A questo punto sarà la volta dell’appello bis, celebrato dinanzi ad un’altra sezione della Corte d’assise d’appello di Milano. Con questa decisione la Suprema corte ha sposato appieno la tesi della Procura generale di Piazza Cavour, che attraverso la requisitoria di Roberto Aniello aveva precedentemente chiesto di annullare l’assoluzione per Stasi. “Siamo contenti che le nostre valutazioni abbiano trovato un’autorevole conferma”, ha trapelato soddisfazione Francesco Compagna, uno degli avvocati di parte civile che ha rappresentato la famiglia Poggi. Chiara Poggi, 26 anni, venne uccisa nella propria abitazione, in via Pascoli a Garlasco. Fu l’allora fidanzato Stasi, allora 24enne laureando alla Bocconi, a darne l’allarme. L’imputato entrò dalla porta socchiusa, camminò sul pavimento sporco di sangue, e poi trovò il corpo riverso a terra, sulle scale che portano in taverna. Su di lui si concentrano, fin da principio, le indagini. A non convincere gli investigatori sono le scarpe immacolate del giovane, l’assenza delle rispettive impronte sul pavimento di casa Poggi e una serie di dettagli inerenti il ritrovamento della vittima. Tutti elementi, questi, che lo portano all’iscrizione nel registro degli indagati.
Sarà, successivamente, il ritrovamento del dna della vittima sui pedali della bicicletta bordeaux da uomo, di proprietà di Stasi, a far parlare di “pistola fumante”: per il giovane scattano le manette. Tuttavia, di fronte a un quadro probatorio non convincente, il gip Giulia Pravon lo rimette in libertà. Il gup Stefano Vitelli giudica l’imputato con rito abbreviato, ma il processo lampo inizia a complicarsi: il giudice infatti è costretto a disporre ulteriori accertamenti per sopperire ad “alcune significative incompletezze d’indagine“. Nella battaglia processuale confluiscono il computer dell’imputato, l’orario del decesso e la perizia sulle macchie ematiche presenti nella villetta di via Pascoli. L’accusa chiede la condanna a trent’anni di reclusione. Diversi gli indizi raccolti contro l’ex fidanzato: tra essi, le scarpe candide, i pedali della propria bicicletta con tracce del sangue della vittima, e ancora le rispettive impronte miste al dna di Chiara repertate sull’erogatore del sapone nel bagno in cui l’assassino si era lavato le mani prima di fuggire. Nessun alibi, secondo l’accusa, per l’ex fidanzato: l’uomo non poteva essere al computer mentre la ragazza veniva uccisa.
Contro di lui “ci sono solo indizi”, è la tesi difensiva. Alberto Stasi poteva camminare sul pavimento della villetta senza sporcarsi le scarpe con il sangue della vittima, il pc portatile ‘compromesso’ dagli accessi degli investigatori rende credibile il suo alibi, la traccia sui pedali della bici e sul dispenser del sapone non convincono unilateralemnte gli esperti. Il 17 dicembre 2009 arriva per Alberto la prima assoluzione. Il tentativo dell’accusa e della parte civile di riaprire il processo davanti ai giudici d’appello di Milano non ottiene risultati positivi: nessun nuovo esame viene infatti dispotso su un capello ritrovato fra le mani di Chiara, nessun sequestro di un’ulteriore bicicletta nella disponibilità della famiglia Stasi, nessuna prova sperimentale della camminata di Alberto sui gradini di casa Poggi. E il 5 dicembre 2011, dopo solo cinque udienze, arriva anche la seconda assoluzione. Ora, però, tutto ricomincia da capo e la giustizia come infelicemente spesso accade, pare non aver fatto alcun passo in avanti.
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