I permessi 104 riconosciuti ai lavoratori disabili dalla Legge numero 104/1992 non sono riservati ai soli dipendenti ma, nel rispetto del divieto di discriminazione diretta ed indiretta, devono essere riconosciuti anche ad altre forme contrattuali.
Questo, in sintesi, quanto affermato dal Tribunale di Torino nella sentenza del 26 giugno 2023 numero 637, riguardante il caso di uno psicologo che, in convenzione con l’ASL, aveva lamentato nei confronti di quest’ultima il mancato riconoscimento dei permessi previsti dall’articolo 33 della Legge numero 104.
Analizziamo la questione in dettaglio, partendo da cosa sono e a chi spettano i permessi in parola.
Indice
Cosa sono i permessi 104
Tra le attività dell’Inps figura quella di garantire la retribuzione, ai sensi della Legge numero 104/1992, a fronte di assenze del lavoratore dipendente giustificate dall’esigenza di dedicarsi ad un familiare in condizioni di disabilità grave, accertata dalle competenti commissioni medico-legali, istituite presso le singole ASL.
I permessi in parola spettano anche al lavoratore esso stesso disabile grave. Quest’ultimo, in particolare, ha diritto alternativamente ad assentarsi per:
- 2 ore giornaliere;
- 3 giorni al mese (continuativi o frazionati).
I seguenti familiari, al contrario, possono sfruttare i permessi in misura pari a tre giorni mensili, per assistere:
- coniuge o parte dell’unione civile;
- convivente di fatto;
- parenti ed affini entro il secondo grado.
Sono ricompresi anche parenti ed affini entro il terzo grado se i genitori, il coniuge (o parte dell’unione civile) o il convivente di fatto del disabile hanno compiuto 65 anni, ovvero sono anch’essi affetti da patologie invalidanti a carattere permanente, sono deceduti o mancanti per assenza naturale, giuridica o per situazioni di assenze continuative, giuridicamente assimilabili alle precedenti e certificate dall’autorità giudiziaria o dalla pubblica autorità.
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Un caso particolare di spettanza dei permessi riguarda i genitori del disabile. In tal caso le assenze spettano come descritto in tabella.
ETA’ DISABILE | PERMESSO |
---|---|
Fino a 3 anni | Alternativamente: – Prolungamento del congedo parentale; – Due ore giornaliere; – Tre giorni al mese, anche continuativi |
Dai 3 ai 12 anni | Alternativamente: – Prolungamento del congedo parentale; – Tre giorni al mese, anche continuativi |
Dai 12 anni in su | Tre giorni mensili, anche continuativi |
La controversia sui permessi 104 lavoratori non dipendente
La controversia prende le mosse da uno psicologo che, convenzionato a tempo indeterminato con una ASL ed invalido civile, lamenta:
- di aver ottenuto un numero di permessi previsti dalla Legge numero 104/1992 inferiore a quelli concessi ai colleghi, i quali possono contare su tre giorni al mese;
- di aver ottenuto l’autorizzazione a fruire dei permessi ad aprile 2020, rispetto ad una richiesta avanzata a gennaio 2010.
Sostenendo il carattere discriminatorio di entrambe le circostanze citate, il ricorrente chiede in via principale “l’accertamento del suo diritto a fruire di tre giorni di permesso retribuito al mese, con conseguente condanna dell’ASL convenuta ad attivare immediatamente tale trattamento, e del suo diritto a fruirne sin da gennaio 2010, con conseguente condanna della ASL a risarcire il danno cagionatogli per il passato nella misura di Euro 38.708,95” (sentenza).
Convenuta in giudizio, la ASL chiede il rigetto della domanda sottolineando:
- l’inapplicabilità della Legge numero 104/1992 ai rapporti di convenzione (come quello del ricorrente);
- la legittimità del diniego dei permessi dal 2010 al 2020 alla luce delle previsioni degli accordi collettivi nazionali di lavoro.
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Con riferimento al secondo punto, la ASL afferma che, prima dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) del 31 marzo 2020, il diritto a fruire dei permessi era riservato ai professionisti convenzionati soltanto per assistere i familiari disabili e non anche a coloro che fossero essi stessi disabili.
La violazione della direttiva comunitaria
Investito della questione, il Tribunale di Torino – sezione lavoro ha ritenuto fondata la censura dello psicologo ricorrente sulla violazione, da parte della ASL, della direttiva comunitaria 2000/78/CE, in particolare:
- articolo 2, con cui si afferma il principio di parità di trattamento quale assenza di discriminazioni sia dirette che indirette;
- articolo 5 che impone al datore di lavoro di adottare le cosiddette “soluzioni ragionevoli” per i disabili.
Secondo il Tribunale l’istituto dei permessi 104 nasce dalla considerazione che la persona con disabilità affronta una fatica maggiore nella sua vita lavorativa ed extra-lavorativa e, dunque, necessita di maggior tempo di riposo dal lavoro rispetto alle persone prive di disabilità che le consenta, al contempo, di contenere il complessivo dispendio di energie durante il lavoro e di recuperare durante il riposo le maggiori energie spese.
Per le funzioni che rivestono i permessi, afferma ancora il Tribunale, gli stessi sono “di fatto un accomodamento ragionevole che incide sui ritmi di lavoro, come tale pienamente riconducibile all’art. 5 della direttiva 2000/78/CE”.
Di conseguenza, il rifiuto di concedere “un tale accomodamento ragionevole al lavoratore portatore di disabilità”integra“una discriminazione anche sotto tale profilo”.
Permessi 104 non solo ai dipendenti
La funzione stessa dei permessi e l’organizzazione del lavoro dei professionisti convenzionati “non consente dubbi sul fatto che anche costoro, se portatori di disabilità, necessitano di riposi supplementari e che i permessi di cui si discute assolvono appieno alla loro funzione anche nei loro confronti”.
L’unica concreta differenza, rispetto ai lavoratori dipendenti, deriva dal fatto che la retribuzione per le ore di assenza non è a carico dell’Inps ma, al contrario, resta in capo all’ASL.
Diritto ai permessi 104 lavoratori non dipendenti
Alla luce di quanto esposto il Tribunale conclude che non possono esservi dubbi sul fatto che la mancata concessione dei permessi al ricorrente nel periodo anteriore all’ACN del 31 marzo 2020 ha integrato una discriminazione vietata dalla direttiva 2000/78/CE e che, in attuazione del principio di parità di trattamento di cui all’articolo 2 della medesima, i permessi spettano allo psicologo interessato sin dal mese di gennaio 2010, nella misura di due giorni al mese (in virtù dell’impegno part-time).
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