A vedere la comparazione delle varie rilevazioni svolte da istituti di ricerca e case sondaggistiche, in vetta alle preferenze dell’opinione pubblica si trova saldamente Emma Bonino, insidiata solo da Stefano Rodotà e Romano Prodi.
Tre nomi non estranei alle rose in mano ai partiti, ma che, sicuramente, non sono i candidati di bandiera, quantomeno per iniziare la cavalcata degli scrutini al via giovedì.
Per scoprire le divisioni in atto, basta guardare in casa Pd: non appena un nome si affaccia alla possibile elezione, il veto non arriva dagli avversari, ma dai compagni di partito. E’ il caso, ad esempio, di Franco Marini e Anna Finocchiaro, velatamente candidati nei giorni scorsi – forse per preservarne la scalata – e impallinati da un Matteo Renzi tornato alle folgori dialettiche delle primarie.
Per Bersani, allora, il candidato ideale potrebbe essere proprio Romano Prodi, benché la sua figura finirebbe per sbarrare la via del dialogo intrapresa in queste ultime ore, che vede in programma anche per domani un colloquio tra l’ex premier incaricato e il leader Pdl Silvio Berlusconi.
Su Prodi, non c’è dubbio che la sua presentazione risvegli più di un fantasma nell’ambito del centrodestra: il peggior incubo di ogni berlusconiano sarebbe proprio quello di ritrovarsi al vertice dello Stato il nemico giurato del Cavaliere per circa un decennio. Naturale, dunque, che ogni tentativo di dialogo sul nome del Professore sarebbe precluso.
Così, gli uomini forti del centrodestra sono ben noti: Gianni Letta, fido consigliere delle esperienze di governo targato Berlusconi, o anche l’eterno dottor Sottile Giuliano Amato, che per la terza volta entra nel novero dei papabili per il Colle. Il vero pupillo del Cav, però, sarebbe un altro. Un uomo che già in passato, in funzioni governative, ha evitato di scagliarsi contro la causa del manager televisivo prestato alla politica: naturalmente, Massimo D’Alema.
Che l’ex ministro degli Esteri goda di antipatie sul fronte interno, è cosa altrettanto risaputa, anche se il recente incontro proprio con il sindaco fiorentino Renzi potrebbe aver aperto un varco anche negli antidalemiani più convinti. Qualora il suo nome venisse davvero avanzato, facile che nel Pd emerga più di un franco tiratore in sede di votazione.
E arriviamo al MoVimento 5 Stelle, che ha reso note da poche ore le proprie decisioni sul nome da proporre per la presidenza della Repubblica: si tratta di Milena Gabanelli, giornalista di Report, che ha preceduto Gino Strada e Stefano Rodotà nei due turni delle Quirinarie. Nel caso, però, che la stessa Gabanelli e il fondatore di Emergency decidano di chiamarsi fuori, allora per Rodotà la strada sarebbe davvero spianata: difficilmente il suo nome non otterrebbe il plauso del centrosinistra e, con buone probabilità, anche dell’area montiana. Non a caso, anche Grillo ha annunciato: “Sosterremo la Gabanelli alla prima votazione, alla seconda e anche alla terza. Non so cosa potrà succedere se si arriva alla quarta”
Sul Quirinale, finora, Scelta civica e relativi alleati stanno tenendo un profilo basso, e la chiusura del premier dimissionario al nome di Romano Prodi sembra più una mossa tattica che un veto vero e proprio. Comunque sia, le ultime dichiarazioni di un Pierferdinando Casini scoperto comprimario del quadro politico, paiono volgersi più verso il centrodestra che in direzione di Bersani.
E se, alla fine, avessero ragione i cittadini? Di fronte a questo apparente muro di incomunicabilità, che rischia di alzare il sipario su una serie estenuante di scrutini alla ricerca di una maggioranza inesistente (a Pd+Sel mancano meno di 20 voti per eleggere un candidato in solitaria) potrebbe spuntare dal cilindro il nome di Emma Bonino, già proposta anche da Mara Carfagna e altri esponenti del Pdl e indubbiamente ben vista sia in alcuni ambienti del Pd – non quelli cattolici – e dal MoVimento 5 Stelle, che l’ha inserita tra i 10 preferiti.
Ancora tutto è da decidere, ma certo è che più dura lo stallo tra i partiti maggiori, più il campo per qualche candidato di secondo piano è libero. Tutto ciò, a meno che due tra i tre partiti principali – Pd, 5 Stelle e Pdl – non trovino l’accordo in grado di chiudere in fretta la partita.
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