Si potrà conoscere lo stipendio dei colleghi? Non proprio: cosa dice davvero la Direttiva UE

Paolo Ballanti 30/08/23
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Nelle settimane scorse alcuni mezzi di comunicazione hanno fatto circolare la notizia che, a causa di un provvedimento dell’Unione europea, è stato introdotto il diritto di conoscere lo stipendio dei colleghi. Niente di più falso.

La norma in questione è la direttiva numero 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, approvata lo scorso 10 maggio.

Il provvedimento, lungi dal violare la privacy dei dipendenti, ha l’obiettivo di introdurre prescrizioni minime intese a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne.

In nome della parità di genere, la direttiva non contempla la possibilità di conoscere lo stipendio di una singola persona ma, al contrario, permette ai dipendenti di chiedere all’azienda le retribuzioni medie, ripartite per sesso.

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Direttiva UE 10 maggio 2023 – Retribuzione 655 KB

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Entro il 7 giugno 2026 gli Stati membri sono chiamati ad adottare disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per recepire la direttiva in parola.
Analizziamo la questione in dettaglio.

Indice

Stipendio colleghi: a chi si applica la direttiva?

La direttiva opera tanto per i datori di lavoro del settore pubblico quanto per quelli del settore privato.

Gli Stati membri sono chiamati ad adottare misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per:

  • uno stesso lavoro;
  • un lavoro di pari valore.

In quest’ultima ipotesi si fa riferimento ad un “lavoro ritenuto di pari valore secondo i criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo del genere” (articolo 3, lettera g). I criteri in parola “non si fondano, direttamente o indirettamente, sul sesso dei lavoratori e includono le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro, nonché, se del caso, qualsiasi altro fattore pertinente al lavoro o alla posizione specifici” (articolo 4, paragrafo 4).

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Parità stipendio: trasparenza retributiva prima dell’assunzione

Il Capo II si occupa dell’aspetto centrale della direttiva quello, per intenderci, della trasparenza retributiva.

Quest’ultima dev’essere innanzitutto assicurata prima dell’assunzione. In particolare, i candidati a un impiego hanno il diritto di ricevere, dal potenziale datore di lavoro, informazioni:

  • sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere;
  • se del caso, sulle pertinenti disposizioni del contratto collettivo applicate dal datore di lavoro in relazione alla posizione.

Tali informazioni sono fornite in modo da garantire una trattativa informata e trasparente sulla retribuzione, ad esempio in un avviso di posto vacante, pubblicato prima del colloquio. 

Al datore di lavoro è peraltro fatto divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o precedenti rapporti di lavoro.

>> Leggi anche “Whistleblowing 2023: regole e tutele per i dipendenti pubblici e privati

Parità stipendio: trasparenza retributiva nel corso del rapporto

Le aziende e le amministrazioni pubbliche sono chiamate a rendere facilmente accessibili ai propri dipendenti:

  • i criteri utilizzati per determinare la retribuzione;
  • i livelli retributivi;
  • la progressione economica dei lavoratori.

Conoscere lo stipendio: cosa dice la Direttiva UE

Un altro tassello importante della trasparenza retributiva è il diritto dei lavoratori di richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.

I dipendenti hanno la possibilità di richiedere e ricevere le informazioni in parola non direttamente ma per il tramite dei “rappresentanti dei lavoratori, conformemente al diritto e / o alle prassi nazionali” (articolo 7, paragrafo 2).

Se le informazioni ricevute sono imprecise o incomplete, i lavoratori hanno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti, chiarimenti e dettagli ulteriori riguardo ai dati forniti e di ricevere una risposta motivata.

I datori di lavoro sono in ogni caso tenuti a fornire le informazioni richieste dai dipendenti “entro un termine ragionevole, ma in ogni caso entro due mesi dalla data in cui è presentata la richiesta” (articolo 7, paragrafo 4).

Tutela in giudizio per mancata parità di stipendio

Gli Stati membri sono invitati a provvedere affinché, dopo un eventuale ricorso alla conciliazione, tutti coloro che si ritengono lesi dalla mancata applicazione del principio della parità di retribuzione possano disporre di procedimenti giudiziari finalizzati all’applicazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

I procedimenti sono facilmente accessibili ai lavoratori e alle persone che agiscono per loro conto, anche in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, nell’ambito del quale si è verificata la discriminazione.

Diritto al risarcimento per mancata parità stipendio

La direttiva promuove altresì, in favore di qualsiasi lavoratore “che abbia subito un danno a seguito di una violazione di un diritto o di un obbligo connesso al principio della parità di retribuzione” il diritto di “chiedere e ottenere il pieno risarcimento o la piena riparazione, come stabilito dallo Stato membro, per tale danno” (articolo 16, paragrafo 1).

Il risarcimento in questione deve porre il lavoratore interessato nella posizione in cui lo stesso si sarebbe trovato se non fosse stato discriminato in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

Il risarcimento deve peraltro comprendere:

  • il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura;
  • il risarcimento per le opportunità perse;
  • il danno immateriale;
  • i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora.

Da ultimo, il risarcimento non dev’essere limitato dalla fissazione a priori di un massimale.

Foto copertina: istock/Thapana Onphalai

Paolo Ballanti