PA: chi è vicino alla pensione? Servono 20 anni di contributi

Redazione 08/04/13
La pubblica amministrazione giungerà a spiare nel cassetto previdenziale dei propri dipendenti per verificare se collocarli o meno a riposo. Per coloro che si approssimano alla soglia anagrafica di riposo (65 anni), infatti, la p.a. esaminerà se, sommati tutti gli anni di contributi in possesso del lavoratore, questi riesca a raggiungere i 20 anni necessari alla pensione di vecchiaia e se, in tal caso, licenziarlo. A precisarlo interviene la nota prot. 15888/2013 della Funzione pubblica. Dalla comunicazione sono due le questioni che emergono primariamente. La nota sembra, infatti, rispondere al quesito inerente la possibilità per una pubblica amministrazione di portare avanti il rapporto lavorativo con un dipendente per consentire a quest’ultimo di raggiungere il minimo contributivo per la pensione, ossia 20 anni. La questione, secondo la funzione pubblica, dev’essere valutata alla luce della situazione contributiva cumulativa del dipendente.

Due le principali situazioni che si arrivano a delineare: a) il dipendente non raggiunge i 20 anni per la pensione di vecchiaia considerando esclusivamente il rapporto di lavoro con la p.a. presso cui si trova a prestare servizio, riuscendo tuttavia a raggiungerli in virtù del possesso di altre, ulteriori, anzianità contributive prevedenti (lavoro svolto presso altre p.a., oppure come dipendente o autonomo nel settore privato); b) il dipendente raggiunge complessivamente un’anzianità contributiva che risulta insufficiente per l’approdo al minimo ventennale al fine di ottenere la pensione di vecchiaia. I chiarimenti del merito, che la nota della Funzione pubblica elargisce sono i seguenti: nel primo caso è compito della p.a. controllare se attraverso tutte le anzianità contributive il lavoratore riesca a raggiungere o meno il minimo dei 20 anni. Con questo fine, spiega la Funzione pubblica, la p.a. è tenuta a consultare anche gli enti previdenziali.

Se la somma di tutte le anzianità contributive, presso qualunque gestione (privati, pubblici, e così via), risulta pari o superiore a 20 anni, la p.a. deve collocare a riposo il lavoratore al compimento dell’età limite ordinamentale di permanenza in servizio (65 anni) nel caso egli maturi precedentemente al 31 dicembre 2011 un qualsiasi diritto alla pensione. Viceversa la p.a. è tenuta a licenziarlo al raggiungimento del nuovo requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia dalla riforma Fornero. Al fine di verificare il raggiungimento dei 20 anni, aggiunge poi la nota, la p.a. deve considerare le possibilità di ricongiunzione, totalizzazione e cumulo dei contributi (legge n. 228/2012).

Nel secondo caso previsto dalla normativa, invece, se il lavoratore è titolare di anzianità contributive inferiori al minimo (presso tutte le gestioni), e pertanto insufficiente a conseguire la pensione di vecchiaia, la p.a. deve conseguentemente verificare se, tramite il prolungamento del rapporto lavorativo oltre il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia e sino al compimento dei 70 anni, il lavoratore pervenga al requisito di anzianità minima per il diritto al pensionamento. Se questo dovesse verificarsi, il dipendente va mantenuto in servizio, in caso contrario la pubblica amministrazione deve procedere a collocarlo a riposo una volta che abbia conseguito l’età limite ordinamentale dei 65 anni (con l’esclusione, ovviamente, dell’incremento della speranza di vita).

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