La delibera – decisa nell’adunanza plenaria del 23 aprile, depositata il 10 maggio e notificata ieri – ha fissato la pena pecuniaria di mille euro per i Consigli dell’Ordine che, in violazione del Trattato sul funzionamento dell’Ue, articolo 101, avevano inserito, fra il 2010 e il 2012, “ingiustificati adempimenti” per attestare “l’imprescindibile presupposto dello svolgimento di attività professionale all’estero”, oppure il superamento di prove attitudinali, colloqui nella lingua del paese di provenienza, o ancora una sovrattassa ad hoc, fino a giungere in certi casi a veri e propri regolamenti restrittivi.
In realtà nell’inchiesta – attivata nel 2011 dalla segnalazione di un “abogado” di Madrid, seguita da una seconda dell’Aisa, associazione avvocati stabiliti, – avevano preso parte anche i Coa di Chieti, Matera, Milano, Modena, Roma, Sassari e Taranto, ma l’Authority ha fissato che i controlli eseguiti sui legali comunitari non avevano rappresentato impedimenti alla libera circolazione e, soprattutto, erano terminati dopo una serie di scelte della Corte di giustizia e della Corte di Cassazione.
Il Garante, invece, ha rinvenuto un’attività protezionistica nel vero senso della parola nelle delibere dei cinque consigli sanzionati, dove ad esempio si determinava il superamento di prove attitudinali con colloquio nella lingua di provenienza (Latina), spuntava “una tantum” di benvenuto di 1.500 euro per “pagare l’interprete nel colloquio in lingua straniera” (Tempio), si scopriva il Regolamento attuativo (delle restrizioni) ” per darne la più ampia diffusione”.
Secondo l’Autohority l’insieme di questi comportamenti era generato da un intento preciso “disincentivare l’accesso al mercato italiano dei servizi di assistenza legale di tutti gli avvocati comunitari” ritenuto che l’iscrizione presso qualunque ordine circondariale abilita all’esercizio su tutto il territorio nazionale.
Non è di rilievo per il Garante che “tali Coa abbiano poi di fatto accolto tutte le domande di iscrizione” perché ai fini della restrizione del mercato sono sufficienti le “intenzioni” palesate nelle delibere; atti ufficiali. Anche se si vuol stendere un velo sull’esito, agli avvocati sarà poco gradita l’istruttoria dell’Antitrust dal momento che qualifica la professione come “attività di impresa” e le delibere dei Consigli nulla più che “deliberazioni di associazioni di imprese, qualificabili come intese anticoncorrenziali”.
Ad ogni modo difficile pensare che il contenzioso sia terminato qui; infatti la decisione del Garante è ricorribile al Tar e com’è facile presumere seguiranno i relativi ricorsi.
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