Paradossalmente, però, l’art. 1 della legge istitutiva delle Province in Sicilia, già parla di articolazione dell’amministrazione locale territoriale della Regione Sicilia, in Comuni ed in “liberi consorzi di comuni”, denominati “Province regionali”.
La costituzione di ciascuna Provincia regionale, in base alla L.r. n. 9/86, è stata promossa da uno o più Comuni, ricompresi in una medesima area, mediante delibere dei rispettivi Consigli su una specifica, identica e motivata proposta, da adottarsi, con il voto favorevole della maggioranza dei Consiglieri assegnati.
In pratica, in parte, quello che il Governo regionale propone oggi come riforma.
Il Ddl d’iniziativa governativa prevede che i Comuni rientranti in territori limitrofi e in cui ci abbiano la residenza almeno 150 mila abitanti possano consorziarsi e prendere il posto delle vecchie Province. Il numero dei “Liberi consorzi”, quindi, potrebbe anche essere maggiore rispetto alle attuali nove Province. Palermo, Catania e Messina dovrebbero costituire delle Città metropolitane ed essere, in ogni caso, aree autonome.
Non sono chiare, però, le modalità attraverso le quali il singolo Comune potrebbe decidere a quale ente intermedio aderire o se conserva la facoltà di non aderire a nessun consorzio.
E’ facile presumere che necessiterà una delibera del Consiglio Comunale per optare.
Il problema maggiore sarà per quei “liberi consorzi” che non verranno a sovrapporsi perfettamente alle attuali Province, acquisendone tutto il personale ed i beni mobili ed immobili.
Il Governatore, Rosario Crocetta, prima di essere folgorato sulla via della spending review, aveva sostenuto che le Province erano presidi di legalità e che, pertanto, andavano potenziate e non abolite.
Sotto la pressione del Movimento 5 Stelle ha cambiato idea ed ha deciso per l’abrogazione.
La riforma del titolo V ha, però, mutato l’art. 118 della Costituzione della Repubblica Italiana, attribuendo alle Province, unitamente ai Comuni ed alle Città metropolitane, la titolarità di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Le Provincie, insieme allo Stato, alle Regioni, alle Città metropolitane, ed ai Comuni hanno il dovere costituzionale di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Il dubbio sull’abolizione delle Province siciliane con legge ordinaria, quindi, sussiste e la riforma potrebbe anche essere impugnata dal Commissario di Stato, proprio perché in contrasto con il novellato art. 118 della Costituzione.
Non è, però, l’unico problema che la riforma Crocetta pone.
La legge 1 aprile 1981 n.121, agli articoli 13 e seguenti, stabilisce che il Prefetto è l’autorità provinciale di pubblica sicurezza, così come il Questore (nel capoluogo di Provincia), che si avvale del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (art.20).
Il venir meno delle Province, solo con legge regionale, senza il necessario raccordo con il legislatore nazionale, potrebbe far venire meno l’unico sicuro parametro di delimitazione territoriale utilizzato dall’ordinamento per l’allocazione degli uffici periferici dello Stato (Prefetto ed Ufficio territoriale del Governo, Questore, Uffici scolastici provinciali – USP, Agenzia delle entrate, etc.)
L’altro problema riguarda il personale e la dotazione organica delle Province. Di là dalla qualificazione, o meno, dei nuovi Liberi Consorzi tra gli enti locali (e, quindi, con riferimento al contratto collettivo di lavoro che deve trovare applicazione ed all’obbligo, ad esempio, di avere un segretario generale) si pone il problema del trasferimento dei dipendenti provinciali ai “Liberi consorzi”.
Anche nel caso in cui i nuovi “Liberi consorzi” dovessero coincidere territorialmente con le vecchie Province, si dovranno affrontare competenze differenti (il nuovo Ente intermedio si dovrebbe occupare di rifiuti, acque ed edilizia popolare, mentre altre competenze, come l’edilizia scolastica, dovrebbero passare ai Comuni) con una dotazione organica costruita in base alle vecchie attribuzioni.
Il beneficio che la riforma dovrebbe comportare è soprattutto in termini di risparmio di spesa. Secondo il dossier pubblicato nei giorni scorsi su www.palermo.repubblica.it (pagine on line del quotidiano “La Repubblica”), le Province regionali siciliane costituiscono “nove colossi” il cui costo complessivo ammonta a 700 milioni di euro.
Le indennità dei 350 amministratori locali (presidenti, assessori, consiglieri) costano circa 23 milioni di euro l’anno. Il Presidente delle Provincia di Palermo prende, ad esempio, uno stipendio mensile di 8.459 euro, il vice di 6.344 euro, mentre gli Assessori e il Presidente del Consiglio 5.948 euro. I Consiglieri, sempre nel caso della Provincia di Palermo, ricevono gettoni di presenza che non possono superare il 30 per cento dello stipendio del presidente: il tetto massimo mensile, dunque, è di poco superiore ai 2.500 euro.
Il personale di scuole, parchi ed uffici provinciali pesa sul bilancio pubblico per 244 milioni di euro.
Ci sono, poi, le partecipate (secondo il dossier di “La Repubblica” circa 216) che costano più di 53 milioni di euro l’anno. A questi vanno sommati una pletora di esperti nei campi più disparati con una spesa che supera i quattro milioni di euro.
L’istituzione dei nuovi Liberi Consorzi comporterà un drastico taglio ai costi della politica con l’abolizione delle indennità di carica e la scomparsa dei consigli di amministrazione dei vari enti partecipati.
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