Ancora non è detta l’ultima parola, insomma, per coloro che, presentando richiesta alle Direzioni territoriali del Lavoro, si siano sentiti negare l’opportunità di ritrovarsi tra i “fortunati” 130mila cui lo Stato ha assicurato copertura.
Dunque, quei soggetti giudicati a corto di requisiti per la salvaguardia, devono considerarsi ancora in gioco, almeno finché l’Inps non avrà terminato lo screening della platea di ex lavoratori coinvolti.
Ciò comporta che non solo le domande rifiutate vadano giocoforza riammesse, ma che debbano anche essere, per ciò detto, nuovamente analizzate, alla luce di quelle che saranno le istruzioni finali dell’ente previdenziale in materia.
C’è, però, un rischio che può far segnare un nuovo, colpevole ritardo alle elargizioni degli assegni agognati per le decine di migliaia di lavoratori coinvolti: dal primo febbraio, secondo la road map governativa, dovrebbe infatti partire la somministrazione degli assegni.
Ora, però, con la riammissione delle domande prima respinte e le conseguenti fasi di studio necessarie, l’attesa rischia di allungarsi nuovamente per gli esodati, le cui posizioni sono già in “freezer” da diversi mesi, tra snodi burocratici e stime contabili.
Insomma, il cammino degli esodati potrebbe rallentare ancora una volta il passo, anche se, come già era apparso nei primi giorni dell’anno, fino ad aprile gran parte dei dossier aperti resterà insoluta.
A questo proposito, la nuova circolare Inps fornisce alcuni ragguagli per coloro che, in passato, abbiano versato contributi per una delle Casse professionali: gli interessati, si conferma, non subiranno alcun trattamento di sfavore, potendo rientrare pienamente tra i tutelati in una delle tre tranche previste dal governo.
Riguardo,nello specifico, proprio il primo decreto, quello ormai in dirittura d’arrivo, che salverà 65mila non tutelati, viene ribadito come coloro i quali si siano trovati a versare contributi volontariamente non dovranno aver svolto, nel periodo successivo alla fuoriuscita, alcuna attività lavorativa.
Ebbene, nel caso di alcune casse previdenziali, che richiedono un minimo di versamento anche se l’attività professionale è sostanzialmente ferma, va fornita una dichiarazione al fine di certificare come tali quote non sono da collegare al normale esercizio dell’attività.
Naturalmente, spetterà poi agli uffici deputati il controllo sulla veridicità delle comunicazioni, ricorrendo, all’occorrenza, fino agli estremi bancari degli effettivamente operanti per trovare conferma del non svolgimento della professione.
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