Un passo avanti in tal senso è stato fatto dallo stesso cardinale scozzese Keith O’Brien, 74 anni, accusato di “condotta inappropriata” per molestie, il quale oltre al pubblico mea culpa seguito da relative scuse (“La mia condotta sessuale è scesa al disotto degli standard che ci si doveva aspettare da me come prete, arcivescovo e cardinale”), ha preferito optare per l’autoescusione dal Conclave, già peraltro largamente sollecitata da Benedetto XVI. In prima fila a Roma, invece, fa discutere la presenza del cardinale Roger Mahony, ritenuto responsabile di aver coperto prelati pedofili. “Senza che io chiedessi nulla, il nunzio a Washington mi telefonò dicendo che aveva avuto parola dai vertici del Vaticano che dovevo partecipare al Conclave”, suona come una giustificazione l’ammissione del porporato. Grande assente resta invece l’indonesiano Darmaatmadja, i cui problemi di salute rendono impossibile l’approdo romano. Il Conclave, atteso nel giro di poche settimane, salvo ulteriori casi di inabilità, sarà dunque formato da 115 elettori ed avrà un quorum di 77.
La maggioranza dei due terzi, propugnata dallo stesso Papa emerito, e tesa ad evitare spaccature ancora più insidiose all’interno del Conclave, rende l’intero scenario persino più indecifrabile. La decisione rinunciataria di Joseph Ratzinger pare infatti aver colto di sorpresa i porporati, non lasciando ampi margini per delineare strategie o eventuali accordi. Nella giornata di ieri, la prima domenica sprovvista dell’Angelus papale, gli occhi puntati dei fedeli che da Piazza San Pietro osservavano le finestre chiuse dell’appartamento di Castel Gandolfo, hanno scortato un clima sospeso, denso d’incertezza ed aspettativa. La situazione non sembra del tutto mutata rispetto all’11 febbraio scorso, giorno della dichiarazione ufficiale di Benedetto XVI, restando i nomi di chi è considerato più forte ancora gli stessi inclusi nella rosa ‘finale’: a cominciare dal canadese Marc Oullet, chiamato da Ratzinger a guidare i vescovi, o dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola, italiano con un profilo internazionale degno di nota. Mentre i suggerimenti dei porporati sembrano andare verso la direzione dell’evangelizzazione per il futuro Pontefice, accrescono le considerazioni per un altro italiano Gianfranco Ravasi.
C’è poi, potente, il fronte dell’America Latina, sempre più ricco di fresche nomine nei recenti conciliaboli e comprensivo della più estesa schiera di fedeli cattolici nel mondo. Papabili restano infatti i nomi dei due cardinali brasiliani: Odilo Pedro Scherer e Joao Braz de Aviz. Tra gli europei spiccano invece l’austriaco Christoph Schonborn e il presidente dei vescovi europei Péter Erdo. Sul versante made in USA cresce l’interesse per Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, il quale insieme al newyorkese Timothy Micheal Dolan sembra detenere ottime chances per l’imminente nomina. Tra i profili asiatici, al giovane nome di Luis Antonio Gokim Tangle, cinquantacinquenne di origini filipppine, si aggiunge direttamente dalla Cina quello di John Tong Hon. Anche il continente africano pare riservare profili illustri tra i quali, al momento, primeggia quello del ghanese di Curia Peter Turkson. La discussione non si esaurisce certo qui, in superficie affiorano volti tra loro anche molto distanti; le presunte cordate arriverebbero a dieci, massimo quindici voti. Potrebbe dunque essere il turno dell’outsider alla riscossa, magari uscito in sordina tra la cerchia dei favoriti e reso a sorpresa degno per la veste bianca. Resta inoltre ancora da valutare come le informazioni taciute e trapelate dal dossier su Vatileaks possano influire sul vaglio cardinalizio, e se ciò accadrà quali saranno le conseguenze.
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