L’intero impianto, per la Procura, veniva predisposto ad hoc da Nicole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora (una tripletta di imputati che rimane coinvolta per induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, in un’altra vicenda processuale). Il punto fatto dall’accusa preannuncia la dimostrazione incontrovertibile della “natura degli eventi organizzati presso la casa dell’imputato al fine di compiacerne la concupiscenza”, rinforzando la convinzione secondo cui fosse “totalmente infondato che le cene di Arcore fossero normali cene contornate da qualche episodio di burlesque“. Il magistrato ha sostenuto, inoltre, che lo svolgimento del processo venga a delineare sempre più inconfondibilmente una “macroscopica anomalia” attribuita al comportamento corruttibile dell’imputato che “ha preso a remunerare gran parte dei testimoni a suo carico con 2.500 euro mensili”.
Le parole pronunciate in aula da Sangermano non hanno risparmiato Nicole Minetti il cui rispettivo coinvolgimento è stato innalzato a ruolo attivamente “protagonista delle serate di Arcore”, altresì ” particolarmente delicato nell’ambito del procedimento compiendo ella personalmente atti prostitutivi prendendo denaro da Berlusconi” e “svolgendo un ruolo fondamentale ovvero l’attività di intermediatrice e agevolatrice dell’altrui prostituzione”. Già precedentemente l’avvio della richiesta di condanna i giudici avevano respinto l’istanza avanzata dalla difesa di conseguire nuove prove e ulteriori testimonianze. L’atto dibattimentale finale della fase istruttoria è stato completamente riservato alla deposizione del magistrato dei minori Anna Maria Fiorillo.
Nella notte a cavallo tra il 27 e il 28 maggio 2010, Fiorillo aveva predisposto che l’allora minorenne Ruby, arrestata per reato di furto, fosse destinata ad una comunità protetta per minori. Persino dopo aver ricevuto la quarta della sequela di telefonate in arrivo dalla questura di Milano per tutelare la giovane, ricamando di vigorosa immaginazione sulla sua presunta parentela con il presidente egiziano Hosni Mubarak, il magistrato ha ammesso di non aver mai mutato le disposizioni impartite. Nella testimonianza rilasciata dal pm Fiorillo si sono menzionate quattro specifiche telefonate inoltrate direttamente dalla questura milanese.
Inizialmente l’urgenza delle chiamate commissariali riferiva della mancanza momentanea di posti disponibili nelle comunità milanesi, successivamente, quando il telefono squillò oltre la mezzanotte, giunse a qualificarsi al di là della cornetta il funzionario Giorgia Iafrate la quale letteralmente disse “che si era presentata Nicole Minetti, consigliere ministeriale, per prendere la giovane”. Il magistrato dei minori non ha nasconsto in aula lo stupore della sua reazione dinanzi l’insistente, e palesemente mal congetturata, sfilza di scusanti: “Io risposi affermando che non conoscevo la carica di consigliere ministeriale e domandai a quale titolo si presentasse. Il commissario Iafrate mi disse che questa persona era stata incaricata di prelevare la minore perché si trattava della nipote del presidente egiziano Mubarak. Io dissi che la giovane era marocchina e che comunque doveva essere identificata. E poi precisai che doveva esserci l’intervento del consolato egiziano, almeno una nota o una comunicazione, per consentire un affidamento di questo tipo”.
Replicando ai quesiti posti dai legali di Berlusconi, la teste ha inoltre esposto le motivazioni che la spinsero ad intraprendere un’iniziativa di accusa nei confronti dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il magistrato, infatti, ribadisce che quando “Maroni andò in Parlamento e disse che la minore Ruby era stata affidata dalla polizia alla Minetti secondo le indicazioni del magistrato” pronunciò una vera e propria calunnia che andava ad intaccare “la mia moralità di magistrato perché nessun magistrato degno di questo nome avrebbe potuto fare una cosa del genere”.
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