Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 18604 del 29 ottobre, ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria. La sentenza prende le mosse dall’ assunto generale secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto redditometro dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai finti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. Sarebbe spettato dunque alla parte contribuente fornire la prova contraria rispetto alla presunzione stabilita ex lege, disciplina che il giudicante del merito ha violato con la propria contraria affermazione”.
La Cassazione, dunque, ha respinto la decisione della commissione tributaria regionale del Lazio che, sovvertendo la pronuncia della commissione tributaria provinciale, aveva stabilito che sarebbe toccato all’ Ufficio, mediante “argomentata dimostrazione”, spiegare i motivi per cui i costi di mantenimento delle due auto dovevano essere considerate troppo eccessive rispetto al reddito dichiarato, così come adempiere all’ onere di dimostrazione in merito all’ acquisto di azioni, quanto meno indicando nell’ avviso di accertamento gli estremi dell’atto.
Non è finita qui però, nel dichiarare questo particolare indirizzo interpretativo la Suprema Corte ne ha ripetuto un altro sul versante processuale; ossia che nel processo tributario si possono acquisire nuovi documenti in appello, nella fattispecie due interrogazioni all’ anagrafe tributaria.
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