Pier Luigi Bersani si è recato nella città del Sindaco rottamatore più famoso d’Italia, l’unico politico che, alle ultime Primarie per la scelta del candidato alla Presidenza del Consiglio, è riuscito realmente ad impensierire l’apparato del maggiore partito del Centro-Sinistra italiano. Bersani, certo, trionfò con oltre il 60% dei voti. Una vittoria chiara, netta ed incontestabile, che Renzi infatti riconobbe a meno di un’ora dalla chiusura dei seggi. Ma il Segretario ha capito che, in questo ultimo scorcio di campagna elettorale condotta senza esclusione di colpi, con un Partito Democratico messo letteralmente sotto assedio da tutti gli altri partiti per lo scandalo dei derivati al Monte dei Paschi di Siena, il valore aggiunto di una pubblica riconciliazione con il duellante sconfitto, ma mai umiliato, è potenzialmente enorme.
Matteo Renzi, da grande comunicatore qual è, ha saputo cogliere al volo e nel migliore dei modi l’occasione che gli veniva offerta per accreditarsi come il probabile futuro leader del Partito Democratico. L’abbraccio tra i due ex duellanti sul palco di fronte ad una platea di oltre 3.000 persone ancora divise, nell’occupazione degli spazi, tra “bersaniani” e “renziani”, è stato, già da solo, un gesto altamente simbolico. Renzi è il padrone di casa ed il primo a prendere la parola, salutando “in modo particolare il prossimo Presidente del Consiglio Pier Luigi Bersani”.
Quindi viene il momento per riaffermare pubblicamente per l’ennesima volta, a chi ancora avesse potuto nutrire qualche dubbio in merito, la propria lealtà al partito. Lo scontro con il Segretario c’è stato, ed è stato durissimo, ma ora è finito: “Ha vinto lui, io lo sostengo. Abituiamoci alla lealtà”. Quelle tra Renzi e Bersani sono state, del resto, le prime autentiche Primarie nella storia del Centro-Sinistra italiano. Le precedenti (Prodi nel 2005, Veltroni nel 2007, Bersani nel 2009) erano, di fatto, servite a ratificare con il voto popolare un risultato che era dato già per scontato da tutti i pronostici. Alla luce di questo, Renzi ha potuto a pieno titolo affermare che, anche in futuro, sarà sempre “meglio dirci prima le cose, perché i finti uninanimismi hanno fatto sì che per due volte Romano Prodi è andato a casa. Noi non lo faremo”.
Il “figlio coraggioso” ha riconosciuto la sconfitta, pur rivendicando con orgoglio la propria battaglia e riaffermando il valore delle proprie idee. D’altra parte, lo “zio prudente” apprezza il contegno e la dignità del nuovo alleato per la corsa ad ostacoli verso la premiership, pur nel sottolineare le differenze. “Fratelli” fino ad un certo punto. Più che un tandem Bersani-Renzi, sempre smentito dai due interessati, quella nata ieri a Firenze sembra piuttosto una staffetta: “Io faccio un giro e mi fermo” – dice il Segretario PD sulle note della canzone “Everybody need somebody to love” dei Blues Brothers – “lui è giovane e ha ancora tanta voglia di andare avanti”.
D’altra parte, una collaborazione appare sempre più fondamentale per vincere. Con un PdL in lenta ma graduale ripresa, trainato da un Silvio Berlusconi più in campo che mai, ed un Movimento 5 Stelle anch’esso in fase di recupero, archiviata la fase critica delle “epurazioni dei dissidenti” come Favia e Salsi, il Segretario sa bene che occorrono tutte le forze per rendere possibile la vittoria del PD. Tutti nel partito ricordano bene le elezioni del 1994 (con il PDS di Occhetto, grande favorito, travolto dalla discesa in campo del Cavaliere) e quelle del 2006 (sempre col recupero in extremis di Berlusconi ed un Senato balcanizzato dal Porcellum, con Prodi ridotto a governare grazie al voto dei senatori a vita e dei parlamentari eletti all’estero).
La battaglia, ancora una volta, si vincerà principalmente su due fronti. Da una parte al Centro, dove la “Scelta Civica” di Mario Monti ed i partiti ad essa federati occupano abbastanza saldamente uno spazio non maggioritario nel panorama politico, ma che se sufficientemente ampio sarà determinante per il giocare il ruolo di ago della bilancia, soprattutto al Senato ed in regioni chiave in bilico come Lombardia e Sicilia. Dall’altra parte, la sfida si gioca sul terreno della riconquista dell’elettorato astensionista e deluso da entrambi i poli maggiori. Stando agli ultimi sondaggi, qui veleggia ancora il 25-30% del (per il momento potenziale) voto degli Italiani. E qui, più ancora di quella di Monti, giunge fortissimo il richiamo della sirena del M5S guidato da Beppe Grillo, che col suo messaggio di radicale sfiducia nei confronti di ogni forza politica esistente può attingere ai voti dei delusi tout court.
La concorrenza è più che mai agguerrita, lo scenario post-elettorale sempre più incerto e tutte le energie diventano utili, se non indispensabili. E Matteo Renzi, se giocherà di qui al 24 febbraio, in accordo con Bersani, un ruolo più attivo di quello avuto finora, può ancora – soprattutto al Centro e tra gli indecisi – dare al PD quel valore aggiunto capace di fare la differenza. Forse, anche dalla panchina.
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