Legge elettorale a ridosso del voto: il vizietto della politica italiana

Elezioni 2012, ritorno al futuro. O, sarebbe meglio dire, “ritorno al passato”: tanto la vigente legge elettorale, quanto la sua possibile sostituta, risentono dello stesso vizio che, secondo il Consiglio d’Europa, le riconduce ai margini della legalità: ma i partiti tirano dritto.

Mentre le segreterie non riescono a sciogliere il nodo gordiano della nuova legge elettorale, si può pensare di ridurre la democrazia al rispetto di norme di “galateo”? Evidentemente, sì, o meglio, si dovrebbe, secondo il “Codice di buona condotta in materia elettorale“.

Il documento, approvato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa su “suggerimento” della Commissione di Venezia, o Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, organo di raccordo in materia di legalità nelle procedure di elezione dei rappresentanti, riassume quella che si potrebbe definire “l’etica delle procedure nel sistema democratico”.

Al suo interno, vengono disaminati i diritti fondamentali per l’elezione diretta dei rappresentanti, partendo dal suffragio universale, alla periodicità delle elezioni, al mantenimento delle garanzie costituzionali: insomma, il decalogo per ogni democrazia compiuta, affinché la scelta dei rappresentanti avvenga secondo principi di parità, uguaglianza tra tutti i cittadini e legalità.

Tra gli articoli del “Codice di buona condotta” si trova, però, un “non expedit” sconosciuto ai più che, secondo gli scettici, viene volutamente ignorato dalle segreterie di Pd, Pdl e di tutti gli altri partiti, da mesi impegnati a trovare la quadra della nuova legge elettorale.

La norma, cui il Consiglio d’Europa ha dato il suo benestare, recita quanto segue: “Gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle  circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione, o dovrebbero essere legittimati a livello costituzionale o ad un livello superiore a quello della legge ordinaria”.

Poche righe che potrebbero vanificare in un sol colpo, se tenute in considerazione, tutti gli sforzi dei gruppi parlamentari, che da settimane elaborano bozze, si confrontano, trovano accordi parziali, ma non riescono a sfornare un testo capace di accontentare tutti e rinnovare finalmente la legge elettorale.

A sentire il Consiglio d’Europa, semplicemente, sarebbe meglio dedicarsi ad altro: non un’ottima notizia, per la verità, dato che ciò significherebbe aprire una nuova legislatura sulla base del “Porcellum“, legge efferata, sconfessata dal suo stesso promotore, l’ex ministro per le Riforme Roberto Calderoli, che ha portato negli emicicli romani un migliaio di nominati dalle segreterie in virtù del principio nefasto delle liste bloccate.

A ben vedere, però, anche la stessa legge “porcata”, a rigor di “Codice di buona condotta”, sarebbe tutt’altro che ortodossa. Basta fare un passo indietro per rendersi conto come la futura legge elettorale stia nascendo proprio sulle stesse premesse che diedero vita al “capolavoro” di Calderoli.

Il sistema del Porcellum ricade, infatti, all’interno della legge n.270, approvata il 21 dicembre del 2005, a tre mesi e mezzo dalle elezioni del 9 e 10 aprile del 2006, che avrebbero dovuto celebrare il grande ritorno del centrosinistra al governo, ma che, invece, portarono a uno degli esiti più in bilico della Storia repubblicana, con il governo Prodi che, al Senato, riusciva a stare a galla solo grazie ai voti dei senatori a vita o di quelli eletti nelle circoscrizioni estere.

Il sistema proporzionale con abolizione dei collegi uninominali e possibilità di apparentamento tra liste a fini di coalizione si era dimostrata la soluzione più sgradita per la coalizione di centrosinistra, che al momento dell’approvazione del “Porcellum” veniva data dai sondaggi a oltre dieci punti di vantaggio sul governo uscente ma che, complice anche qualche clamoroso autogol, finì a dilapidare il capitale elettorale in poche settimane.

Ciò che più colpisce, ancora oggi, è come il sistema elettorale, spina dorsale di uno Stato democratico, sia stato modificato con ricorso a una legge ordinaria, approvata con maggioranza semplice nei due rami del parlamento, all’epoca targata Forza Italia-Alleanza nazionale-Lega nord e Udc.

Ora, la storia sembra ripetersi, anche se con protagonisti leggermente differenti: di fronte all’ondata grillina, con partiti in preda a veri e propri psicodrammi – Pdl su tutti – o altri che ancora non hanno sciolto la riserva sulle proprie alleanze – il Pd – cercano di tutelare in ordine sparso il sistema che risulterebbe più congeniale: chi chiede le preferenze, chi il premio di maggioranza, chi nuove soglie di sbarramento.

A uscirne danneggiato, stavolta, potrebbe dunque essere il Movimento 5 Stelle, grande escluso da queste trattative, che alcune rilevazioni demoscopiche danno come secondo partito nel Paese. Non a caso, dalle parti di Grillo si preferirebbe rimanere col sistema attuale, nonostante, in passato, lo si sia ampiamente criticato.

Se è abbastanza naturale ogni soggetto cerchi di capitalizzare al massimo i voti ottenuti, colpisce però che, a distanza di sette anni dalla sua entrata in vigore, la legge Calderoli non sia ancora stata modificata e, a soli cinque mesi dal rinnovo del Parlamento, tutte le figure istituzionali lancino continui appelli per la sua sostituzione, mentre i partiti non riescono ad accordarsi.

Ciò che vige, indisturbato, in Italia è il vizio di cambiare le regole un attimo prima delle elezioni, sulla base dei sondaggi più recenti: non a caso, alcuni analisti parlano sempre più frequentemente di come nelle democrazie moderne si faccia sempre più largo la “sondocrazia“. Però quello che, altrove, verrebbe interpretato come un colpo di mano, ossia cambiare la legge elettorale a campagna di fatto già avviata, in Italia non solo è già accaduto senza troppi patemi, ma sta avvenendo di nuovo.

Resta il fatto che, di fronte all’ennesimo, infinito batti e ribatti tra le forze politiche si ha l’impressione di vivere in una democrazia “tra parentesi”, un sistema ai confini della clandestinità dove, come al solito, chi può far valere la propria voce nelle sedi opportune la spunta sempre, in barba al principio non scritto, ma forse quello più importante per la salute di ogni sistema democratico: non prendersi gioco degli elettori.

 

Francesco Maltoni

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