La prima riguarda tutti ed è inserita nel decreto “Salva – Italia” di fine 2011, che aveva previsto per quest’anno un nuovo incremento dell’8,33% per i valori fiscali di riferimento di questi immobili, il moltiplicatore passa da 60 a 65, dopo gli incrementi del 20% apportati l’anno scorso.
La seconda è fissata per coloro che si trovano nei Comuni che hanno incrementato le aliquote quest’anno o l’anno scorso, perché la rata di giugno verrà stimata sulla base delle scelte locali (quelle 2012 se non ci sono delibere nuove) e non più sul valore standard del 7,6 per mille come accaduto l’anno precedente. Già nel 2012, l’aliquota “ordinaria” rivolta a questi immobili è aumentata del 50,4%, e fra i Comuni che l’hanno incrementata, praticamente ci sono tutte le città più grandi, per cui nei fatti anche questo rincaro è quasi generalizzato.
I numeri rivelano perfettamente la grandezza del problema: un capannone di 2 mila metri quadrati in un’area industriale milanese a giugno 2012 ha erogato quasi 12.100 euro, con un’impennata dell’82,4% rispetto a quanto chiedeva l’Ici. Il conto da pagare nelle prossime settimane cresce invece oltre quota 18.250 euro, con un nuovo aumento del 51,1% rispetto a 12 mesi fa e un super-aumento del 175,6% rispetto ai tempi della vecchia Ici. Un po’ più lieve (si fa per dire) il confronto con l’Ici a Roma, Torino e Napoli (+96,9%) ma solamente perché in queste città anche l’antenata dell’Imu era arrivata al valore massimo consentito all’epoca (il 7 per mille) mentre il capoluogo lombardo si accontentava del 5 per mille.
Distante da questi grandi centri e nella fattispecie per certe categorie di imprese che il vecchio fisco locale riteneva meritevoli di un trattamento speciale, gli aumento effettivi saranno ancora più forti. Ad esempio a Ferrara, come in altri Municipi, l’amministrazione aveva optato per l’alleggerimento del conto per le imprese a inizio attività, o per chi rilevasse immobili strumentali da un fallimento per assicurare il mantenimento dell’occupazione in quell’area, e riservava a questi immobili l’aliquota “ultralight” del 4 per mille.
Dal 2013, però, questi sconti sono proibiti per legge, perché il gettito generato dall’aliquota standard del 7,6 per mille viene rivolto allo Stato e i Comuni non hanno facoltà di incidere in nessun modo sulla riserva statale; in questi casi, di conseguenza l’incremento minimo rispetto all’anno scorso sarà del 106%, e potrebbe giungere al 187% nei Comuni che sceglieranno di applicare la maggiorazione a tutti.
La riserva statale sulle imprese infatti, vieta gli sconti ma non pone un tetto agli aumenti, che grazie alle maggiorazioni locali possono riportare l’aliquota al tetto del 10,6 per mille. È probabile, anzi, che la nuova distribuzione delle risorse, che assegna allo Stato il doppio del gettito realizzato con questi immobili rispetto all’anno scorso (quando Stato e municipi si dividevano a metà i valori ad aliquota standard), moltiplichi gli incrementi anche fra i Comuni che finora non avevano sfruttato questa leva fiscale.
In linea di massima, l’aumento della quota statale è compensato dal fatto che ai sindaci vanno tutti i frutti fiscali delle abitazioni, ma nei tanti Comuni in cui è alta l’incidenza dei fabbricati industriali (o, nelle zone turistiche, degli alberghi, che appartengono alla stessa categoria catastale dei capannoni) lo scambio non sarà a costo zero: e il nuovo «Fondo di solidarietà», ancora da costruire ma già tagliato per 2,25 miliardi dalla spending review, difficilmente potrà pareggiare i conti.
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