E’ questo l’effetto incrociato delle ultime due riforme sul fronte della previdenza, quella Sacconi e l’ultima, contestatissima, di Elsa Fornero, che, come noto, ha aperto spropositatamente la falla degli esodati.
E sono proprio i cosiddetti “non salvaguardati” ,ancora una volta, ad avere la peggio. Nonostante il governo Monti si sia impegnato a trarre in salvo circa 130mila ex lavoratori, nel limbo tra ufficio e pensione, anche per chi dovrebbe scampare dall’incertezza l’attesa è costretta a doversi prolungare.
Tra gli esodati, non a caso, l’asticella viene posta a 62 anni e tre mesi, per effetto proprio della riforma Fornero che introduce ulteriori tre mesi, rispetto al computo standard, in ragione della crescita dell’aspettativa di vita.
Passando,quindi, all’anzianità contributiva, da segnalare il salto, ancor più marcato, da 41 a 42 anni e 5 mesi di versamenti, almeno per gli uomini, mentre alle donne restano validi 41 anni e mezzo di contributi, sempre a prescindere dall’età anagrafica.
Questo principio è valido innanzitutto per le donne con contratto da lavoratrice dipendente, che, dunque, vedono saltare il minimo pensionabile di ben 15 mesi a partire dal primo gennaio 2013.
Per questa ragione, le prossime tre mensilità sono di fatto precluse a chi avrebbe purtuttavia maturato il millesimo anagrafico necessario per accedere al trattamento pensionistico.
Sul fronte generale, ricordando che i due decreti principali sugli esodati – uno ad hoc e l’altro inserito nella spending review – sono soltanto i primi 65mila a un passo dal promesso salvataggio di stampo governativo.
Per questi, ormai, si attende solo l’ok definitivo, mentre il successivo provvedimento in materia di normativa pro-esodati è fermo alla Corte dei Conti, dove è stato messo a registro, in attesa, anch’egli di venire adottato dall’Inps nelle sue specifiche.
Gli unici che sembrano poter usufruire dei diritti per la pensione, da qui a 90 giorni, sembrano essere gli autonomi, ancora sottoposti al regime pre-riforma, dove erano enunciati 18 mesi di pazienza prima del via libera alla pensione, una volta ottenuti i criteri essenziali nel 2011.
Ne consegue, in questo modo, che quei lavoratori subordinati con contratto dipendente ormai giunti ai 66 anni di età, dovranno “stringere i denti” per altri tre mesi, proprio per effetto dell’allungamento dell’aspettativa di vita di cui si diceva.
Ciò resta valido, naturalmente, per i nati nel 1947, cioè che compieranno i 66 anni nel 2013, mentre per i nati nel 1945 la possibilità di accesso al trattamento previdenziale era consentita anche a partire dal’anno appena concluso.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento