Da qui la decisione di convenire in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma il Consiglio Nazionale Forense che proponeva alla Sezioni Unite della Cassazione un regolamento preventivo di giurisdizione, ritenendo che la controversia fosse di competenza del giudice amministrativo o tributario.
La Cassazione a sezioni unite scioglieva il dilemma attribuendo la giurisdizione al giudice tributario che , riuniti i vari ricorsi proposti dai Colleghi romani, li accoglieva compensando le spese di lite con dovizia di motivazione in danno del Consiglio Nazionale Forense.
Il contributo CNF è, secondo la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza depositata l’8.10.2012, senza dubbio una “prestazione patrimoniale imposta” la cui natura tributario è stata già riconosciuta dalle stesse sezioni Unite della Cassazione che le ha inquadrate nella categoria delle “prestazioni di natura non tributaria e aventi la funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri ed il regime giuridico dell’attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale, è apparso prevalente l’elemento della imposizione legale”, ricadendo, quindi, i contributi versati dall’avvocato nell’esercizio della professione nell’ambito dell’art.23 della Costituzione.
Ma la giurisprudenza della Corte sul punto è assai “elastica”, limitandosi a prescrivere che il potere dell’autorità amministrativa non si traduca in vero e proprio “arbitrio”, dato che il tributo è dovuto solo dagli iscritti all’Albo Speciale e non già a tutti gli iscritti, in considerazione dell’impossibilità di ricavare “parametri tecnici” sul costo del servizio di tenuta dell’Albo speciale e non già alla funzione giurisdizionale.
Ed è proprio quello che invece è accaduto ai Colleghi romani cui è stato imposto il balzello doppiamente illegittimo sia sotto il profilo della indeterminatezza dei contributi richiesti dal CNF, sia per la mancanza del “potere impositivo” da parte del CNF nei confronti degli avvocati romani.
Un ulteriore spunto su cui riflettere in una fase in cui la nostra professione attraversa con sempre crescente difficoltà non solo una crisi economica stringente che sta falcidiando la categoria senza tregua ma anche una anche più profonda “crisi di identità” verso un futuro sempre più buio ed incerto in cui “l’arbitrio”, già protagonista in passato di altri guasti, travolge il rispetto delle regole anche nei riguardo di chi è tenuto a farle rispettare.
Questa vicenda è lo specchio deformante di una rappresentanza sempre più lontana dalla “base”, che, come Sagunto, brucia…
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