Con attinenza al processo d’appello sui diritti Mediaset, i giudici della Corte d’appello di Milano scrivono che Berlusconi ha continuato a ricoprire il vertice aziendale anche successivamente alla rispettiva discesa ‘in campo’, ovvero anche dopo l’incarico politico e l’ascesa alla presidenza del consiglio. Questo è quanto riportano le motivazioni della sentenza di secondo grado, tramite cui è stata convalidata la condanna a carico del Cavaliere a quattro anni di reclusione, più cinque di interdizione dai pubblici uffici, per il reato di frode fiscale nella caso sui diritti televisivi. E’ opinione dei giudici d’appello che vi sia pienamente riconosciuta la “prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire del gruppo B e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore”. In merito all’entità della pena, la motivazione adduce: “La pena stabilita in prime cure è del tutto proporzionata alla gravità materiale dell’addebito e all’intensità del dolo dimostrato”.
Nelle 190 pagine di motivazioni sul procedimento Mediaset, i giudici d’appello non hanno alcun dubbio sulle responsabilità dell’ex premier. In un passaggio si legge,“un imprenditore avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto e avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano da tale fondamentale opportunità, ma che, su questo, lucravano ingenti somme sottraendone sostanzialmente a lui oltre che a Mediaset“. Oltre a Berlusconi la condanna in secondo grado è stata estesa anche ad “una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto collocate nella lontana periferia del gruppo, ma che erano vicine (al Cavaliere) tanto da frequentarlo tutti personalmente”.
Nell’illustrare il ruolo giocato da Frank Agrama, intermediario delegato da Mediaset per comprare i diritti tv, dall’accusa considerato il “socio occulto” dell’ex premier, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato la responsabilità dell’imprenditore, il quale, si legge, si è “reso nel corso degli anni, ivi compreso il periodo 1995-1998 oggetto del presente giudizio, disponibile e complice nell’inserirsi con le sue società nella catena dei diritti”. Quella stessa catena di cui appunto, secondo il collegio presieduto da Alessandra Galli, Berlusconi rappresenta il “reale beneficiario”. “Non aveva alcun senso acquistare a un determinato prezzo quel che si era già individuato acquistabile ed effettivamente acquistato a un prezzo molto minore”, riporta il collegio in relazione alle diverse società schermo di cui, stando alla ricostruzione accusatoria, si sarebbe servito l’ex premier per gonfiare il prezzo dei diritti televisivi e cinematografici comprati da Mediaset dalle principali majors statunitensi al fine, specifico, di creare fondi neri all’estero per frodare il fisco italiano.
Parallelamente arrivano anche le motivazioni dell’altra controversa vicenda processuale che vede coinvolto Berlusconi. Sono i giudici della Suprema Corte, questa volta, ad intervenire sul caso Ruby. ‘Gli ermellini’, in una sentenza lunga 34 pagine, la numero 22112, hanno spiegato che l’istanza di trasferimento da Milano a Brescia degli svolgimenti Ruby e Mediaset, richiesta dai difensori del leader del Pdl, sembra “ispirata da strumentali esigenze latamente dilatorie”, anziché “da reali e profonde ragioni di giustizia”. I giudici della sesta sezione penale della Cassazione hanno così spiegato il perché, il 6 maggio scorso, hanno optato per il no al’istanza di trasferimento dei processi. La tesi secondo cui sussisterebbero “contesti deliberatamente persecutori o complottistici dell’intera autorità giudiziaria milanese”, ai danni dell’imputato Berlusconi “da non dissimulati e biasimevoli intenti punitivi di segno politico” è stata valutata dai giudici come un’”accusa infamante”, che “colpisce un presupposto o una precondizione irrinunciabili della professionalità e dell’onorabilità del giudice, quali il dovere di imparzialità e l’indipendenza di giudizio“.
Sotto le di mire del “superficiale” scherno manifestato da Berlusconi, ha sostenuto ancora la Cassazione, sono cadute anche le componenti femminili del Tribunale civile di Milano, responsabili della decisione in merito all’assegno mensile di separazione a favore di Veronica Lario. La motivazione presentata dai giudici supremi fa infatti riferimento anche all’epiteto “giudicesse femministe e comuniste” con cui l’ex premier aveva definito le componenti dell’organo giudiziario civile durante un intervento televisivo. Quanto invece alle considerazioni espresse dell’imputato in relazione al lavoro dei pm Bocassini e De Pasquale, si legge nella motivazione: “i pm fanno il loro ‘mestiere’ e certo non può addursi a motivo di temibili intenti persecutori che si adoperino (…) con tenacia e determinazione anche polemica e decisa ma mai esorbitante dalla normale dialettica processuale“.
Persino la presunta incompatibilità processuale causata dalla famosa sindrome dell’uveite figura tra gli argomenti trattati nella documentazione riportata dai magistrati della Cassazione. Quest’ultimi infatti si pronunciano sulla questione inerente le visite fiscali delegate dai giudici milanesi nei confronti del Cavaliere, eseguite per accertare l’effettività dell’impedimento di comparizione in aula ai processi Ruby e Mediaset. Berlusconi vantava un certificato medico che gli diagnosticava l’uveite, si trattava di disturbi alla vista per i quali risultò necessario un “volontario ricovero ospedaliero”. Quella singolare forma di disturbo, hanno fatto sapere oggi i giudici, non era “oggettivamente impeditiva della partecipazione al processo, e non può valere a dar luogo al differimento dell’udienza”. Si apprende dalla motivazione stilata dagli ‘ermellini’, con riferimento alla legittimità delle visite fiscali disposte dal pubblico ministero Ilda Boccassini, “non è dato comprendere quale vistosa anomalia o pervicace grave lesione dei diritti di difesa dell’imputato possano ravvisarsi nell’attività accertatrice del concreto impedimento a comparire dell’imputato svolta da un normale Collegio giudicante, atteso che il semplice volontario ricovero ospedaliero dell’imputato, per una infermità segnalata in sé come non grave (congiuntivite, uveite), né oggettivamente impeditiva della partecipazione al processo, non può valere a dar luogo ‘ipso iure’ al differimento dell’udienza”.
Le motivazioni del processo Mediaset
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento