La tesi posta alla base dell’esposto presentato dal Codacons poggia sull’analisi realizzata da Matteo Temporin, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, secondo cui si prospetterebbe un concreto sistema di raggiro coordinato, atto a mantenere alti i prezzi della benzina e che, stando al gip di Varese, avrebbe come principali vittime proprio gli stessi consumatori, “indotti in errore, ma in ogni caso privi di reale possibilità contrattuale, nella considerazione che le principali compagnie petrolifere agiscono in regime di monopolio“. Per l’Unione petrolifera i dati messi sopra il tavolo d’imputazione sono fatti da accertare: “Sulle indagini sui presunti reati attinenti i prezzi dei carburanti, si chiarisce che dal provvedimento del gip di Varese emergerebbero semplici ipotesi investigative che dovranno essere verificate“. L’arduo compito spetterà alle procure di Milano e Roma, cui i giudici di Varese hanno inviato gli atti, per competenza territoriale, dal momento che lì si trovano le sedi legali delle compagnie. Per i petrolieri l’indagine non approderà a nulla: “Allo stato, ogni affermazione in merito alla presunta esistenza di reati accertati è del tutto infondata“. In altre parole, uno scontro frontale che potrebbe mostrare o contraddire, una volta per tutte, le teorie dei consumatori. Lo svelamento del “sistema di oligopolio” nel quale sembrano operare le compagnie petrolifere costituisce comunque un passo in avanti da non sottovalutare, perché utile nel far emergere un sistema collusivo che affligge circa 34 milioni di automobilisti, e pesa fortemente sull’economia.
Già le sole inefficienze del nostro sistema di distribuzione, al netto dell’inchiesta, rivelano di costare miliardi per gli automobilisti. Se infatti si considerano esclusivamente le evidenti quanto persistenti discrepanze tra i prezzi industriali (Iva e accise escluse), i listini italiani e gli altri 26 Stati dell’Unione Europea, il conto pagato dal nostro Paese ammonta, approfondendo uno studio del Cerm, a circa 5,5 miliardi l’anno. I tre o quattro centesimi di euro al litro di aggravio rispetto agli altri partner europei, dovuto anche alle storiche incompetenze del sistema nazionale, valgono da sole quanto una ridotta manovra finanziaria. Se a questo si sommano i movimenti speculativi sul prezzo del petrolio trattato sul mercato di Londra, allora le distanze tra il costo di benzina e gasolio al distributore e quelli teorici o equi, dunque non presieduti dalle logiche della finanza internazionale, arrivano ad assumere conformazioni stratosferiche. E’ pertanto lecito fermarsi dinanzi all’interrogativo: come nasce il prezzo alla pompa? L’analisi di Temporin della Cattolica rivela nel merito: “il prezzo al distributore dei prodotti petroliferi raffinati in Europa è determinato in larga misura dal prezzo del Brent“, il petrolio estratto nel Mare del Nord, ad oggi ben più caro (per lo meno sulla carta) del Wti trattato sul mercato americano. Il Brent è infatti adoperato quale punto di ragguaglio per stilare i prezzi di altre varietà di greggio che provengono da differenti aree del mondo. Sarebbe dunque questo “benchmark” a determinare, dopo vari passaggi di mano tra società sorelle messi sotto accusa dallo screening, le sorti reali del prezzo finale di gasolio e benzina.
Le compagnie, di contro, sostengono da anni la tesi secondo cui sarebbe invece il Platt’s, il mercato dei prodotti raffinati, a tenere le redini del gioco. In sostanza, “la variazione dei prezzi dei futures e delle opzioni sul Brent -commenta il docente- è sempre più pilotata da valutazioni di tipo economico-finanziario” da parte di una serie di investitori internazionali, piuttosto che dalla modalità convenzionalmente stabilita dalla domanda e dall’offerta del bene. Temporin sottolinea come “ognuno di questi operatori agisca con finalità diverse” che arrivano a condizionare non soltanto il prezzo dei futures, ma giungono anche a cagionare una sequela “di effetti sui mercati fisici di greggio e prodotti“. Lo scenario cumulativo che affiora dalle carte, tuttavia, non si rivela una sorpresa. Persino l’Antitrust, senza tuttavia sfociare nella denuncia di un possibile cartello per il quale ancora sostiene di non aver “acquisito evidenze”, è approdata alle medesime conclusioni. In un’inchiesta pubblicata il 28 dicembre 2012, infatti, l’Autorità per la concorrenza ha parlato di “un panorama di interazione oligopolistica tra gli operatori integrati nel quale i players più efficienti (Eni ed Esso su tutti) non spingono la competizione fino ai livelli che li avrebbero differenziati davvero dai concorrenti e avrebbero minacciato di far uscire questi ultimi dal mercato“. L’osservazione dei tecnici dell’Antitrust è ancora più specifica: “Le sette società attive a livello nazionale nella distribuzione di carburanti in rete sembrano presentarsi sul mercato come soggetti nella sostanza allineati su comportamenti non troppo differenziati: uno scenario dalla chiara connotazione collusiva“.
L’indagine condotta dall’Antitrust ha portato alla luce come nei distributori legati alle “sette sorelle” il prezzo alla pompa sia più alto rispetto agli impianti delle società indipendenti. Il differenziale sembra diventare ancora più elevato per gli automobilisti che fanno rifornimento nei distributori legati alla grande distribuzione. Più specificatamente, si apprende che presso le cosiddette “pompe bianche“ (all’incirca 2mila sulle 22mila presenti nel nostro territorio) il risparmio si aggira tra gli 1,5 e i 5 centesimi di media, toccando i 13 centesimi nei centri commerciali, con l’unico limite che, al momento, gli allestimenti rispecchianti questa tipologia che si possono annoverare sono solo un centinaio. Un simile risparmio non può essere che auspicato dagli automobilisti; se infatti un distributore legato alle società petrolifere eroga in media 1,4 milioni di litri all’anno, per quelle bianche lo stesso arriva a 1,6 milioni. I paragoni comunque non sussistono con il carburante elargito dalla grande distribuzione che rivela una media di 7,2 milioni di litri annui per impianto. “In verità, le nostre medie sono anche superiori“, racconta Massimo Ferrari presidente di Energya, società che rifornisce i distributori dei centri commerciali Coop, “i consumatori ci stanno premiando, tanto che dagli attuali sei impianti pensiamo di arrivare a 50 per la fine del 2014. Ma per affrancarsi definitivamente da un mercato dominato da pochi sarà inevitabile dotarci di depositi nei porti dove approdano le navi cisterna“. L’ostacolo che si aggira dietro l’installazione delle infrastrutture rappresenta ancora un limite ingente per l’ampliamento del settore. Non è recente, a tal proposito, la denuncia presentata dall’Istituto Bruno Leoni, il think-tank che si è eretto a paladino delle liberalizzazioni in Italia. Per il direttore del settore Energia e Ambiente Carlo Stagnaro, un freno è dato, non solo dall’abnorme quantità di pompe dislocate nel nostro Paese, senza paragoni in Europa, ma “soprattutto dalle regole imposte dalle singole legislazioni regionali che di certo non aiutano l’ammodernamento della rete”, e che viceversa finiscono per contribuire all’ascesa dei soliti grandi gruppi.
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