Il successo è stato innegabile: si è trattato di uno degli eventi online più cliccati in Italia degli ultimi tempi. Il mondo della politica, dell’informazione e della cultura, per mezzora, si è fermato davanti al pc o allo smartphone.
Nonostante questo, la rete già trabocca di strali contro la nuova frontiera della webpolitica, dove i rappresentanti dei cittadini si confrontano sotto l’occhio indagatore – e malcelatamente voyeuristico – del pubblico elettore.
Critiche ingiuste? No. Altro è scoprire nuove modalità di comunicazione politica, altro è riconoscerne l’efficacia. Quello di ieri è stato, sì, un appuntamento che ha segnato una cesura netta rispetto agli ultimi 20 anni di politica in televisione. Ma che sia andato a finire come ormai era risaputo da giorni, è un dato altrettanto lampante.
La vera novità è stata marcata da Roberta Lombardi, la capogruppo alla Camera dei 5 Stelle: “Qui non siamo a Ballarò”, è stata la sua prima replica dopo la lunga introduzione di Pier Luigi Bersani. La differenza sta tutta nel “mezzo”: dal talk show si è arrivati al dialogo senza mediazioni, senza interruzioni pubblicitarie, liberamente accessibile e condivisibile da milioni di utenti sulle proprie pagine social. Non ci sarebbe da stupirsi se, la prossima occasione, invece che una diretta streaming si passasse direttamente all’hangout.
Come detto, però, ognuno è rimasto sulle proprie posizioni. Di più: l’incontro è apparso quasi un dialogo tra sordi, con ciascuno dei partecipanti, a recitare alla perfezione il proprio copione. Bersani ha elencato le ragioni per chiedere la fiducia, i grillini hanno risposto per le rime con alcuni slogan ormai classici del frasario grillino (“Sentiamo queste parole da oltre vent’anni…”).
E’ per questo che osservatori e politologi hanno giudicato con forti perplessità l’esperimento delle consultazioni in streaming: perché è stata una recita, in cui l’unico a rompere il canovaccio è forse stato Enrico Letta, con l’intervento finale che ha spiazzato gli interlocutori.
Si è detto, contro la politica dello streaming, che se questa fosse stata la modalità di dialogo ai tempi della crisi dei missili di Cuba, il mondo sarebbe sprofondato nella catastrofe nucleare. Un paradosso non privo di senso: la base dell’accordo nella dialettica politica è sempre rappresentata da un do ut des che la pubblica opinione deve ignorare per non scandalizzarsi.
Eppure, dobbiamo valutare anche il controcanto: se gli incontri della politica si fossero svolti sempre in streaming, siamo sicuri che, all’inizio degli anni ’90, pezzi dello Stato avebbero avvicinato boss della malavita, intavolando un negoziato per porre fine alla serie di stragi? Se ci fosse stato lo streaming, non ci sarebbe stata una trattativa Stato-mafia.
La politica in streaming deve essere un flusso – come la parola suggerisce – non un’eccezione; viceversa, rischia di diventare una rappresentazione fine a se stessa, sterile di contenuti. La trasmissione online a livello locale funziona: consente di controllare l’operato degli amministratori dai cittadini che li hanno eletti e con i quali possono lamentarsi vis a vis qualora le decisioni prese non li soddisfino.
Ma a Roma, sul palcoscenico nazionale, questo sistema rivela tutta la sua imperfezione poiché essa già vive di ritualità simboliche, l’ospitata in talk show, il comizio “in prima serata”, spesso vuote di significato. Così, anche il MoVimento 5 Stelle, pioniere della novità, dia l’esempio, trasmettendo in streaming anche le sue riunioni più burrascose: solo in questo modo si inizierà a costuire la tanto declamata “casa di vetro”.
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