Gli anni della pandemia hanno portato giocoforza ad un utilizzo massiccio dello smart working al fine di limitare, da un lato, i contatti tra le persone, salvaguardandone la salute e, dall’altro, garantire comunque la continuità economico – produttiva di aziende ed uffici alla luce delle restrizioni governative alla circolazione delle persone.
Dal punto di vista fiscale, il lavoro agile vede una separazione tra il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, la residenza del lavoratore ed infine il luogo in cui si producono gli effetti dell’attività lavorativa.
L’intensificarsi del ricorso alla prestazione a distanza, anche in epoca post pandemica, con fenomeni in alcune situazioni di lavoro transfrontaliero o frontaliero e, di conseguenza, il coinvolgimento di normative di altri paesi, ha generato alcuni dubbi interpretativi in merito alle regole di tassazione applicabili.
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L’Agenzia delle Entrate è quindi intervenuta con la Circolare del 18 agosto 2023 numero 25/E, con l’obiettivo di fornire chiarimenti su:
- profili fiscali del lavoro da remoto, focalizzando l’attenzione sui più recenti orientamenti a livello di prassi;
- disciplina dei lavoratori frontalieri, alla luce dei recenti sviluppi e del nuovo Accordo internazionale siglato con la Svizzera e delle novità introdotte dalla relativa legge di ratifica.
Analizziamo il primo aspetto in dettaglio.
Indice
Lavoro all’estero: la residenza fiscale
L’AE ha ritenuto opportuno ricordare il concetto di “residenza fiscale”, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 numero 917).
In particolare, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno o 184 giorni in caso di anno bisestile):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio, da intendersi come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi (il concetto di domicilio va valutato in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici);
- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Le condizioni citate sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.
In base poi al successivo articolo 3, comma 1, TUIR le persone residenti in Italia devono sottoporre a tassazione nel nostro Paese tutti i loro redditi, ovunque prodotti.
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La residenza fiscale nello smart working svolto all’estero
Nel caso del lavoro agile i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in smart working.
Per chiarire la portata di quanto appena affermato l’AE fornisce alcuni esempi.
Sede principale dei rapporti personali e dimora abituale in Italia
Il primo esempio riguarda un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso un’abitazione sul territorio nazionale, unitamente a coniuge e figli.
In questa situazione, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente “non si può non considerare che per la maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale” (Circolare AE).
Di conseguenza, essendo i criteri dell’articolo 2 citato alternativi tra loro, nell’esempio riportato il soggetto avrà la propria residenza fiscale in Italia.
Residenza anagrafica in Italia
Un secondo esempio riguarda una cittadina italiana trasferitasi all’estero dove svolge un’attività lavorativa in smart working, pur mantenendo l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
La contribuente in questione, pur avendo trasferito all’estero il domicilio e la dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in virtù del requisito anagrafico. Per questo motivo dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile.
Cittadino italiano iscritto all’AIRE
Un terzo esempio riguarda il cittadino italiano iscritto all’AIRE per la maggior parte del periodo d’imposta, il quale ha sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale è indicata come sede ordinaria dell’attività il Paese risultante dall’iscrizione all’AIRE stessa.
Il dipendente interessato potrà considerarsi fiscalmente residente in Italia qualora vi mantenga la dimora abituale, dalla quale svolga la prestazione lavorativa con modalità agile.
Per approfondire il lavoro all’estero, consigliamo due libri ad hoc:
– Iva Estero 2023, che contiene un’analisi sistemica della legislazione IVA relativa agli scambi con l’estero e prende in esame le conseguenti problematiche doganali e logistiche;
– Il Lavoro all’Estero, che propone una chiave di lettura utile ad interpretare le disposizioni di legge, gli accordi e le convenzioni internazionali, riguardanti la complessa tematica dei lavoratori all’estero, con oltre 300 domande e risposte sul rapporto di lavoro estero.
Smart working svolto all’estero: vale il luogo fisico in cui si lavora
Gli esempi appena citati, afferma l’Agenzia delle Entrate, sono coerenti con la prassi più recente, maturata soprattutto a seguito dell’emergenza pandemica.
In particolare, nella risposta ad Interpello numero 458/2021, l’AE ha ribadito che l’attività di lavoro dipendente, anche se resa in regime di lavoro agile, è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente.
Nella successiva risposta ad Interpello numero 626/2021 l’Agenzia ribadisce che il reddito percepito da una cittadina italiana iscritta all’AIRE a fronte di un’attività di lavoro a distanza dall’Italia, alle dipendenze di una società estera, è imponibile, secondo il dettato della normativa interna, nel luogo di prestazione dell’attività stessa, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile.
Da ultimo, non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia (in quanto non integra alcuno dei presupposti di cui all’articolo 2 del TUIR) che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano.
In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza all’estero, a prescindere dalla sede in Italia dell’azienda.
Libri utili sul tema
Smart working all’estero: convenzioni contro le doppie imposizioni
La normativa interna e gli orientamenti di prassi devono essere coordinati con le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri. Queste ultime, in particolare, prevalgono sul diritto interno.
Per l’individuazione della residenza fiscale si fa riferimento, innanzitutto, alla definizione adottata nella legislazione degli Stati contraenti.
Nel caso in cui le normative dei paesi che hanno siglato la convenzione entrino in conflitto, qualificando entrambe la persona come residente, la questione dev’essere risolta con l’attribuzione della residenza ad uno solo dei due Paesi, mediante l’applicazione, secondo un criterio gerarchico, di specifiche regole.
In tali situazioni, le regole convenzionali fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.
L’applicazione della normativa convenzionale presenta particolare rilevanza proprio per le implicazioni sullo smart working, tenuto conto della possibilità di lavorare per un soggetto stabilito in uno Stato estero, partner negoziale di un Trattato, senza per questo modificare la propria residenza.
Nel caso già citato di un cittadino italiano che:
- si è trasferito all’estero, dove svolge attività a distanza;
- ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta;
- ha venduto l’appartamento in Italia ed acquistato un immobile nello Stato estero come sua abitazione permanente;
- è iscritta nell’anagrafe dello Stato di trasferimento e che, pertanto, tale Stato lo considera residente in base alla sua normativa interna.
Per dirimere il conflitto trovano applicazione le regole sopra citate stabilite nel Trattato tra l’Italia e lo Stato estero. In particolare, l’abitazione permanente dell’interessato, dove lo stesso svolge smart-working, può configurare il criterio dirimente ai fini della determinazione della residenza.
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Foto copertina: istock/RossHelen