A causa di una serie di veti incrociati, negli ultimi giorni, si è assistito, tra i profili dei possibili candidati, alla graduale caduta dei nomi più accreditati alla guida del Pd verso il congresso e soprattutto ai delicati compiti di interfaccia con il Governo Letta. Gianni Cuperlo, aveva fatto sapere nei giorni scorsi, di restare comunque a “disposizione in questa difficile fase”. L’ex Ds aveva dichiarato di voler spingere l’acceleratore sulla realizzazione del congresso già entro il mese di luglio, lasciando intendere di rimanere in campo, dietro l’evidente sostegno della sezione dei giovani turchi e dei dalemiani. Di fatto, quello di Cuperlo, per molti rappresentava l’unico profilo candidabile ufficialmente, mentre la situazione d’impasse nel partito ha assunto conformazioni tali da aver fatto nascere e tramontare, anche nel giro di una sola giornata, diverse ipotesi dalla consistenza più o meno accreditata. Tra le supposizioni circolate fino a ieri, si sono annoverati in particolare i nomi di Pier Luigi Castagnetti, il quale ha sempre smentito l’interessamento, e di Anna Finocchiaro che, subito dopo la riunione del coordinamento del Pd, aveva tenuto a precisare come non fosse “mai stata in campo per la segreteria”. Era stata messa al centro del tavolo delle trattative anche l’ipotesi di Roberto Speranza, il giovane capogruppo alla Camera, considerato come un profilo di garanzia. L’attenzione delle ‘parti’ non ha poi mancato di toccare Matteo Renzi, accostato dal 2009 ad oggi ad emblema rinnovatore di tutta l’area democratica. Partendo dalle primarie perse contro Bersani sino alle elezioni di fine febbraio Renzi, secondo l’opinione di molti continua infatti ad incarnare la figura da cui ripartire. “Non sono io che faccio problemi. -aveva garantito il sindaco di Firenze, confermando di non voler porre oggi alcun veto- Io non voglio mettermi di traverso ma dare una mano”. E ancora, hanno circolato quelli di Barca, Pittella, Civati e Martini tra i tanti, numerosi nomi che sono passati sotto le luci dei riflettori nelle rassegne stampe degli ultimi giorni.
Quella di oggi a Roma, per il Partito Democratico, assurge dunque a fondamentale crocevia. Con il congresso alle porte bisognava decidere tempi, modalità e percorsi. Fino a ieri, l’orientamento prevalente lasciava supporre il riconoscimento di una singola persona o viceversa di un ristretto gruppo quale garante a cui affidare le sorti del partito sino al prossimo congresso. Anche se non sembrava esclusa nemmeno l’ipotesi dell’individuazione di un vero e proprio “reggente”, lo stesso profilo candidabile al timone del Pd. Nel partito ha prevalso invece la linea della soluzione transitoria. Ad aprire la giornata il leader dimissionario Pierluigi Bersani ha detto: “Al Pd serve un nuovo inizio. Bisogna ritrovare fiducia”. La “legge della politica” è anche che “si vince insieme e si perde da soli”. Il nome del candidato unico che è uscito fuori stamane, dopo i giorni di polemiche ed accelerazioni sui nomi poi rientrati, è quello dell’ex leader della Cgil, Guglielmo Epifani. Tuttavia, anche sul primo rappresentante socialista a guidare i democratici non c’è stata unanimità. “Devo dire con grande onestà che non ho cercato questo incarico, ma davanti a tante sollecitazioni con la stessa fermezza dico che non potevo sottrarmi alla responsabilità. -ha spiegato lo stesso Epifani arrivando alla Fiera di Roma- Ho accettato la candidatura per spirito di servizio”. Per questo motivo secondo Epifani è necessario che il partito torni “in mezzo alla gente”.
L’assemblea nazionale riunita alla Fiera Nuova rispecchia, in parte, gli equilibri emersi nel congresso del 2009. E gli sforzi, in casa Pd, sembrano tutti tesi a salvaguardare quella che Bersani ha ribattezzato la “ditta”. Si è evitato il rischio maggiormente paventato nei giorni scorsi, e cioè quello dell’aggravio dello scontro che ha portato al siluramento delle candidature di Franco Marini e Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. Dinanzi all’assemblea alla quale ha partecipato metà dei delegati, è stata poi la volta di uno degli interventi più attesi, quello del sindaco di Firenze, il quale ha ribadito la propria idea di un partito vivo ed aperto alle idee. “Open Pd è meglio di Occupy Pd, -ha detto Matteo Renzi- abbiamo cominciato a perdere quando abbiamo respinto le persone dai seggi delle primarie. (…) La domanda cui rispondere è ora una sola: questo governo lo subiamo o lo guidiamo? Se lo subiamo, regaliamo un altro calcio di rigore a Silvio Berlusconi“. Renzi, accolto da un tiepido applauso dei presenti, ha anche invitato l’assemblea a riflettere su quello che ha definito un errore della campagna elettorale, quando si è polemizzato sull’idea del sindaco di raccogliere anche il voto dei delusi del centrodestra: “Se non raccogli i voti dei delusi del centrodestra sei poi costretto ad accogliere i ministri del centrodestra”, ha ironizzato. Infine, Renzi ha concluso accennando al rischio su cui non si deve incappare, da lui stesso definito del “wrestling nella politica. Sapete come funziona? Ci sono due che sembrano picchiarsi, con una folla eccitata intorno, ma in realtà è tutto finto. Ecco Pd e Pdl stanno rischiando questo“.
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