Il motivo del contendere è l’applicazione in Sicilia delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità. Alla città dello Stretto è stata comminata una maxi-multa di 7 milioni 52 mila euro, sospesa dal Tar in sede di prima istanza, con ordinanza 1027/2012, adesso impugnata dall’Avvocatura di Stato.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178/2012, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 del D.Lgs. 118/2011, per eccesso di delega, per alcuni aspetti che sono stati ritenuti non applicabili direttamente alle regioni autonome, nemmeno dopo il decorso del termine di sei mesi. Le uniche disposizioni di tale legge applicabili agli enti ad autonomia differenziata sono stati ritenuti gli artt. 15, 22 e 27 (sentenze n. 71 e n. 64 del 2012; n. 201 del 2010). La previsione del primo comma dell’art. 37 del d.lgs. n. 118 del 2011 stabiliva, invece, che, qualora “entro sei mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 36, comma 5, non risultino concluse le procedure” di attuazione statutaria, l’intero decreto delegato e gli indicati decreti legislativi “trovano immediata e diretta applicazione” nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano, sino al completamento delle procedure medesime. Tale diretta – ancorché transitoria – applicazione, secondo la Corte Costituzionale, eccede i limiti fissati dalla legge di delegazione, la quale non consente eccezioni, con riguardo ai suddetti enti, alla regola dell’adozione delle peculiari procedure “pattizie” previste per la determinazione delle norme di attuazione statutaria. Mentre l’art. 27 fissa il principio secondo il quale gli enti ad autonomia differenziata, nel rispetto dei rispettivi statuti speciali, concorrono al patto di stabilità interno ed all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo le procedure “pattizie” previste per l’introduzione delle norme attuative degli statuti (cioè «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi»).
In base alla legge n. 42 del 2009, tutte le disposizioni attuative della legge di delegazione (ivi comprese quelle dell’art. 2, che il d.lgs. n. 118 del 2011 dichiara espressamente di attuare) si applicano agli enti ad autonomia differenziata non in via diretta, ma solo se recepite tramite le speciali procedure previste per le norme di attuazione statutaria.
La pronuncia della Corte Costituzionale ha portato il Comune di Messina ed alcuni dei Comuni siciliani entrati nella “black list” del Viminale (ci sono, tra gli altri, Barcellona Pozzo di Gotto, Trapani, Alcamo, Bagheria, Erice, Campobello di Mazara, Partinico, Sciacca, Tremestieri Etneo) a proporre ricorso per via amministrativa, contro le misure adottate in seguito allo sforamento del patto.
Il Comune di Messina ha proposto ricorso avverso Ministero dell’Interno, Ministero dell’ Economia e delle Finanze, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia del decreto del D.G. – Capo del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’Interno del 26/07/2012, con il quale venivano irrogate le sanzioni per il mancato rispetto del patto. I magistrati catanesi hanno ritenuto esistere il fumus, proprio in relazione a quanto sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza richiamata. Lo stesso Tar, nel corpo dell’ordinanza, rileva che la norma in contestazione risulta già oggetto di impugnazione, da parte di varie Regioni a statuto speciale (tra cui anche la Regione Sicilia, con atto n.162/2011), davanti alla stessa Corte Costituzionale che esaminerà la questione all’Udienza del 26 marzo 2013. Il Governo nazionale, però, costretto dall’ordinanza a sospendere l’attuazione delle misure sanzionatorie, ha deciso di impugnare la pronuncia del giudice di prima istanza. L’Avvocatura di Stato ha fatto pervenire il proprio ricorso a Palazzo Zanca il 3 gennaio scorso, sostenendo l’incompetenza del Tar di Catania ed i presupposti della sentenza.
Per il Governo l’azione del Comune sarebbe finalizzata non tanto a conseguire la correzione di errori o illegittimità, che non sussistono, ma esclusivamente a perseguire manovre elusive o dilatorie della giusta sanzione, in spregio ai principi di leale collaborazione istituzionale previsti dalla Costituzione.
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