Imu alla Chiesa, ecco cosa non va secondo il Consiglio di Stato

Redazione 14/11/12
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Imu alla Chiesa, semaforo “giallo”. Nuova puntata dell’infinita querelle sull’applicazione della tassa sugli immobili alle strutture di proprietà ecclesiastica. Dopo continui rimandi e riscritture, ieri è arrivato il primo, timido parere positivo da parte del Consiglio di Stato, che ha dato un ok – seppure non complessivo – all’impianto di regolamento proposto dal governo.

Il pronunciamento di Palazzo Spada arriva a poco più di un mese dal precedente, che aveva, invece, bocciato su tutta la linea le istruzioni diramate dal Ministero dell’Economia, giustificando il “niet” con una sorta di eccesso nella disciplina cui era ricorso lo stesso dicastero.

Questa volta, invece, il regolamento ha incontrato un giudizio tendenzialmente favorevole, in special modo per la parte in cui si specificano le modalità per la Chiesa e gli enti no profit  di pagamento dell’Imu a partire da gennaio 2013.

Le perplessità emerse in sede di analisi del documento, il Consiglio di Stato le ha espresse, invece, sulle pratiche di riscossione da adottare verso quegli edifici che andranno riconosciuti sotto l’etichetta di “attività mista”.

Si tratta, in primo luogo di strutture educative o ricettive – come alberghi e pensionati – ma, in misura del tutto significativa, anche di cliniche, ambulatori e ospedali. Insomma, sfuggono ancora dalle grinfie dell’Imu alcuni comparti di immobili di primissima fascia, sia per l’ammontare dei saldi eventuali, che per la quantità di questo genere di strutture presenti sul territorio.

In particolare, il Consiglio di Stato ha puntato il dito contro la possibilità di conferire una retta simbolica in virtù di attività che detengano un qualche patrimonio, ma non abbiano come finalità specifica la redistribuzione degli utili tra i vari soci.

Quella della cifra “simbolica”, era una delle ultime novità avanzate dal governo, forse un tentativo in extremis per ammorbidire le ricadute dell’Imposta Municipale Unica sugli immobili appartenenti alla Chiesa ma non adibiti a luogo di culto.

Un altro punto che il governo è chiamato a ridefinire, sottolinea Palazzo Spada nel nuovo intervento, sarà quello di disciplinare l’esigibilità della tassa da quei soggetti formalmente non votati all’incasso di utili, possano operare di fatto sul mercato come concorrenti dei privati: a questo proposito, dunque, il governo dovrà fornire le indicazioni per una scrematura più specifica, in linea agli stessi principi europei da cui il monito di Bruxelles aveva preso le mosse.

Ciò è particolarmente vero nel caso, ad esempio, delle strutture sanitarie, che necessitano di due requisiti, secondo il pronunciamento del Consiglio di Stato, per qualificarsi come non commerciali e cioè accredito presso le istituzioni locali o centrali e dunque complementare al Ssn, oppure in qualità di esercizio svolto a titolo gratuito ed eminentemente solidaristico.

Va ricordato, a questo proposito, che, dentro l’insieme degli enti no profit, vanno inclusi non soltanto gli istituti di natura ecclesiastica, ma anche le fondazioni, così come le associazioni non governative e senza scopo di lucro.

Le prossime mosse del governo andranno, dunque, in direzione di una riscrittura degli articoli contenuti nel regolamento che identificano questo genere di strutture, tenendo conto, come ha suggerito lo stesso Consiglio di Stato, della procedura d’infrazione europea che ancora pende, volta a scongiurare un vero e proprio aiuto di Stato nel caso di esenzione Imu per gli immobili ecclesiastici.

Le linee guida, per la corretta applicazione del tributo, le fornisce l’Europa, l’Italia non può avventurarsi in interpretazioni normative, ma deve soltanto adeguarsi ai principi comunitari: questo in sostanza, il giudizio finale del Consiglio di Stato. Insomma, un primo passo è stato compiuto, ma resta ancora molta strada da fare.

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