossibile evitare la vecchiaia e la morte, ma la medicina e la cultura del ‘900 hanno illuso l’uomo e queste aberrazioni ne sono la logica conseguenza, il senso dell’onnipotenza, della estraneità e della superiorità alla natura, la fede cieca che ogni malattia, ogni rischio, ogni curva insidiosa della sorte possano essere superate e vinte, l’abbandono totale alla tecnologia e la rinuncia alla forza della parola e alla opportunità del male attraverso il quale soltanto bambini e adulti crescono. Guardate me con la mia sclerosi multipla, sono più felice di voi, perché questo male mi fa apprezzare ogni istante della vita che a voi pare scontata, sono quasi come voi ma più felice di voi e morirò come voi. Silenzio. In lontananza il fischio del treno. Ci spostammo sotto la pensilina verso il binario, il professore col suo bastone , io gli ero vicino. Improvvisamente sul marciapiede barcollò e stava per cadere sulla massicciata dove arrivava il treno. Lo afferrai in un balzo. Grazie, mi disse, so che posso contare sempre sulla velocità del corpo degli altri. Ed io sulla velocità della tua mente, pensai a bassa voce. E mentre i miei amici salivano sul treno, io ripresi sotto l’ombrello la bici dei miei pensieri.
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