Ieri, però, è statolo stesso istituto di previdenza a fare marcia indietro, dichiarando, di fatto, il ritorno del regime precedente, ossia la stima dell’accesso alla pensione esclusivamente sull’ammontare del reddito del diretto interessato.
Appresa la notizia del dietrofront da parte dell’Istituto, i sindacati hanno gridato vittoria, ricordando le barricate erette in seguito alla decisione dell’Inps di considerare il reddito famigliare per l’erogazione degli assegni.
Ora, dunque, si torna al passato: ma per gli invalidi civili, totali o parziali, cosa cambia in sostanza? Quali sono gli effetti della decisione assunta in prima persona dal direttore generale Mario Nori?
Innanzitutto, è bene ricordare che, per maturare i requisiti di pensione di invalidità prevista dalla legge 118 del 30 marzo 1971, le entrate lorde non possono essere superiori a 16.127,30 euro: con la già rientrata linea dell’austerità, invece, tale soglia sarebbe stata considerata in riferimento al reddito cumulato tra marito e moglie.
In realtà, però, quello della previdenza sociale non è un vero ripensamento: si tratta, come specificato nelle parole in cui l’Inps invoca un documento chiarificatore, di una riforma “congelata”, nell’attesa di un documento di provenienza ministeriale, che dovrebbe chiarire la materia una volta per tutte.
Infatti, i pronunciamenti anche in sede di giustizia sono stati alquanto disomogenei, se si prende in considerazione che, nel corso degli ultimi anni, non meno di tre sentenze confermate in Cassazione hanno ribadito che quello vigente – ossia fondato sul reddito individuale – fosse il metro corretto, mentre altrettanti, se non maggiori, pronunciamenti hanno finito per mettere in luce l’esatto contrario.
Non mancano, insomma, i giudizi definitivi sulla necessità di riferirsi alle entrate di entrambi i coniugi, a testimonianza che quella dell’Inps non andava letta come una trovata estemporanea. Del resto, è specificato dall‘articolo 14 della legge 33/1980: il principio della solidarietà tra coniugi viene riconosciuto come strettamente legato a quello di sicurezza sociale.
Il Ministero del Welfare, però, in cabina di regia in questa vicenda, non ha mancato, negli ultimi giorni di far notare come “un’unica soglia reddituale per l’accesso alla prestazione di inabili single e inabili coniugati porrebbe evidenti problemi di equità”.
Insomma, la partita delle pensioni ai disabili è tutt’altro che chiusa: dalle parti del governo, essendo i tempi della legislatura sempre più stretti, non si è potuto fare altro che avviare un’istruttoria urgente. Sicuramente, però, nei prossimi mesi le pensioni di invalidità torneranno al centro dell’agenda welfare, anche all’interno di vere e proprie novità normative.
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